Cerca nel blog

mercoledì 12 dicembre 2018

La grandezza di Aleksandr Solženicyn a cento anni dalla nascita


«Il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni, dell’amore (anche nei momenti dolci) dell’ira, della meraviglia, del timore»: così ha scritto nel suo Zibaldone Giacomo Leopardi, dimenticando, forse volontariamente, che il silenzio è anche il linguaggio dell’imbarazzo, come del resto appare fortemente imbarazzato il silenzio del mondo culturale occidentale che tra lo scorso 3 agosto e l’11 dicembre prossimo avrebbe dovuto ricordare i dieci anni della morte e i cento anni della nascita, rispettivamente, di uno dei pilastri della civiltà occidentale quale è stato Aleksandr Solženicyn.

L’OPPIO DEL SOCIALISMO

Solženicyn, infatti, tanto più andrebbe ricordato e commemorato quanto più ci si professa amanti della democrazia e della libertà, specialmente in un’epoca, come quella attuale, in cui le parole “democrazia” e “libertà” sono così usate e abusate da inflazionarsi a tal punto da perdere tutto il loro intenso e reale peso specifico morale e umano.
Probabilmente, proprio per questo motivo, l’intellighenzia del mondo occidentale odierno tace su un evento così importante, poiché ha contribuito in questi ultimi anni ad erodere i significati autentici di democrazia e di libertà così, invece, genuinamente incarnati dalla vita, dalle opere e dal pensiero di Aleksandr Solženicyn di cui furono traditi lo spirito e l’insegnamento proprio per mano dei suoi colleghi scrittori, letterati e intellettuali occidentali obnubilati dall’oppio del socialismo (per parafrasare la felicissima formula di Raymond Aron). 





IL REGIME SOVIETICO

Nato a Kislovodsk l’11 dicembre 1918, crebbe in povertà allevato dalla madre vedova e dalla zia. La sua infanzia si svolse nei concitati primordi del regime bolscevico caratterizzati dalla collettivizzazione forzata, dalla grande carestia causata dai provvedimenti economico-sociali sovietici, dalle campagne antireligiose del regime comunista, e, soprattutto, dalle purghe della polizia politica come la Gpu comandata da Feliks Dzeržinskij intimo amico di Lenin e poi dal feroce Jagoda che, con i suoi altrettanto sanguinari e spietati successori Ezov e Berija, costituì il braccio esecutivo delle purghe staliniane che causarono milioni di morti.

L’INVASIONE NAZISTA

Il giovane Solženicyn, appassionato di letteratura, fu sempre incoraggiato dalla madre a proseguire i suoi studi che, tuttavia, fu costretto a interrompere a causa dell’invasione nazista dei territori sovietici, nell’estate del 1941, per dirigersi al fronte in cui si distinse più volte venendo promosso capitano e ricevendo due decorazioni per aver salvato la vita dei propri commilitoni sul difficile fronte di Kursk in respingimento di una controffensiva tedesca.

PRIGIONE E CONFINO

Poco prima della fine della guerra, tuttavia, fu arrestato dalla polizia politica poiché, in una lettera ad un proprio amico, intercettata, aveva criticato l’agire di Stalin venendo condannato a 8 anni di detenzione e, successivamente, al confino perpetuo nelle steppe del Kazakistan, trovando nel gulag staliniano – non a caso modello detentivo dei lager nazisti – il più profondo avvilimento della dignità umana, esperienza che ebbe a condensare nel celebre e umanissimo racconto dal titolo 

IL PARADISO DEI LAVORATORI

Dopo anni di prigionia, in cui abbandonò la propria visione marxista intraprendendo un lungo cammino di conversione al cristianesimo, i suoi scritti cominciarono finalmente a circolare all’estero e ad essere pubblicati essendo non soltanto una prova di alta letteratura universale, ma uno realistico spaccato della Russia sovietica che lungi dall’essere il “paradiso dei lavoratori” si era ben presto rivelata come l’inferno di tutti gli uomini.

PENSIERO UNICO COMUNISTA

Negli anni ’60, cioè nello stesso periodo in cui un altro grande scrittore come Boris Pasternak venne costretto dal regime comunista a rinunciare al premio nobel per il suo Dottor Zivago, cominciò a lottare con i suoi scritti contro il regime sovietico e il pensiero unico imposto dal partito comunista, anche e soprattutto nell’ambito letterario che, nell’ottica bolscevica, deve essere sempre solertemente disciplinato per orientare le opere e gli scrittori secondo la “coscienza socialista” e il “progresso proletario” dell’umanità.

LIBERI DI ESPRIMERSI

Non a caso, in una lettera aperta al Segretario dell’Unione degli Scrittori della Repubblica Russa, scrisse che
«gli umani devono naturalmente essere liberi di esprimersi. Se ne siano impediti – torniamo allo stato animale. Rendere di pubblica ragione, in modo completo e onesto, ogni cosa: è questa la prima condizione per la salute di qualsiasi società, compresa la nostra. E chi non vuole che ciò si realizzi nel nostro Paese dà prova di indifferenza verso la patria, mostrandosi sollecito unicamente del proprio tornaconto. Chi non vuole la chiarezza della cosa pubblica per la nostra patria, non vuole la guarigione dalle sue malattie, vuole ricacciarle all’interno, perché lì marciscano».
Nel 1970, momento apicale della sua vita e della sua carriera di scrittore contro l’uniformazione totalitaria delle coscienze, venne insignito del premio Nobel per la letteratura tenendo a Stoccolma uno dei suoi più interessanti e fecondi discorsi con cui ricordò che «quando ha lottato contro la menzogna, l’arte ha sempre vinto e sempre vincerà[…]. Ci sono in russo alcuni proverbi particolarmente amati sulla verità. Essi esprimono con energia e talvolta in modo sorprendente la considerevole gravità della nostra esperienza nazionale:“Una parola di verità vincerà il mondo intero”. Ed è su questa apparentemente fantasiosa violazione del principio di conservazione della massa e dell’energia che è basata sia la mia attività sia questo appello agli scrittori di tutto il mondo».

COMUNISMO E CAPITALISMO

Aleksandr Solženicyn, durante tutta la sua vita, infatti, rivendicando la libertà di coscienza, di pensiero e di parola non soltanto tutelò lo spazio più propriamente umano dalle intromissioni totalizzanti delle moderne tirannie (mutate oggi in nuove variegate forme di totalitarismo come, per esempio, l’ideologia gender, l’europeismo acritico, l’islamicamente corretto, l’anticristianesimo imperante ecc), ma, soprattutto, ebbe modo di criticare in profondità la radice di ogni male della cultura occidentale, cioè il materialismo declinato secondo le due opposte, ma sempre solidali forme in cui esso si manifesta, cioè il comunismo e il capitalismo.

MAESTRO DELLO SPIRITO CRISTIANO

Solženicyn, alla luce di ciò, può essere considerato, dunque, come uno degli ultimi coraggiosi maestri dello spirito cristiano che hanno speso tutta la loro esistenza e tutte le loro fatiche per ricordare, specialmente alla cultura contemporanea, che «non di solo pane vive l’uomo», come si evince, con estrema chiarezza, dalla intensa preghiera composta dallo stesso Solženicyn che in conclusione si riporta per esteso e che quanto mai opportuna appare proprio in questo periodo di Avvento:
«Che sollievo vivere con te, Signore! Che sollievo credere in te! Quando cede al dubbio o vacilla il mio intelletto, quando la gente più intelligente non vede oltre la sera che viene e non sa che fare domani, Tu infondi in me l’assoluta certezza che esisti e provvedi a che non tutte le vie del bene siano precluse. Dal sommo della gloria terrena io guardo stupito il percorso attraverso la disperazione fino a qui, il punto da dove ho potuto inviare all’umanità un riflesso dei Tuoi raggi. E concedimi quanto è necessario per rispecchiarli ancora. Ma quanto non è nelle mie corde so che Tu l’hai destinato ad altri».