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lunedì 10 dicembre 2018

I ricordi della figlia illuminano la figura di Ezra Pound.



Una colluttazione tra la luce e l’ombra. Un viaggio negli abissi del Novecento con la torcia accesa della poesia. Un metodico lavoro artigianale per liberare il nome di Ezra Pound dalle incrostazioni e restituirlo al canone letterario. Una visita al cantiere – sorprendentemente ancora aperto – dei Cantos, il poema di una vita, importante per il Nord America quanto la Commedia di Dante per la civiltà italiana. Si trova tutto questo nelle pagine di Ho cercato di scrivere Paradiso. Ezra Pound nelle parole della figlia: conversazioni con Mary de Rachelwiltz (Mondadori, pp. 264), con cui il poeta Alessandro Rivali corona dieci anni di esplorazioni alla ricerca della “ghianda di luce” che tanto ossessionava il poeta americano. Non un libro su Pound, o meglio, anche un libro su Pound (come la famosa intervista di Truffaut a Hitchcock non è tanto un libro su Hitchcock quanto un libro sui segreti del cinema): è soprattutto un viaggio nei luoghi della poesia in cui la figura dello scrittore, pagina dopo pagina sempre più nitida e familiare, è come un Virgilio dantesco; non perde cioè la sua monumentalità ma è presente soprattutto per fare da guida, per indicare orizzonti al di là della coltre fitta della Storia.


D’altra parte, ogni poeta non è tale se non è anche mentore, se non genera. In questo viaggio Alessandro Rivali è Dante. Mary de Rachelwiltz, anch’ella in primis poetessa, forse è Beatrice: figlia di Ezra Pound e sua “tesoriera”, cioè curatrice del prezioso archivio poundiano di Brunnenburg (il castello tirolese teatro delle “conversazioni”, sede dell’Ezra Pound Center for Literature) e custode di un’eredità che è pienamente umana: intellettuale, letteraria e affettiva insieme. Pronta quindi Mary, di quell’eredità, a rivelare la luce («sebbene – scrive Rivali – la poesia sia anche il buio dentro al tunnel»).


Le pagine di queste “conversazioni” scorrono veloci, disvelando tesori, coinvolgendo non solo gli appassionati di letteratura ma tutti gli amanti del bello. La vita della famiglia Pound viene ripercorsa tra gli echi dei clangori della Storia e le fortune letterarie. Si citano i grandi del Novecento (gli scrittori che Pound conobbe personalmente e quelli dei cui libri si nutrì), in una galleria di nomi celebri (Eliot, Hemingway, Cummings) e di autori sconosciuti al grande pubblico, accomunati gli uni e gli altri dall’essere ognuno a suo modo portatore di epifanie (anche e soprattutto nelle vite dei due conversatori). L’eredità di Ezra Pound – fatta di ricordi, oggetti, libri fittamente annotati ma anche delle opere che aspettato ulteriori traduzioni – è un universo che serve conoscere per farsi un’idea del mondo (e gli studi di Pound sull’economia e sull’usura sono di una attualità inossidabile). Un universo che Rivali sostiene debba raggiungere le nuove generazioni «che, anche se può non sembrare, sono ancora assetate di poesia».
Si può mai estinguere la sete del bello? No se la ricerca, nella letteratura come nella vita, mira a un Eden da raggiungere attraverso la contemplazione. Il titolo del libro, che pure cita Pound, tornava già in una poesia de La caduta di Bisanzio (Jaca Book, 2010) che Alessandro Rivali dedica proprio a Mary de Rachelwiltz. Vi si riferiva di una foto di Ezra Pound scattata nella località ligure di Zoagli e delle impressioni dello psichiatra che nel 1966 lo ebbe in cura, Romolo Rossi, sulla sua sorprendente lucidità: «Il profeta osserva il mare. / È la foto migliore: Zoagli, 1967. / Solitario sullo scoglio. / Le acque si separano allo sguardo / elettrico: vortici di scaglie e di luce, / nell’orbita gabbie al sole, guerre. / Lo psichiatra confermava / i fulmini della mente, / un perenne stato onirico, / la totale disgregazione del reale, / voci di rovina e contaminazione; / frantumi in un estuario nero. / Ma quella pupilla azzurra / filtrava origine e fine della storia / attraverso la galleria di quarzo. / La città indistruttibile / che pulsava nella ghianda di luce. / Sulle ceneri del libro infinito, /sapeva di avere sempre cercato / di scrivere soltanto paradiso».
Raffaele Chiarulli, L'eredità di Ezra Pound, Tempi, 9-12-18.