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lunedì 31 agosto 2015

Chi è il violento ? Quando i media forzano la realtà.

di  A. Lalomia

Il video che si propone viene presentato come un esempio della brutalità dei soldati israeliani contro i palestinesi.  Tuttavia, se lo si guarda attentamente e con occhi non coperti da pregiudizi di maniera. non potranno sfuggire alcuni particolari:

1.  il ragazzo non si dimostra certo inerme nei confronti del soldato e cerca anzi di arrecargli delle lesioni;
2.  il soldato viene letteralmente assalito da almeno quattro persone, che lo prendono a schiaffi, a pugni, a morsi, senza che lo stesso militare, che pure è armato, mostri il minimo segno di ricorrere alla forza;
3.  il soldato, dopo essere stato praticamente torturato da quelli che il commentatore del video definisce parenti, alla fine viene liberato soltanto grazie all'intervento di un altro militare, che cerca di allontanare gli aggressori con le mani, pur essendo anche lui armato;
4.  solo quando gli aggressori non mostrano segno di andarsene, il secondo soldato lancia una piccola granata fumogena, che finalmente mette in fuga gli aggressori;
5.  il militare aggredito è visibilmente scosso dall'esperienza subita e malgrado questo non muove un dito per vendicarsi contro i suoi aggressori.

sabato 29 agosto 2015

Jeremy Corbyn ? In fondo è un moderato.


Nel Regno Unito l’austerità fiscale si è talmente consolidata nel senso comune, che chiunque vi si opponga pubblicamente è additato come un pericoloso sinistrorso.
Jeremy Corbyn , attualmente favorito come prossimo leader del partito laburista britannico, è l’ultima vittima di questo coro di disprezzo. Alcune delle sue posizioni sono insostenibili , ma le sue osservazioni sulla politica economica non sono insensate e meritano un vaglio adeguato.
Corbyn ha proposto due alternative alla attuale politica di austerità del Regno Unito: una banca d’investimento nazionale, da capitalizzare annullando sgravi fiscali e i sussidi dati al settore privato; e ciò che egli chiama “quantitative easing del popolo” – in poche parole, un programma di infrastrutture che il governo finanzia prendendo a prestito denaro dalla Banca d’Inghilterra.

La prima idea non è né estrema né nuova. Ci sono una Banca europea per gli investimenti, una Banca di Investimento degli stati del Nord e molte altre, tutte capitalizzate da Stati o gruppi di Stati con lo scopo di finanziare progetti su mandato [dei governi] prendendo a prestito dai mercati dei capitali. La ragion d’essere di questo tipo di istituzione deriva da ciò che il grande teorico socialista Adam Smith riteneva essere la responsabilità dello Stato per la “costruzione e manutenzione ” di quelle “opere e istituzioni pubbliche”, che, pur di grande vantaggio per la società, non darebbero profitto all’impresa privata.
In altre parole, lo stato dovrebbe sempre avere una funzione di investimento. Delegando tale funzione ad una istituzione dedicata può trarne vantaggio ai fini della presentazione dei conti pubblici.
Le particolari circostanze economiche odierne forniscono una seconda ragione per la creazione di una banca di investimento nazionale. In condizioni di depressione economica o anche di semi-depressione, una percentuale più alta del normale di risparmi privati ​​è tenuta in contanti o nel suo equivalente più vicino, i Buoni del Tesoro a breve termine. Una banca d’investimento nazionale potrebbe tirare fuori questi “risparmi oziosi” emettendo obbligazioni per lo sviluppo delle infrastrutture.
Offrendo un piccolo premio rispetto ai titoli di Stato, tali obbligazioni attrarrebbero probabilmente investitori di lungo termine, come i fondi pensioni, che diversamente otterrebbero rendimenti reali nulli o perfino negativi. La Banca europea per gli investimenti, ad esempio, è pronta al finanziamento di investimenti del valore di almeno 315 miliardi entro il 2017, con un esborso fiscale di 21 miliardi.
Il “quantitative easing del Popolo” è una versione più eterodossa – e più interessante – di questa idea. Nel caso del quantitative easing convenzionale, la banca centrale acquista titoli di Stato dalle banche o dalle società e confida sulla liquidità extra che in tal modo viene “stampata” per stimolare la spesa privata. Studi in materia suggeriscono, tuttavia, che gran parte di questo denaro va in attività speculative, con il rischio che si producano bolle, piuttosto che essere incanalata in investimenti produttivi.
Un’alternativa sarebbe quella di distribuire il denaro della banca centrale di nuova emissione direttamente a cooperative edilizie, enti locali e banche di investimento nazionale o regionale e a qualsiasi organizzazione in grado di realizzare progetti infrastrutturali. Questo è ciò che propone Corbyn.
Questa idea di finanziamento monetario dei disavanzi di bilancio – prendendo a prestito dalla banca centrale, piuttosto che dai mercati obbligazionari – ha un pedigree di tutto rispetto. In una conferenza per la Cass Business School nel febbraio 2012, Adair Turner, l’ex presidente dell’Authority per i Servizi Finanziari del Regno Unito, l’ha proposta come opzione nel caso che ulteriori prestiti dai mercati fossero politicamente o finanziariamente impossibili.
La proposta di Corbyn, a differenza del classico finanziamento monetario, non porterebbe ad un aumento del debito pubblico, il che è un grande vantaggio. Il quantitative easing ortodosso – chiamiamolo “monetizzazione di tipo 1” – è destinato ad essere invertito, poiché le tasse verranno utilizzate per raccogliere i soldi per il rimborso dei titoli di Stato detenuti dalla banca centrale. E l’aspettativa di futuri aumenti delle tasse potrebbe spingere la gente a risparmiare parte del nuovo denaro, piuttosto che a spenderlo. Il quantitative easing non ortodosso – che chiameremo “monetizzazione di tipo 2” – evita questo problema, perché il prestito dalla banca centrale non viene rimborsato. Le sue attività sono a fronte delle passività del governo. Questo è il motivo per cui non dovrebbe essere escluso a priori.
Vi è una forte necessità di “monetizzazione di tipo due” nella zona euro, dovendo fare fronte ad una crescita zero e alla deflazione. Infatti, mentre il programma di quantitative easing inaugurato dalla BCE in gennaio consiste principalmente in acquisti del debito sovrano, è anche vero che la BCE acquisterà anche debito emesso dalla Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti – che sono elementi chiave della “monetizzazione di tipo due”. Come tale, essa contribuirà a finanziare gli investimenti in infrastrutture.
È difficile tuttavia che l’economia britannica, che sta crescendo ad un ritmo di quasi il 3% all’anno, necessiti al momento di un ulteriore programma di QE di qualsiasi genere. Il governo può prendere in prestito tutto ciò che vuole dai mercati obbligazionari a tassi di interesse prossimi allo zero. Spostare tale possibilità di prestito su una banca d’investimento nazionale, è semplicemente un modo per segnalare che qualsiasi ulteriore prestito sarà utilizzato per investimenti e non per la spesa corrente.
Ci sono due argomenti solidi per attivare una tale istituzione nel Regno Unito oggi. In primo luogo, la quota degli investimenti privati ​​sul PIL è ancora al di sotto del suo livello pre-crisi di circa l’11%. Questo suggerisce che gli investitori non hanno fiducia nella durevolezza della ripresa.
In secondo luogo, a seconda del mandato istituzionale, un programma di investimento guidato dallo stato è un modo per riequilibrare l’economia britannica spostandola da attività di speculazione privata verso investimenti a lungo termine per lo sviluppo sostenibile, e dal sud-est del Paese alle Midlands e al nord dell’Inghilterra. In poche parole, esso è un modo per affrontare il contrasto tra “opulenza privata e degrado pubblico” che John Kenneth Galbraith ha messo in luce negli anni ’50.
Corbyn dovrebbe essere (dunque) lodato, e non attaccato, per aver portato all’attenzione del pubblico la serietà di questi problemi, che riguardano il ​​ruolo dello Stato e il modo migliore con cui può finanziare le proprie attività. Il fatto che egli sia criticato per averlo fatto, evidenzia il pericoloso autocompiacimento delle élite politiche di oggi. Milioni di persone in Europa ritengono giustamente che l’attuale ordine economico non sia in grado di trovare risposte ai loro bisogni. Cosa faranno se le loro proteste verranno semplicemente ignorate?
Robert Skidelsky, Perché dobbiamo prendere la Corbynomics in seria considerazione, "Keynes blog", 27-08-15.

giovedì 20 agosto 2015

Edilizia scolastica. Ancora ritardi ?

La montagna, per ora, ha partorito il topolino. Ha un bel dire il ministro Giannini che “gli edifici sono tutti sicuri, e soprattutto da oggi“, dopo che l’anagrafe per l’edilizia scolastica è ai nastri di partenza. Per quanto sembri ardito affermare che la totalità delle scuole italiane sia a prova di crollo, non è nemmeno del tutto vero che l’anagrafe per l’edilizia scolastica sia operativa.
Prima di tutto qualche dato: l’anagrafe ha censito 42.292 edifici scolastici, di cui 33.825 attivi e 8.450 non attivi, non adibiti cioè ad attività connesse, mentre 17 risultano non attivi per calamità naturali. Il 55% è stato costruito prima del 1976 e il 50% prima del 1971, anno di entrata in vigore dell’obbligo di certificazione del collaudo statico, motivo per cui solo il 49% possiede tale certificato, mentre il 48% degli edifici non ha potuto fornire l’attestato di agibilità, e questo è un dato che deve far riflettere e indurre il ministero a un monitoraggio serrato nei confronti di circa metà degli istituti sul territorio.
Insomma in Italia risultano 8.450 edifici scolastici non in funzione perché in ristrutturazione, dismessi, o in costruzione e ancora poche risultano le scuole con le certificazioni in ordine.
La storia dell’anagrafe per l’edilizia scolastica parte 19 anni fa: legge n. 23 del 1996, verrebbe da dire una delle più disattese della storia repubblicana. “Il ministero – si legge al quinto comma –della Pubblica istruzione realizza e cura l’aggiornamento, nell’ambito del proprio sistema informativo e con la collaborazione degli enti locali interessati, di un’anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica diretta ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico. Detta anagrafe è articolata per regioni e costituisce lo strumento conoscitivo fondamentale ai fini dei diversi livelli di programmazione degli interventi nel settore“.
Poco più avanti, la spesa complessiva: “20 miliardi per l’anno 1995 e 200 milioni annui a decorrere dal 1996“. Si parla di vecchie lire, il che significa che fino a oggi per il progetto sono stati spesi 23 miliardi e 800 milioni di lire, vale a dire poco più di 10 milioni di euro. Tollerabile, però l’anagrafe fino a ora non è mai stata aperta etrasparente e l’Osservatorio per l’edilizia scolastica si è riunito per la prima volta a gennaio di quest’anno.
Le regioni hanno istituito proprie piattaforme informatiche per il censimento degli istituti scolastici, ma il Sistema Nazionale delle Anagrafi dell’edilizia scolastica (Snaes) ha iniziato a raccogliere le informazioni solo a novembre 2014 su impulso del governo Renzi.
Nel frattempo è stato destinato un miliardo di euro per i programmi #scuolebelle#scuolesicure e #scuolenuove, pur senza una conoscenza approfondita delle strutture, soprattutto in termini di vulnerabilità sismica e degli elementi non strutturali.
Perché l’anagrafe per l’edilizia scolastica non è soltanto un mero censimento degli edifici a disposizione degli enti, ma deve essere anche uno strumento in grado descrivere nel dettaglio lecondizioni delle scuole italiane: dalla vicinanza di fermate di autobus al numero di piani, fino ai certificati di agibilità e all’indice di vulnerabilità sismica degli edifici.
Da gennaio 2015 è stato un rincorrersi di annunci e presentazioni mancate, l’ultima quella del 22 aprile scorso. Motivazione ufficiale: manca l’invio dei dati da parte di sei regioni. Viene da chiedersi perché, dato che dal 1996 le regioni questi dati avrebbero dovuto collezionarli e aggiornarli di continuo. Dunque fino a oggi le famiglie non hanno modo di sapere quali siano le condizioni di sicurezza degli istituti frequentati dai propri figli.
Insomma, l’anagrafe per l’edilizia scolastica è una cosa ben precisa e soprattutto non deve essere una fotografia, termine che sta girando molto in questi giorni, ma un monitoraggio in continuo aggiornamento e soprattutto in grado di segnalare appunto le debolezze strutturali e i certificati di sicurezza. Quello cioè che è richiesto dalla legge e pure dal Tar che da oltre un anno, accogliendo un ricorso di Cittadinanza Attiva, ha disposto che il ministero apra il suo database all’esterno per trasparenza.
Poco o pochissimo di nuovo sotto il sole dunque, tanto che il sottosegretario Davide Faraone ha pure dichiarato nuovo un progetto che risale addirittura al 2012, cioè Scuola in chiaro, messo in campo dall’ex ministro del governo Monti, Francesco Profumo, che ha gettato le basi per un primo censimento degli istituti.
Il progetto, che si chiamerà Scuola in chiaro – ha detto Faraone -sarà completato quando tutte le regioni ci invieranno i dati richiesti e crediamo che questo possa accadere entro gennaio 2016“. Per ora su Scuola in Chiaro è possibile consultare la mappa delle scuole con alcuni dati aggiornati tra cui i costi del personale, i numeri di classi e alunni e alcuni servizi offerti dalla scuola. D’altronde lo stesso sottosegretario mette le mani avanti al gennaio 2016, nonostante per tutto l’anno gli annunci hanno promesso partenze entro il 2015.
Nel corso della conferenza stampa di venerdì 7 agosto il ministro Giannini ha sottolineato che ancora mancano circa l’8% dei dati che gli enti locali avrebbero dovuto comunicare, e secondo quanto risulta a Wired l’apertura di quella che dovrebbe essere la vera e propria anagrafe per l’edilizia scolastica non è così vicina: al momento deve ancora essere bandita la gara a cui parteciperanno le società interessate nella costruzione della piattaforma per i dati aperti dell’anagrafe.
Una prima ricognizione come quella che hanno mostrato le immancabili slide durante la conferenza stampa di venerdì scorso è un passo avanti, ma da lì all’anagrafe cha aspettiamo da quasi vent’anni il passo è ancora lungo.

Luca Rinaldi, Edilizia scolastica, per l’anagrafe è una falsa partenza, Wired, 10-08-15.

mercoledì 19 agosto 2015

Dormire di più per riuscire meglio a scuola.

Un articolo che riguarda un tema su cui questo blog si è soffermato più volte.
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Una corsa a ostacoli quotidiana fra tazze di latte da ingollare, doccia, vestiti e zaini da preparare al volo per arrivare in tempo in classe. A meno di un mese dalla ripresa delle lezioni, però, quest'anno gli studenti italiani più dormiglioni trovano degli inattesi alleati Oltreoceano: gli scienziati dei Centers ford Disease Control and Prevention (Cdc) Usa. Gli esperti nei giorni scorsi hanno sollevato una polemica negli States, affermando che la scuola - la cui ripresa è alle porte - inizia troppo presto per i bioritmi di bambini e soprattutto adolescenti.
In questo modo i ragazzi non riescono ad accumulare il necessario quantitativo di riposo - 8,5-9,5 ore a notte - e rischiano non solo di incappare in una serie di problemi di salute, ma anche di inanellare brutti voti. Gli esperti hanno esaminato i dati del Dipartimento dell'Educazione Usa (relativi al 2011-12), e spiegano che meno di una scuola secondaria di primo e di secondo grado su cinque inizia dopo le 8.30. In media il portone si apre alle 8.03. Ebbene, secondo l'American Academy of Pediatrics in questo modo gli studenti, specie i più grandicelli - che in genere vanno a letto più tardi - non riescono a dormire a sufficienza. "Un problema comune fra gli studenti delle superiori, associato - rilevano i Cdc - a diversi problemi per la salute: dal sovrappeso al consumo di alcol, fino al fumo. E anche a una scarsa performance accademica".
Gli scienziati hanno esaminato 39.700 scuole pubbliche (medie e licei) americane: in media l'inizio delle lezioni è alle 8.03. Gli adolescenti che non dormono abbastanza finiscono - avvertono i ricercatori - per accumulare peso, non fare abbastanza attività fisica, soffrire di sintomi depressivi e adottare abitudini insidiose (alcol, fumo e abuso di sostanze), accumulando brutti voti a scuola. La ricetta per evitare tutti questi problemi è semplice, almeno all'apparenza: gli adolescenti dovrebbero poter riposare circa 8,5-9,5 ore a notte, per migliorare salute, qualità della vita e voti in pagella.
Come fare? Tutti gli adulti possono giocare un ruolo importante: i primi sono i genitori. Gli esperti dei Cdc li invitano a fissare orari regolari per andare a letto e svegliarsi al mattino, senza troppe alterazioni nei fine settimana. "Un aspetto raccomandato per tutti: bambini, adolescenti e adulti". Se i ragazzi hanno un orario da rispettare, finiscono di sicuro "per dormire più a lungo rispetto ai coetanei" liberi di andare a nanna quando vogliono. E' bene poi ridurre la luce in cameretta di sera e di notte, anche quella dei dispositivi elettronici come pc, telefonini e tablet: disturba il sonno. Anche l'uso della tecnologia è nemico di Morfeo, dopo una certa ora. L'invito ai genitori è quello di bandire i telefonini la sera e di toglierli dalla cameretta. Ma anche di rivolgersi ai dirigenti scolastici locali per sollecitare un 'ritardo' nell'avvio delle lezioni.
Ritardare la campanella, però, può non essere semplice. Sicuramente gli ostacoli più gettonati saranno di tipo organizzativo, ma anche relativi ai costi dei trasporti scolastici, ammettono i Cdc. I benefici di un risveglio ritardato però sono chiari. E anche i medici possono fare la propria parte, dicono i Cdc: è importante che educhino i propri pazienti adolescenti e i loro genitori, informandoli sull'importanza del sonno e sui fattori che possono contribuire a ridurlo troppo, specie fra i teenager.
Perfino i presidi dovrebbero leggere di più: sono invitati a consultare i testi e le ultime ricerche su sonno, orario delle lezioni e salute degli studenti. "Una buona igiene del sonno, combinata con un inizio delle lezioni" più comodo, "permetterà agli adolescenti di essere più sani e di ottenere risultati migliori", assicurano gli studiosi. Chissà se questa autorevole posizione basterà a rivoluzionare gli orari scolastici.

A scuola troppo presto, polemiche in Usa e rischi per gli adolescenti, AdnKronos, 18-08-15. 

mercoledì 12 agosto 2015

"El presente medieval". Intervista a Tommaso di Carpegna Falconieri e Maria Elisa Varela-Rodríguez.

   
di  A. Lalomia

Il 19 maggio di quest’anno, presso il Pati Manning di Barcellona (Catalogna), è stata presentata l’edizione spagnola di Medioevo militante, l’opera di Tommaso  di Carpegna Falconieri su cui questo blog si è soffermato più volte. 1   
Pochi giorni dopo è apparsa l’edizione in lingua turca di un altro libro dello stesso A., L’uomo che si credeva re di Francia, un testo già tradotto in inglese da una delle più prestigiose case editrici statunitensi, la University of Chicago Press (2008).                   Non basta: a conferma dell'eccezionale successo di Medioevo militante e, più in generale, del ruolo che il suo A. occupa ormai nella medievistica mondiale, anche le Publications de la Sorbonne stanno per mandare in libreria l’edizione francese del volume.

domenica 9 agosto 2015

Hiroshima e i sensi di colpa.

 L'equipaggio dell'Enola Gay
di  A. Lalomia

Vorrei proporre una serie di video relativi ad interviste rilasciate dagli uomini che componevano l'equipaggio dell'Enola Gay, il bombardiere B29 statunitense che il 6 agosto 1945 sganciò la bomba atomica su Hiroshima. Sono documenti di rara importanza storica e confermano ancora una volta quale miniera d'oro rappresenti il web per chi voglia condurre delle ricerche senza spostarsi da casa.  


Singapore celebra il cinquantesimo anniversario dell'indipendenza.

di  A. Lalomia

Festa grande a Singapore, per la ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell'indipendenza. 
Negli ultimi anni, questa piccolo arcipelago del Sud-Est asiatico di poco più di 700 Km2 e con una popolazione di più di cinque milioni di abitanti, si è trasformato in un'oasi di benessere e di efficienza, in uno dei principali poli finanziari del mondo, ma anche in un modello di innovazioni tecnologiche, che consentono ad esempio di risolvere alcuni dei maggiori problemi delle aree a forte urbanizzazione e densamente popolate.
Basti pensare che la sua rete metropolitana ha risolto in buona parte il problema dei trasporti, permettendo a più di un milione di abitanti, ogni giorno, di spostarsi agevolmente da un punto all'altro della capitale.


sabato 8 agosto 2015

È normale tutto questo ?

di  A. Lalomia

È giusto che un governo ordini, per ritorsione contro paesi che vengono considerati ostili verso questo stesso governo, la distruzione di ingenti quantitativi di derrate alimentari provenienti da quei paesi ?  
Non sarebbe più ragionevole usare questi prodotti per sostenere le frange meno abbienti della popolazione, soprattutto quelle che non sono in grado di garantirsi un minimo di autosufficienza alimentare ?
Sono domande legittime, quando si assiste a ciò che sta accadendo in Russia, dove, a seguito di un decreto del Presidente della Repubblica emanato il 6 agosto di quest'anno, centinaia di tonnellate di prodotti alimentari vengono distrutti ogni giorno.
La decisione di Putin ha suscitato perplessità e critiche tra la popolazione russa e non manca chi ha già promosso una petizione on line  (che finora è stata firmata da 300.000 persone)  per chiedere di fermare quello che viene considerato giustamente uno sfregio alla povertà e all'indigenza. Situazioni non rare in Russia, dove più del 20 % della popolazione vive al di sotto del margine di povertà.

giovedì 6 agosto 2015

"Celenza Carissima". Lettere di soldati della Grande Guerra a Guido di Carpegna Falconieri.

 Guido Orazio
di Carpegna Falconieri
di  A. Lalomia

Il 12 luglio 2015, nella sala del Trono del maestoso Palazzo dei Principi di Carpegna, si è svolta la presentazione del libro di Tommaso di Carpegna Falconieri e Giorgio Lombardi, Celenza carissima. I soldati della guerra 1915-1918 nelle lettere al principe di Carpegna, Arti Grafiche Stibu, 2015. 

Il testo raccoglie una serie di lettere scritte dai giovani del luogo  (ma non solo) inviati a combattere sui diversi fronti del conflitto al principe Guido di Carpegna Falconieri  (1840-1919) e da lui conservate nell'Archivio di famiglia  (per un totale di circa 1.400 missive).

mercoledì 5 agosto 2015

L'Italia in Cina meridionale.





*  di  Angelo Paratico  

La domanda di merce di origine orientale fu sempre fortissima già a partire dai tempi di Roma imperiale. Il dittatore romano Giulio Cesare fu il primo a indossare una toga di seta e inoltre gli storici narrano che egli donò alla sua amata Servilia, la madre di Bruto, una perla nera dei mari del sud che pagò una somma favolosa.  
Per questo possiamo dire che egli fu un trend-setter e questo spinse altri romani a imitarlo. Uno dei risultati di questa passione per l’esotico che colpì i patrizi romani fu che l’argento e l’oro di Roma scorrevano verso Oriente, un drenaggio di metalli preziosi che nel corso dei secoli provocò varie crisi finanziarie. I romani, infatti, potevano solo esportare vetro, manufatti in metallo, tessuti di lana, che non bastavano per bilanciare i conti. Nerone, nell’anno 54, fu costretto a ridurre il contenuto in oro e argento delle monete romane, per cercare di limitare i danni. Gli imperatori romani organizzarono varie spedizioni in Oriente per trovare degli accordi commerciali e ovviare al problema. Si ricordano particolarmente quelle di Antonino Pio e di Marco Aurelio, i cui ambasciatori siamo certi raggiunsero la Cina. Nonostante ciò lo sbilancio perdurò e non trovò una soluzione fin quando i britannici nel XVIII secolo non cominciarono a sfruttare una merce in grado di appianare i conti: l’oppio. Pagavano i loro acquisti rivendendo lo stupefacente che coltivavano in India.

domenica 2 agosto 2015

Chi ha paura di Ludwig Tieck ? Intervista a Enrico Bernard.

Enrico Bernard
 di  A. Lalomia

Fino a che punto il rispetto per un grande autore può condizionare la ricerca di quegli aspetti della sua vita e della sua opera che potrebbero gettare un'ombra sulla sua immagine ? 
È una domanda che assume un particolare spessore quando ci si deve confrontare con quelle figure della tradizione letteraria su cui esiste un consenso di critica e di pubblico pressoché unanime.  
In definitiva: può un critico, spinto dal desiderio di ricostruire determinati percorsi creativi seguiti dalla celebrità nazionale, avventurarsi nel campo delle analogie, per alcuni irriverenti, ma pur sempre verosimili, se dimostrate scientificamente e filologicamente ?  Può questo stesso critico sostenere, prove alla mano, ad esempio, che uno dei numi tutelari della nostra letteratura, Luigi Pirandello, ha utilizzato come fonte d’ispirazione per alcuni suoi testi  -in un modo che rasenta la traduzione letterale-  la produzione artistica di un grande esponente del Romanticismo tedesco, Ludwig Tieck, ‘sommergendo’ quelle opere di riferimenti a Tieck, ma senza dichiararlo esplicitamente (a differenza di quanto ha fatto per altri)  ? 
Fino a che punto i numerosi rimandi tra Pirandello e Tieck possono considerarsi come una legittima attività compiuta da un autore in cerca di un’idea ?  Fino a che punto questa stessa attività non deve invece essere giudicata come un processo di acquisizione inconsueto e forse discutibile ? 
Parliamo di questo tema  (ma non solo)  con Enrico Bernard, critico letterario, autore, regista e docente attivissimo a livello internazionale, che ha affrontato la questione in un saggio apparso per la prima volta nel 2006 sulla “Rivista di studi germanici”, riproposto  poi su "Italica" e apparso recentemente anche  su Academia.edu  e su altre testate scientifiche.
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sabato 1 agosto 2015

La prima guerra mondiale sul fronte lettone.

Un telegramma di poche righe, inviato il 1° agosto del 1915 dal comandante in capo dell’esercito zarista nel fronte nord occidentale Aleksejev, al deputato lettone del Consiglio di Stato russo Jānis Goldmanis, concedeva ai lettoni di formare i loro primi due battaglioni di fucilieri da impiegare nel fronte baltico davanti all’avanzata dell’esercito tedesco.
E’ questo l’atto di nascita ufficiale dell’embrione dell’esercito lettone. La possibilità di costituire una formazione militare ufficiale, all’interno dell’esercito zarista, nel 1915 darà la spinta decisiva, non solo militare ma anche e soprattutto psicologica ai movimenti indipendentisti lettoni per puntare all’obiettivo finale della guerra, l’indipendenza del paese e la creazione della prima Repubblica di Lettonia.
Ma nell’agosto del 1915 la situazione nei territori baltici era tragica. L’esercito tedesco ad aprile aveva lanciato una prima offensiva nel governatorato del Kurzeme, fino a raggiungere Jelgava, il principale centro della regione dello Zemgale. Questa prima offensiva fu però respinta con successo dalle forze armate zariste, formate in questa zona già da numerosi soldati lettoni, che si misero particolarmente in mostra nel contrattacco per liberare i territori occupati dai tedeschi.
La Germania sferrò un altro attacco all’inizio di maggio partendo dalla costa occidentale del Kurzeme. Il 7 maggio venne conquistata la città di Liepāja, da cui partì una lenta ma inesorabile avanzata che portò l’esercito tedesco ad occupare a luglio diversi centri del Kurzeme e dello Zemgale, come Ventspils, Dobele e Tukums.
Quasi tutta la popolazione lettone della regione fu costretta ad abbandonare le proprie case e le proprie terre per scappare di fronte all’avanzata tedesca. Una moltitudine di profughi era in fuga verso Riga e soprattutto il Vidzeme, la regione a nord est della Lettonia, confinante con la Russia.
Il 1° giugno si era svolta a Riga, in Tērbatas ielā 1/3, una riunione di politici, soldati ed esponenti della vita pubblica lettone, in cui si decise di chiedere al comando dell’esercito russo zarista la possibilità di formare un’unita militare nazionale lettone. Il 10 giugno l’avvocato Gustavs Kempelis aveva inoltrato ufficialmente tale richiesta al comando russo.
Ma fu solo quando con l’avanzata dell’esercito tedesco cadde anche Jelgava, il 1° agosto del 1915, che la Russia decise di accettare la richiesta dei lettoni di formare unità militari nazionali. Quel giorno partì il telegramma del comandante in capo del fronte occidentale Aleksejev che dava il via libera russo alla creazione di due battaglioni nazionali lettoni, uno di Daugavgrīva e un altro di Riga.
Il 10 agosto il giornale “Dzimtenes Vēstnesis” pubblicava un proclama scritto da Kārlis Skalbe e Atis Ķeniņš“Pulcējaties zem latviešu karogiem!” (Riunitevi sotto le bandiere lettoni!) e firmato dai deputati lettone del Consiglio di stato russo, in cui si chiedeva ai lettoni dai 17 ai 35 di mobilitarsi e confluire nei battaglioni nazionali dei fucilieri.
“…Il nemico riduce in cenere le nostre case, e trasforma in rovine le nostre città. I nostri anziani, e i bambini, le madri, le nostre mogli, le figlie sono in fuga dai persecutori. Gridano al cielo la loro sofferenza e si aspettano di essere difesi…

… Dopo 700 anni di nuovo si forma il destino del nostro popolo. Dopo questi 700 anni di sofferenza e attesa, dobbiamo realizzare il sogno della rinascita culturare della nazione. Adesso o mai più! Voi figli di Lettonia, dovete plasmare adesso, sul campo di battaglia, il destino e la gloria della nazione. Voi, gente del Vidzeme e del Latgale, che ancora alzate la falce fra le rovine, e voi, gente del Kurzeme, che avete già lasciato l’aratro ad arrugginire sui campi dei vostri padri, – cambiate la falce e l’aratro con la spada del soldato! E tutti voi che siete dispersi nell’esilio, ma il cui cuore batte per la patria, date una mano nella battaglia! Più abbiamo perso, più dobbiamo riconquistare! Un grande odio forse si può trasformare in una grande speranza e in una grande epoca di conquiste per tutto il nostro popolo. Fratelli, meglio andare in battaglia, piuttosto che perdersi e andare in rovina per strade straniere! Più di sempre, in questi momenti difficili, rimarremo fedeli alla nostra patria e forgeremo noi stessi il nostro destino!…”
La risposta dei lettoni fu immediata e impressionante. Il 12 agosto si mise al lavoro la prima commisione per l’arruolamento dei fucilieri lettoni volontari, e due giorni dopo già 472 volontari si erano arruolati nell’unità militare lettone. Il 14 agosto vi fu la prima adunata dei fucilieri lettoni in Daugavmala, per partire alla volta di Mīlgrāvīs, dove si sarebbe svolto l’addestramento.
Nei tre mesi successivi furono circa cinquemila i lettoni che chiesero di arruolarsi nei battaglioni dei fucilieri, tanto che il numero dei battaglioni presto aumentò.
I volontari lettoni avevano le motivazioni più diverse, come pure diverse erano l’estrazione sociale e la provenienza. La base era formata dai soldati lettoni che come detto già era impiegata nel fronte occidentale all’interno dell’esercito zarista. Molti altri volontari provenivano dai profughi del Kurzeme, che si erano trovati senza più casa, terra e lavoro, e provavano un forte odio nei confronti dell’invasore tedesco.
Molto diversa era anche la provenienza sociale. Si arruolavano volontari chi aveva perso tutto, chi era in cerca di avventura, ma anche molti intellettuali e membri dei movimenti indipendentisti lettoni. Fra questi gli scrittori Aleksandrs Grīns, Edvarts Virza e Kārlis Skalbe, e artisti come Jāzeps Grosvalds e Niklāvs Strunke.
Insieme ai battaglioni nazionali lettoni vennero create anche attività correlate e di sostegno, fra cui assemblee letterarie, orchestre, teatri e giornali. La lingua ufficiale all’interno dei battaglioni era il lettone, e potevano far parte dei battaglioni tutti i lettoni dai 17 ai 35 anni.  Spesso si chiedeva anche agli arruolati di portare con sé biciclette ed eventuali altri mezzi di trasporto, come pure vestiti, lenzuola, biancheria, scarponi. Tutto poteva servire come materiale per la nuova formazione militare nazionale.
Non furono soltanto lettoni però quelli che militarono nei battaglioni nazionali dei fucilieri. Erano presenti anche soldati di altre nazionalità, come ebrei, lituani, estoni, polacchi e russi.
Molti furono anche i soldati lettoni, impegnati in quel tempo nell’esercito zarista su altri fronti, a chiedere di essere destinati ai battaglioni nazionali lettoni, ma non sempre queste richieste venivano esaudite. Il sospetto dei generali zaristi nei confronti di un’eccessiva espansione dei battaglioni nazionali lettoni prevaleva anche sulle necessità immediate della guerra, e spesso i battaglioni lettoni venivano mandati al massacro in azioni militari disperate.
Le prime truppe di fucilieri lettoni inquadrate nel battaglione nazionale di Daugavgrīva, dopo la preparazione, furono inviate al fronte, nei pressi di Olaine il 23 ottobre del 2015. Nella prima battaglia, alcuni giorni dopo, a Tīreļpurvs, morirono i primi tre fucilieri.
Negli anni successivi, durante la guerra, furono formati altri battaglioni, il III battaglione del Kurzeme, il IV del Vidzeme, il V dello Zemgale, il VI di Tukums, il VII di Bauska e l’VIII di Valmiera, che furono impiegati in numerosi combattimenti in varie zone del fronte di guerra.

La disoccupazione giovanile ? Si può arginare.

È un centro di eccellenza capace di rispondere all’emergenza disoccupazione giovanile creando un’offerta di lavoro adatta alla domanda delle aziende. Ma non solo. Il Polo Formativo del Legno Arredo, avviato nel 2013 a Lentate sul Seveso, è anche fonte di riscatto per chi un lavoro ce lo aveva ma lo ha perso. «Siamo i primi ad essere stupiti dei risultati, per questo abbiamo deciso di informare il pubblico e le imprese offrendo una strada per salvarsi dalla crisi». Giovanni De Ponti, direttore generale di FederlegnoArredo, spiega così a tempi.it le ragioni della presenza della federazione imprenditoriale al Meeting di Rimini: «Oltre a responsabilizzare i giovani e gli imprenditori, anche le famiglie devono conoscere il vantaggio che possono trarre dai nostri percorsi».

Direttore, perché un polo formativo per rispondere a un problema come la disoccupazione giovanile?
Abbiamo aperto nel 2013, ma dopo un lavoro di otto anni cominciato alla fine del primo mandato dell’attuale presidente di FederLegnoArredo, Roberto Snaidero. Durante la conferenza stampa di fine anno, Snaidero lanciò un grido d’allarme: le imprese avevano bisogno di mano d’opera, ma non riuscivano ad assumere perché pochi erano in grado di lavorare sulle macchine a controllo numerico, uno dei punti di eccellenza del nostro settore. Quindi cominciammo un progetto di lavoro, che partì dalla ricerca di figure professionali adeguate alla domanda dell’industria. Dopodiché cercammo dei punti di formazione in grado di rispondere alla nostra richiesta, radunando le scuole professionali del settore legno arredo. L’incontro ci aprì gli occhi: nel sistema formativo di allora mancava un collegamento stabile fra scuola e impresa. Dall’amara constatazione, però, nacque qualcosa di buono: gli imprenditori decisero di dar vita tramite la Federazione al Polo Formativo. In quel momento avevamo approfondito il rapporto con la Cooperativa sociale Aslam (Associazione Scuole Lavoro Alto Milanese), impressionati dalla loro capacità di formare i giovani e dal tasso di occupazione raggiunto dalle loro scuole: circa l’85 per cento degli studenti assunti, stabilmente occupati anche dopo un triennio. Perciò la scegliemmo come partner e due anni fa partimmo con il primo percorso di base per operai specializzati, aperto ai diplomati delle scuole medie inferiori. I ragazzi qui imparano a lavorare il legno, a mano e sulle macchine a controllo numerico. L’anno scorso abbiamo poi avviato un altro percorso, per i diplomati della scuola media superiore, interno alla Fondazione Istituto Tecnico Rosario Messina. La Fondazione è aperta alla realtà del territorio e include enti locali, enti formativi e poli universitari, per accrescere il know-how. Il corso che ospita è di alta formazione specialistica per tecnici commerciali (“export manager” di prodotti di alta qualità), insegna il valore e la storia dei prodotti con il fine di saperli presentare al mercato internazionale e ha una durata di due anni.


Quante aziende si sono interessate ai vostri alunni?
I ragazzi del primo percorso sono richiesti sia dalle aziende industriali sia da quelle artigiane perché imparano a trattare il legno su macchina e a mano. Gli alunni del corso di export manager sono di solito richiesti da grandi aziende industriali.


Vede già dei risultati?

Tenendo conto che i primi fruitori del secondo percorso non l’hanno ancora concluso, il successo sta nel fatto che le aziende si sono contese le 21 persone iscritte: al Salone del mobile di Milano i ragazzi erano tutti presenti presso le nostre aziende che esponevano. Mentre i giovani del primo corso saranno assunti al termine di quest’anno. Vedremo con quali percentuali. Ma siamo fiduciosi perché il distretto industriale della Brianza conta più di 8 mila aziende, è il secondo settore manifatturiero per numero di imprese e conta un export, fra gennaio e marzo 2014, di ben 371.775.689 euro. Per questo ingrandiremo la sede del Polo e immaginiamo di aprirne altri nei distretti in cui siamo presenti. Nel Triveneto le imprese che rappresentiamo ne hanno già fatto richiesta. 

Giocando d’anticipo, tre anni fa, avevate inserito nel vostro contratto nazionale l’apprendistato. Con quali vantaggi?
Abbiamo deciso di inserirlo per i minorenni che devono ancora assolvere l’obbligo formativo, in accordo con i sindacati dei lavoratori, in modo che i ragazzi possano essere assunti a tempo indeterminato mentre stanno ancora seguendo un percorso professionalizzante. Il contratto prevede una fase decrescente di obbligo formativo, per cui dal primo anno in poi le ore in aula decrescono mentre aumentano quelle passate in azienda. La retribuzione invece aumenta a scatti minimi crescenti. Tutto ciò implica un onere minore, a parità di qualifica, per l’azienda che si avvale anche degli sgravi contributivi previsti per l’apprendistato. Da qui derivano tre effetti principali: la responsabilizzazione dell’azienda verso lo studente, che decide di assumere; la responsabilizzazione del ragazzo, che formandosi con un contratto già in mano sarà maggiormente spronato a studiare; la responsabilizzazione delle famiglie verso il loro figli, assunti prima ancora di terminare gli studi in un momento di crisi. Le prime assunzioni cominceranno da settembre. Per questo stiamo divulgano la conoscenza di questo nuovo strumento, ancora sconosciuto a troppe aziende.

All’interno del Polo esiste anche un percorso formativo per chi ha perso lavoro. Come mai?
Insieme ai corsi di formazione permanente per le persone occupate presso le nostre aziende, abbiamo pensato anche a quanti sono disoccupati. Questo servizio è un grande arricchimento per noi. Solitamente quando pensi a un disoccupato lo fai con tristezza, mentre qui incontri persone contente e motivate, che si dicono convinte di ritrovare uno spazio nel mercato del lavoro. Vedere che oltre alla competenza trasmettiamo speranza ci sprona a continuare costruire nelle difficoltà.


Come raggiungere l’utenza alla ricerca di lavoro?
Il prossimo appuntamento sarà a fine agosto al Meeting di Rimini, dove saremo presenti con uno stand nel padiglione C1. Attraverso la mostra “Benvenuti a casa nostra” faremo vivere ai visitatori il nostro approccio al mondo dell’impresa che ha come punto di visibilità l’eccellenza presentata al Salone del mobile di Milano. Mostreremo poi la genesi dei prodotti, la loro realizzazione fisica da parte dei ragazzi del Polo Formativo ed esporremo pezzi storici inediti dei grandi maestri del design provenienti dalla Triennale di Milano. Mentre un filmato narrerà gli oltre cinquant’anni di storia del Salone del mobile. Infine si potranno incontrare i ragazzi del Polo Formativo insieme agli imprenditori presso cui hanno svolto lo stage. Perché, come ha spiegato il presidente Snaidero, fin dalla prima partecipazione al Meeting di Rimini, abbiamo avuto come obiettivo principale quello di incontrare i giovani e le famiglie, per suscitare in loro la curiosità per i mestieri e le professioni del legno-arredo.