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mercoledì 5 agosto 2015

L'Italia in Cina meridionale.





*  di  Angelo Paratico  

La domanda di merce di origine orientale fu sempre fortissima già a partire dai tempi di Roma imperiale. Il dittatore romano Giulio Cesare fu il primo a indossare una toga di seta e inoltre gli storici narrano che egli donò alla sua amata Servilia, la madre di Bruto, una perla nera dei mari del sud che pagò una somma favolosa.  
Per questo possiamo dire che egli fu un trend-setter e questo spinse altri romani a imitarlo. Uno dei risultati di questa passione per l’esotico che colpì i patrizi romani fu che l’argento e l’oro di Roma scorrevano verso Oriente, un drenaggio di metalli preziosi che nel corso dei secoli provocò varie crisi finanziarie. I romani, infatti, potevano solo esportare vetro, manufatti in metallo, tessuti di lana, che non bastavano per bilanciare i conti. Nerone, nell’anno 54, fu costretto a ridurre il contenuto in oro e argento delle monete romane, per cercare di limitare i danni. Gli imperatori romani organizzarono varie spedizioni in Oriente per trovare degli accordi commerciali e ovviare al problema. Si ricordano particolarmente quelle di Antonino Pio e di Marco Aurelio, i cui ambasciatori siamo certi raggiunsero la Cina. Nonostante ciò lo sbilancio perdurò e non trovò una soluzione fin quando i britannici nel XVIII secolo non cominciarono a sfruttare una merce in grado di appianare i conti: l’oppio. Pagavano i loro acquisti rivendendo lo stupefacente che coltivavano in India.





La via usata dai romani per raggiungere l’estremo Oriente era una combinata terra-mare, come diremmo oggi usando il gergo degli spedizionieri, che però fu abbandonata alla fine del II secolo d.C. e solo parzialmente usata nuovamente durante il Medioevo. Solo nel XIII secolo, grazie all’impero costruito a tempo di record dai mongoli, il più grande mai apparso sulla terra, le porte dell’Oriente si spalancarono nuovamente sulla via terrestre, oggi nota come la via della seta. Molti intrepidi mercanti, avventurieri e missionari si spinsero a est in cerca di nuove opportunità, che non furono sempre oneste, in verità. Per esempio genovesi e veneziani furono incaricati dai conquistatori mongoli di operare come loro agenti e di rivendere al miglior offerente migliaia di prigionieri che avevano catturato saccheggiando città e villaggi tedeschi, russi, polacchi e ungheresi. 

La domanda di prodotti provenienti dall’Oriente restò sempre elevata in Europa: tutti volevano avere pepe, noce moscata, cannella, liquirizia, zenzero, mostarda, coloranti come l’indaco, la porpora, semi di piante esotiche e da frutto e il cotone che allora era chiamato “agnello vegetale”, essendo sconosciuta la sua origine. Non dobbiamo dimenticare le medicine, alle quali venivano accordate favolose proprietà curative; ci restano molti libri scritti durante il Rinascimento nei quali questi farmaci venivano presentati come delle panacee. La tentazione di trovare una via diretta per procurarsi queste merci era dunque enorme.

Marco Polo (1254-1324) nel suo viaggio di ritorno verso Venezia s’imbarcò a Quanzhou, nella provincia del Fujian, e transitò, stando sotto costa, davanti alle zone dove oggi sorgono Macao e Hong Kong.        

Nel 1318, nel suo viaggio in Oriente Odorico Mattiuzzi da Pordenone (1265-1331) fece una parte del tragitto via terra, ma a Bombay s’imbarcò e raggiunse lo Sri Lanka, poi da lì, sempre per nave, raggiunse le coste meridionali della Cina, sbarcando presso Canton, per poi risalire sino a Pechino. Regnava a quel tempo un pronipote di Gengis Khan che aveva conosciuto Marco Polo. Nel suo viaggio di ritorno passò dal Tibet, entrando a Lhasa, poi proseguì per la Persia e l’Armenia, tornando sano e salvo sino al suo Friuli.

L’impero dei mongoli, alla fine del XIII secolo, con la stessa rapidità con cui era stato costruito, si disfece e sparì. Fu così che ritornarono gli intermediari commerciali arabi e persiani, e i prezzi delle mercanzie esotiche ebbero un’impennata.                                         

Prima dei viaggi dei navigatori portoghesi, i fratelli genovesi  Ugolino e Vadino Vivaldi      
(?-1291), vista l’impossibilità di attraversare i paesi controllati dagli arabi, decisero di 
viaggiare verso oriente circumnavigando l’Africa, anticipando Vasco da Gama e i 
portoghesi di due secoli. Ottennero finanziamenti da mercanti genovesi e da certi nobili. 
Partirono nel 1291 su due galere, l’Allegranza e la Sant’Antonio, con un equipaggio di 
trecento uomini. Fecero sosta a Majorca e furono visti per l’ultima volta davanti alle coste 
del Marocco. Il loro fato resta un mistero. I loro figli lanciarono una spedizione per cercarli, 
ma non riuscirono a venire a capo di nulla. In seguito varie leggende fiorirono su ciò che 
poteva essere accaduto e furono verosimilmente all’origine dell’ispirazione di Dante 
Alighieri (1265-1321) quando nel canto XXVI dell’Inferno descrive la fine di Ulisse.

Un gran numero d’italiani sbarcò nel sud della Cina a partire dagli inizi del XVI secolo: 
soldati, preti, mercanti che viaggiavano per conto proprio o per conto dell’impero marittimo 
portoghese che si stava estendendo sempre di più. Il grande storico inglese C.R. Boxer 
così descrive tale aggressiva crescita: “Era una mistura di appassionata cupidigia, ferina, 
inesorabile, insaziabile, combinata con uno zelo religioso aspro, impervio, mortale, che 
spinse avanti i portoghesi, facendogli perdere ogni remora.”
Il Rinascimento pose nei cuori dei nostri antenati un nuovo spirito, nelle loro menti nuove 
idee, nelle loro mani nuove mappe, nuove armi e nuove tecniche di navigazione e di 
combattimento. Si era creato un nuovo tipo d’umanità, che la imponente civilizzazione 
cinese dei Ming, ancora ferma a un vecchio sistema feudale basato sui tributi, non era in 
grado di contrastare, anche perché aveva proibito il commercio marittimo, dunque le vie 
marittime erano sgombre. Questo pose la Cina in una posizione assai difficile.

Paolo da Pozzo Toscanelli  (1397-1482) fu un medico e filosofo fiorentino che per primo 
ebbe l’idea di navigare verso occidente per raggiungere la Cina. Nell’estate del 1474 
scrisse una lettera a re Alfonso V del Portogallo e a suo figlio Joāo, della quale ci restano 
varie copie. Secondo Toby Lester, autore del libro The Fouth Part of the World (New York 
2004), questa resta “una delle più celebri lettere di tutti i tempi”. Secondo alcuni storici, 
Paolo da Pozzo Toscanelli fu in corrispondenza anche con Cristoforo Colombo, il quale 
effettivamente cercò di raggiungere la Cina navigando verso occidente.

Nel 1459 un frate veneziano, Mauro di san Michele (?-1459), mise insieme una grande 
 G. F. Poggio Bracciolini
mappa del mondo, aggiungendo un gran numero di note e d’indicazioni; era stato aiutato nella sua opera (lui che non era mai uscito dall’Italia) da altri cartografi e da viaggiatori, quali Andrea Bianco (?-1445) e Niccolò de’ Conti (1395-1469). Quest’ultimo parlava e leggeva l’arabo ed era stato in Oriente (fu in Birmania e in  Vietnam) e una volta tornato a Venezia raccontò al grande letterato fiorentino Poggio Bracciolini  (1380-1459) le proprie avventure, che questo poi pubblicò nel suo De Varietate Fortunae. Il mappamondo di Fra Mauro era stato commissionato dal re del Portogallo e, assieme alla lettera di Paolo Da Pozzo Toscanelli, contribuì a spingere i portoghesi verso oriente. Una seconda copia di questo mappamondo ellittico, avente circa due metri di diametro, è conservato presso la biblioteca Marciana di Venezia, mentre quello mandato in Portogallo è andato perduto, anche se nel XVIII secolo figurava ancora nell’archivio del monastero di Alcobaça.

Il fiorentino Andrea Corsali (1487-?) viene ricordato principalmente per essere stato il primo navigatore ad aver descritto – e schizzato su di una sua celebre lettera – la costellazione della Croce del Sud, che oggi fa parte della bandiera australiana. Scrisse alcune lettere a Giuliano de’ Medici nel 1515 per informarlo di quanto i portoghesi andavano scoprendo in Oriente. Corsali aveva conosciuto personalmente Leonardo Da Vinci, il quale, sia qui detto per inciso, nutriva un vivissimo interesse per i paesi orientali, invero un interesse molto più ampio che per il continente americano. Certe sue annotazioni lo testimoniano. La presenza di Corsali su un vascello battente bandiera portoghese avvalora ancor di più l’ipotesi di un diretto interesse finanziario della casata dei Medici nelle scoperte portoghesi lungo quella che divenne poi nota come la “via delle spezie”.
Diverse sono le testimonianze che ci sono pervenute sui primi incontri con i cinesi. Corsali 
stesso, in una delle sue famose lettere, li descrisse come persone di grande abilità e simili 
noi. 

Giovanni da Empoli (1483-1518), anche lui fiorentino e braccio destro dell’ammiraglio 
portoghese Afonso de Albuquerque (1453-1515), ne rimase molto ben impressionato e, 
curiosamente, li descrisse come uomini dalla pelle chiara, con vestiti in stile tedesco e con 
calzature in stile francese. Suo padre, Leonardo, aveva un banco di cambio e fu da lui che 
Giovanni apprese l’arte del cambio e della finanza. Entrambi furono seguaci del Savonarola 
ma dopo la caduta del frate domenicano preferirono dedicarsi solo al commercio. Nel 1502 Giovanni si trovava a Bruges, poi accettò di partire per le Indie salpando da Lisbona per 
conto dei finanzieri Gualtierotti e Frescobaldi. Compì ben tre viaggi. Per l’ultimo partì 
sempre da Lisbona il 7 aprile 1515 sulla flotta comandata da Lobo Soares de Albergaria. 
Scrisse in una sua lettera: “Hanno discoperto la Cina… la quale è la maggior ricchezza che 
sia al mondo… Son tante le cose grandi che di là vengono, che sono stupende: che se io 
non muoro, spero innanzi che di qui mi parta, fare un salto là a vedere il Gran Cane, che è 
il re, che si chiama il re di Cataio…”. Giovanni da Empoli lo possiamo definire il primo 
banchiere viaggiatore europeo della storia asiatica. Stava a fianco di Albuquerque durante 
la sua spedizione a Melaka e più avanti fu inviato a Sumatra, dove si fermò prima di andare 
in Cina. Pare che sia morto vicino a Macao nel 1518, dunque almeno il suo desiderio di 
vedere la Cina prima di morire fu esaudito.

Benedetto Scotto (?-1640) fu un bizzarro nobiluomo genovese che all’inizio del XVII secolo 
scrisse un libro nel quale sosteneva che fosse possibile raggiungere la Cina passando dal 
Polo Nord e poi scendendo giù dal Giappone – la linea seguita oggi da certe compagnie 
aeree europee –, ma via mare era chiaramente impraticabile. 
Nel suo libro lo Scotto parlò del Continentis Australe che si trovava dopo la Nuova Guinea, 
zone che a suo dire erano gigantesche, colme di ricchezze e paragonabili al Giardino 
dell’Eden. Queste informazioni potrebbe averle raccolte dalle lettere di Corsali o da altri 
esploratori. Il suo libro fu pubblicato ad Anversa nel 1618 e più tardi in Francia. Pare che la 
sua vivida, pur essendo immaginaria, descrizione delle ricchezze australi sia stata da 
sprone ai navigatori olandesi nell’esplorare l’Australia. Il primo sbarco fu compiuto 
dall’olandese William Janszoon nel 1606, ma spedizioni meglio organizzate, sempre da 
parte olandese, si ebbero solo nel 1623 e nel 1636.

Un altro sfortunato esploratore genovese fu Paolo Centurioni (?-1525), che propose un 
itinerario verso la Cina simile a quello seguito oggi dalla ferrovia transiberiana. Poiché la via 
marittima pareva un monopolio portoghese, il re britannico Enrico VIII (1491-1547) stava 
proprio progettando un tragitto simile al suo. Aveva programmi di sviluppo tanto seri al 
punto da invitare Centurioni a Londra per discuterne, ma sfortunatamente l’intraprendente 
italiano si ammalò e vi morì.

Agli inizi del Cinquecento, il controllo dei commerci con l’Oriente fu all’origine dello scontro 
tra veneziani, arabi e persiani da un lato e portoghesi dall’altro, rei di aver ormai preso il 
sopravvento tagliando fuori tutti gli intermediari. I mammalucchi egiziani, con il supporto 
tecnico dei veneziani, avevano smontato i loro vascelli ad Alessandria d’Egitto e li avevano 
rimontati sulla riva del mar Rosso per impiegarli contro i portoghesi. Tutti questi sforzi non 
servirono a nulla: la superiorità portoghese in termini di armamento e manovrabilità decise 
lo scontro. Dom Francisco de Almeida (1450-1510) il 3 febbraio 1509 sconfisse la flotta 
musulmana a Diu, sulle coste occidentali dell’India. Quello fu l’inizio di un annus horribilis 
per Venezia. Infatti, la lega di Cambrai, composta da tutte le maggiori potenze europee, 
con l’eccezione dell’Inghilterra e dell’Ungheria, prese le armi contro Venezia e invase il 
territorio della Serenissima. Nella primavera del 1509, il 14 maggio, un esercito composto 
principalmente di soldati francesi sconfisse i veneziani, che persero d’un colpo le città di 
Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e Padova. Le conquiste di otto secoli andarono 
perdute in un giorno, come notò con soddisfazione Niccolò Machiavelli, che non li amava. 
In seguito recuperarono un po’ del terreno perduto, ma l’aspirazione di san Marco di essere 
una potenza europea morì quel giorno.

Vasco da Gama (1460-1524) raggiunse Calicut nel 1498 e udì raccontare delle storie di 
uomini dalla faccia pallida, con la barba, che viaggiavano su grandi navi e che si 
chiamavano Chin. Quelle storie forse erano ciò che restava del passaggio della grande 
flotta dell’ammiraglio Zheng He (1371-1433).

Il primo incontro fra una nave cinese e una europea dev’essere avvenuto verso il 1511 a 
Malacca. Vedendo i propri commerci in pericolo, i mercanti arabi presenti in quel porto 
convinsero il sultano di Malacca ad attaccare i portoghesi. Molti furono uccisi o catturati ma 
altri riuscirono a fuggire e tornarono con una flotta di diciotto navi guidata dal nuovo viceré, 
Afonso de Albuquerque (1453-1515), che prese d’assalto la fortezza. I mercanti cinesi si 
offrirono di aiutare i portoghesi, ma questi rifiutarono.

Ludovico di Varthema  (1470-1517), bolognese, per sete d’avventura s’imbarcò a Venezia 
per intraprendere un viaggio verso il Siam (Tailandia) e la Malesia. S’arruolò nell’armata 
portoghese divenendone un ufficiale. La sua condotta fu così apprezzata che Francisco de 
Almeida lo decorò.  Descrisse il suo straordinario viaggio in un libro intitolato Itinerario di 
Ludovico di Varthema, Bolognese, che fu pubblicato nel 1510. Descrive i suoi viaggi verso 
la Terra Santa e poi verso l’Oriente. Mentre viaggiava diretto a Chittagong condivise 
l’imbarcazione con un persiano e con due cristiani cinesi, forse dei nestoriani. Passò del 
tempo a Java e a Malacca; racconta che mentre stava a Calicut incontrò due artigiani 
milanesi, che avevano disertato i portoghesi e che poi avevano preso servizio presso il 
monarca locale. Possiamo definire questo uno dei primi casi di trasferimento di tecnologia. 
Era l’agosto del 1505. Queste sono le sue parole rese in italiano moderno: 
“Raggiungemmo Calicut sulla via del ritorno, come ho scritto poco prima, vi trovammo due 
cristiani che erano milanesi. Uno si chiamava Gian Maria e l’altro Pietro Antonio, ed erano 
giunti su navi dal Portogallo per comprare gioielli per conto del re. E quando giunsero a 
Cochin fuggirono a Calicut. In verità fui felicissimo di aver incontrato questi due cristiani. 
Andavamo in giro nudi, seguendo le abitudini del luogo. Chiesi se fossero cristiani. Gian 
Maria rispose: “Certo, lo siamo.” Pietro Antonio chiese a me se fossi cristiano. Risposi: “Sì, 
grazie a Dio.” Mi prese allora per mano e mi portò nella sua casa. Quando fummo entrati 
cominciammo ad abbracciarci e a baciarci, piangendo. A dir il vero non potei parlare come 
un cristiano: pareva che la mia lingua fosse ormai pesante e impacciata, poiché per quattro 
anni non avevo parlato a dei cristiani. La notte seguente restai con loro e non fui capace né 
di dormire né di mangiare per la gran gioia. Potete immaginare che ci augurammo che 
quella notte non avesse mai fine per la reciproca contentezza, così che avremmo potuto 
parlare di varie cose, fra le quali gli chiesi se conoscessero il re di Calicut. Mi risposero che 
erano i suoi capomastri e che gli parlavano ogni giorno. Gli chiesi allora quali fossero le loro 
intenzioni. Mi dissero che ben volentieri sarebbero tornati nella loro città, ma non sapevano 
che via seguire. Gli risposi: “Tornate seguendo la via che avete seguito per venire.” Dissero 
che non era possibile, perché erano disertori per i portoghesi e che il re di Calicut li aveva 
obbligati a fabbricare un gran numero di pezzi d’artiglieria, contrariamente alla loro volontà, 
e per via di ciò non volevano rifare la stessa strada per fuggire. Aggiunsero che si 
aspettavano l’arrivo della flotta del re di Portogallo molto presto. Gli risposi che se Dio mi 
avrebbe concesso la grazia di poter fuggire, avrei raggiunto Cananor quando la flotta vi 
sarebbe giunta, e mi sarei dato da fare per far loro avere un perdono; aggiunsi che per loro 
non era possibile prendere altra via di fuga perché era noto a tutti che sapevano produrre 
pezzi d’artiglieria. Molti re avrebbero voluto averli al proprio servizio per via della loro abilità 
perciò nessuna altra via era a loro aperta. Si noti che avevano già prodotto circa 
cinquecento bocche da fuoco, grosse e piccole, e perciò avevano una gran paura dei 
portoghesi, in verità avevano buon motivo di temerli, perché non solo produssero dei pezzi 
ma insegnarono anche a quei pagani come produrne loro stessi e usarle, infatti aggiunsero 
che avevano insegnato a quindici servi del re come sparare le spingarde. Proprio nei giorni 
in cui stavo con loro diedero a uno di questi pagani un disegno costruttivo d’un mortaio del 
peso di cento e cinquanta cantara da costruirsi in metallo. C’era pure un ebreo che aveva 
costruito un bel galeone e aveva fabbricato quattro mortai di ferro. Il detto ebreo annegò in 
un laghetto in cui si era tuffato. Torniamo ai due cristiani: Dio sa ciò che gli dissi, esortandoli a non mettere in pericolo la vita di altri cristiani. Pietro Antonio piangeva senza sosta e Gian Maria disse che per lui era lo stesso morire a Calicut o a Roma, e che gli bastava che la volontà di Dio fosse fatta”

Ben poco si sa dei primi contatti fra diverse civiltà. Le memorie sono poche e spesso 
incomplete. 
Il primo, o uno dei primi, europei a essere sbarcato sulle coste della Cina meridionale, dopo 
aver compiuto il viaggio via mare, fu forse il portoghese di origine italiana Raffaele 
Perestrello (?–dopo 1524?). Il suo antenato, Filippone Perestrello, si era trasferito in 
Portogallo nel 1385 con la moglie, una Sforza. Vissero a Oporto e poi a Lisbona. Sua 
cugina, Filipa Moniz Perestrello, sposò Cristoforo Colombo. Raffaele Perestrello fu inviato 
in Oriente per stabilire contatti commerciali con i cinesi. S’imbarcò su una nave diretta a 
Malacca e sbarcò sulle coste della provincia del Guangdong, nella Cina meridionale; vi 
scambiò della merce e poi ripartì. L’anno non è certo, probabilmente si trattava del 1513 o 
1514, e si sa che tornò nuovamente nel 1516. I suoi rapporti molto ottimistici sulle possibili 
aperture al commercio della Cina indussero Tomé Pires (1465–1524) e Fernăo Peres de 
Andreade (?–1523) a tentare una missione diplomatica. Questa fu un fallimento, ma nel 
1521 e 1522 i commercianti portoghesi ottennero un importante successo potendo gettare 
l’ancora a Tuen Mun (ora parte del territorio di Hong Kong) e successivamente a Macao, 
una penisola dove i portoghesi misero al riparo le proprie navi a partire dal 1535, dove nel 
1557 ottennero un permesso di residenza dalle autorità cinesi. L’occupazione di Macao da 
parte del Portogallo, tacitamente accettata dalla Cina dei Ming, diede una base stabile dalla 
quale operare, non solo al Portogallo, ma anche a molti altri paesi europei.
Tra i primi europei ad arrivare in Cina ci fu anche il capitano portoghese Jorge Alvarez (?–
1521), che sbarcò nel maggio 1513 da una nave birmana che aveva noleggiato, sull’isola di 
Lintin. Oggi è nota come Nei Lintin in cinese e si trova a ridosso delle acque territoriali di 
Hong Kong ma è parte della prefettura cinese di Zhuhai. La si scorge quando si va a 
passeggiare sulla cima del Castle Peak, nei Nuovi Territori di Hong Kong. Non è da 
escludere che in sua compagnia ci fossero anche degli italiani. L’Alvarez nel 1517 risalì il 
fiume delle Perle sino a Canton e, gettando l’ancora di fronte alla città, fece una 
memorabile gaffe, sparando una cannonata in segno di saluto. I cinesi si sentirono offesi da 
tale affronto. Lui spiegò che era solo una forma di saluto e che le navi cinesi che aveva 
incontrato a Malacca facevano lo stesso. La spiegazione peggiorò le cose agli occhi delle 
autorità locali, perché i commerci privati erano stati proibiti con un editto imperiale. Inoltre il 
Sultano di Malacca, che i portoghesi avevano deposto, era un leale tributario cinese.  

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      Macao porta d’Oriente ecc.

 Religiosi europei
a Macao. Sec. XVIII.
I gesuiti a Macao arrivarono al seguito dei mercanti. Nomi grandi e gloriosi come quelli di Alessandro Valignano, Matteo Ricci, Carlo Spinola. Edificarono chiese, aprirono scuole e orfanatrofi, tentarono di evangelizzare la Cina ma fallirono per colpa della grettezza di altri ordini religiosi e delle invidie dei francesi.  Dopo i gesuiti arrivarono i salesiani, le suore 
canossiane e i missionari del PIME.  
Pechino guardò sempre a Macao e successivamente a Hong Kong come a propaggini periferiche del suo vasto impero. Le considerava delle escrescenze di Canton. Delle terre marginali e proprio per tale motivo adatte a mantenere rapporti commerciali con i barbari occidentali, senza venirne contaminati. Non a caso uno dei due ideogrammi che indicano Macao è una porta. Vediamo ora brevemente quali furono i primi passi che portarono al fertile contagio tra Italia e Macao, prima, e Hong Kong, poi.
L’Italia vera e propria è solo di vent’anni più giovane di Hong Kong. Eppure se per Italia intendiamo il Paese dove il sì suona, allora si può tranquillamente andare a ritroso, sino a ben prima della fondazione di Macao. Siamo convinti che gli italiani sbarcati a Macao siano stati davvero molti nel corso dei secoli. Furono perlopiù soldati, marinai e religiosi al servizio di portoghesi e spagnoli. Parliamo anche di Spagna perché a partire dal 1580 il Portogallo, la maggiore potenza coloniale in Asia, passò sotto il dominio spagnolo. Purtroppo la gran parte di questi italiani non si distinsero per opere o per azioni eroiche, e dunque i loro nomi restano a noi sconosciuti. Conosciamo il nome dell’ammiraglio Raffaele Perestrello, cognato di Cristoforo Colombo, del quale abbiamo già accennato qui sopra, ma non i nomi di tutti coloro che lo accompagnarono. Oppure quello di Francesco Carletti (1573-1636) e suo padre, Antonio, due fiorentini che nel 1598 arrivarono a Macao dal Giappone. Oggi Francesco viene ricordato come il primo libero cittadino che compì il viaggio intorno al mondo pagandosi di volta in volta il biglietto. Oltre che dall’incontro con la realtà locale, il loro viaggio fu arricchito anche dall’incontro con il gesuita Alessandro Valignano. Durante la sua permanenza, Antonio Carletti si sentì male, poi morì e fu sepolto a Macao. Il giovane Francesco andò al porto e scorse un suo compagno di scuola scendere da una nave. Era Orazio Neretti che arrivava da Goa. La nave su cui viaggiava Neretti era in ritardo e così perse la coincidenza per il Giappone. Fu una grossa fortuna perché quella nave sparì nel nulla con il suo carico di merce e di uomini. Il Carletti, ritornato nella sua Firenze, dopo essere stato rapinato in alto mare da una nave olandese, scrisse un libro di gran successo con i ricordi del viaggio che compì.                                                                                       

Nel 1695 passò da Macao Giovanni Francesco Gemelli Careri, un nobiluomo napoletano, che stava compiendo il giro del mondo, anche lui per puro diletto; una volta rientrato a Napoli, nel 1700, narrò le proprie avventure in una serie di libri che incontrarono grande successo e furono tradotti in francese e inglese. Secondo alcuni sarebbe stato proprio lui l’inventore del turismo, in quanto il suo viaggio non ebbe scopi commerciali, religiosi, diplomatici o militari. Dedicò ben due capitoli del suo libro alla storia e ai commerci di Macao. Si sospetta che i gesuiti lo scambiarono per una spia inviata segretamente dal papa e quindi fecero di tutto per assecondare i suoi desideri. Lo accompagnarono a Pechino, facendogli incontrare l’imperatore Kangxi, e alla Grande Muraglia. A Pechino Gemelli Careri vide delle carte geografiche cinesi e, per errore, contribuì alla diffusione della leggenda che narra che Matteo Ricci avrebbe collocato la Cina al centro della sua mappa del mondo. Una cosa non vera. I diari di Gemelli Careri ebbero una grande influenza e cento cinquant’anni dopo forse ispirarono Giulio Verne quando scrisse il suo Giro del mondo in ottanta giorni.
Ecco quanto annotava il 9 agosto 1695, mentre risiedeva a Macao: “Andai a vedere rappresentata una commedia alla cinese; questa la facevano fare quelli della vicinanza per lor diporto in mezzo a una piazzetta. Era posto un tavolato ben grande per capire 30 persone fra uomini e donne che rappresentavano; benché io non l’intendessi, perché parlavano in lingua Mandarina, o di Corte; nondimeno alli gesti, e maniere compresi, che rappresentavano con grazia, e abilità. Era parte in stile recitativo, e parte cantata, accordando colla musica la varietà degli strumenti d’ottone, e di legno, secondo l’espressione del commediante. Eran tutti vestiti assai bene, e gli abiti erano ricchi d’oro, che mutavano ben spesso. Durò questa commedia dieci ore, terminando con le candele; poiché finito l’atto si pongono a mangiare i Commedianti, e spesse volte gli ascoltanti sogliono far lo stesso”.

Nel 1784 sappiamo che passò per Macao l’ammiraglio toscano Alessandro Malaspina (1754-1810), al comando di un vascello spagnolo, la Asunción. Vi farà tappa nuovamente negli anni seguenti, prima di cadere in disgrazia a causa di intrighi presso la corte reale di Madrid.

Carlo Vidua (1785-1830), naturalista ed esploratore nativo di Casale Monferrato, visitò Macao nel 1829. L’anno successivo morì a causa di una frattura a una gamba, provocata da una caduta mentre esplorava un vulcano, a Celebes, nell’arcipelago indonesiano.

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E poi sorse Hong Kong


 Mappa ridotta di Hong Kong 

Con la fondazione di Hong Kong, nel 1841, il baricentro della presenza europea in Cina si spostò: un colpo durissimo dal quale Macao non si riprese più. Hong Kong e Macao devono la loro fortuna al fatto che sono sempre stati un porto sicuro dove costituire una base per entrare in Cina e condurvi le proprie attività commerciali.
Giuseppe Garibaldi arrivò a Hong Kong nel 1852 a bordo della sua nave battente bandiera peruviana, la Carmen. Dato che era un ricercato, usava il falso nome di Giuseppe Pane. Fece per qualche settimana la spola fra Macao, Hong Kong, Canton e Xiamen, prima di far ritorno in Sud America. Il suo luogotenente, Nino Bixio, non fece in tempo a giungervi con la sua bella nave a carbone, la Maddaloni. Intendeva aprire un ufficio commerciale a Hong Kong e a Singapore, ma un’epidemia di tifo lo uccise nelle isole della Sonda, nell’arcipelago malese.
Per l’Italia la codificazione degli accordi con la Cina giunse nel 1866. I rapporti diplomatici furono suggellati dal trattato del 26 ottobre 1866 , reso esecutivo in Italia dopo la sua ratifica, con la legge numero 4406 del 23 maggio 1868, la quale stabiliva, fra l’altro, all’articolo 11: “Gl’italiani possono in questi porti far commercio con chicchessia, entrare e uscire con le proprie merci, costruire e affittare case, prendere a censo terre, edificare chiese, ospedali e cimiteri”. Notevole anche l’articolo 54, quello della nazione più favorita: “È espressamente stipulato che il Governo e i sudditi italiani avranno di pieno diritto e in eguale misura tutti i privilegi, immunità e vantaggi che sono stati o saranno concessi nell’avvenire da Sua Maestà l’Imperatore della Cina al Governo e ai sudditi di ogni altra Nazione. Similmente, se alcuna delle Potenze europee facesse alla Cina qualche utile concessione, la quale non fosse pregiudizievole agli interessi del Governo o dei sudditi italiani, il Governo di sua Maestà il Re, farebbe ogni sforzo per aderirvi”.
I due firmatari che siglarono l’accordo a Pechino furono il comandate Vittorio Arminjon della pirofregata Magenta e il plenipotenziario cinese Than. Fu un colpo maestro che sul piano diplomatico pose l’Italia sullo stesso livello degli altri paesi, come la Gran Bretagna e la Francia.
Filippo de Filippi
La Magenta stava compiendo un viaggio d’esplorazione scientifica attorno al mondo; a bordo c’era anche il senatore Filippo de Filippiforse il naturalista italiano più celebre al mondo, che nel gennaio 1867, sulla via del ritorno, s’ammalò e morì una volta sbarcato a Hong Kong. De Filippi, che introdusse il darwinismo in Italia, fu sepolto dapprima nel cimitero cattolico di Happy Valley, mentre qualche anno dopo le sue spoglie furono trasportate in Italia, a Pisa.
L’assistente del De Filippi, Enrico H. Giglioli, pubblicò un diario di questo viaggio, Viaggio Intorno al Globo della Regia Pirocorvetta Magenta negli anni 1865-66-67-68, che ebbe un notevole successo. Ecco il passo che racconta l’entrata a Hong Kong: “Ad un tratto si gira una punta, il canale si allarga, si copre di centinaia di navi di ogni forma e di ogni dimensione, e nel fondo, invece di rupi nude e precipitose, appare una grandiosa città, fabbricata alle falde di un’alta montagna, i cui bianchi palazzi risplendono, riflettendo i raggi solari. Quella meravigliosa apparizione era Victoria, detta comunemente Hong Kong, che è propriamente il nome dell’isola. La Magenta allenta alquanto il cammino, si insinua attraverso al labirinto creato dalle giunche e dalle navi; giunge nel luogo che sembra riservato ai bastimenti da guerra, e dà fondo a breve distanza da terra dirimpetto all’arsenale navale. Finite le salve, si poté ancora ammirare il bellissimo panorama di Victoria; quella città ci rammenta Genova e un pochino Gibilterra, essendo disposta quasi ad anfiteatro sopra una ripida pendice che scende al mare. Innanzi a noi sorgeva il picco omonimo della città, sulla cui vetta, a 555 metri sopra il livello del mare, è il semaforo che segna gli arrivi e le partenze; i fianchi del monte sono affatto nudi, e le case della città si stendono lungo la sua base e sopra le colline di forma conica che gli sorgono intorno”.
Visse a Hong Kong uno dei più celebri fotografi del mondo, Felice Beato, un anglo-veneziano, che aprì uno studio fotografico in Giappone, poi in Birmania. Fu il primo fotografo di guerra mai esistito.  Le sue foto sono oggi ricercatissime e costosissime.
A cavallo tra Ottocento e Novecento furono molti gli orientalisti di valore di origine toscana che passarono per Hong Kong: Antelmo Severini, Carlo Valenziani, Ludovico Nocentini, Carlo Puini e Zanoni Volpicelliche fu stimatissimo nostro console a Hong Kong e Macao, oltre che autore di numerosi libri tradotti in inglese sulla guerra sino-nipponica e sulla fonetica cinese. Ecco un ritratto di Volpicelli, che troviamo in Verso la Cina di Domenico Antonio Mazzolani, pubblicato nel 1915: “Poco dopo le dieci il commendatore Volpicelli mi trova nel suo ufficio. Egli è sorpreso di rivedermi: vuole sapere notizie della Libia, e in particolare della guerra: mi afferma che la nostra conquista ci ha fatto molto bene anche in Cina, sebbene i nostri interessi commerciali minacciano di andar sempre peggio”.
Volpicelli, secondo Mazzolani, sembra spiaciuto dal fatto che sia stato sospeso l’attracco di vapori italiani: “Il console Volpicelli è un uomo pericoloso per un medico, bisogna essere sempre sul chi vive: egli è igienista e i suoi ragionamenti richiedono attenzione. Ogni mattina scende a piedi dalla sua abitazione situata quasi sull’ultima cima del Peak: questo esercizio giornaliero e un regime essenzialmente vegetariano gli  hanno permesso di mantenere una agilità fisica rara per una persona della sua età. Alla fine si parla di noi. In quel momento l’inserviente porta un biglietto da visita: è il barone de La Penna, ministro d’Italia a Bangkok, diretto in Giappone. Il console va a incontrarlo: pare che abbia avuto qualche fatica a ritrovare il consolato. Anche lo “stemma” è piccolo e alquanto invecchiato: fortuna che il tricolore salva sempre la situazione”.

Nei primi anni del Novecento era attiva una Italian Far East Trading Company di proprietà del signor Giulio Badolo. Nel 1900, nel corso del viaggio verso Pechino per seguire la guerra dei Boxer, alla quale l’Italia partecipava con cinque navi da guerra e tremilaseicento soldati, si fermò a Hong Kong anche Luigi Barzini (1874-1947), che colse l’occasione per salutare il nostro rappresentante consolare Volpicelli. Interessanti sono le sue annotazioni sul numero di residenti italiani a Hong Kong a quell’epoca, solo dodici, e sulle sue impressioni della città: “Sollevando gli occhi dallo scritto, ammiro, attraverso alla finestra spalancata uno dei quadri più belli che mai vista umana possa vedere. Se fosse vero quello che i poeti vogliono farci credere, cioè che la bellezza è ispiratrice, io dovrei scrivere questa corrispondenza in versi sovrumani. Invece non sento altra ispirazione che quella di buttar via la carta e matita e di sprofondare negli abissi della più idiota – e, per questo, certamente più dolce – delle contemplazioni: la contemplazione a vuoto senza idee. Per il momento abito in un albergo sulla cima del picco di Hong Kong. L’isola sulla quale Hong Kong è costruita, come tutte le isolette qui intorno, è formata da un’unica montagna scoscesa e dirupata, alle cui falde, al nord, sul mare, sorge la città. La cima del monte è l’Eden di Hong Kong, il delizioso rifugio degli europei, che sono venuti ad appollaiarsi quassù, a parecchi metri sul livello del caldo e della puzza. Le ville e gli alberghi vi formano una seconda cittadina, tutta immersa in un bagno di verde e di verdura. Lo scoglio si è cambiato in un giardino con viali che serpeggiano fra prati fioriti e fra ciuffi di bambù e di aloe, viali che tagliano la roccia rosata come lunghe ferite ancora sanguinanti. Intorno intorno il mare, frastagliato da scogli, isolotti, penisolette, come un mare norvegese, si apre al disotto – grande carta geografica al mille per mille, nel quale non mancano che i segni dei meridiani e dei paralleli. Tramonto; è l’ora che intenerisce il cuore ai naviganti – ma io da ieri non sono più navigante e non sento perciò alcun effetto sul pericardio. La via per la quale sono venuto si perde di fronte a me, lontano, al sud, fra brune infuocate. Una grande mandria di isole solleva le groppe del mare calmo, tutto acceso di rosa. Si profilano come pezzi di uno scenario sconfinato; le più vicine in azzurro, poi più in là in viola, poi in grigio, poi in carnicino. Alcune strane nuvole si incendiano al tramonto; sono strisce sottili e dritte di fuoco, spade incandescenti di arcangeli stese sull’orizzonte. Il vento traccia sul mare mutevoli linee di cobalto. Lontano, qualche puntino fumante – un piroscafo – sembra sospeso nella luce. Presso alla costa numerosi sampan dalle vele gialle ad ala di pipistrello si avvicinano alla baia. Una pace infinita, un silenzio solenne. Dall’altro lato, fra l’isola e il continente, si apre la baia. I monti della Cina svaniscono nella nebbia viola. Giù in Hong Kong, all’ombra del gran Picco, è già scesa la notte e la città comincia a costellarsi di lumi. Una corona scintillante si distende in giro alla baia. Sull’acqua, che sembra aria, le navi ancorate a centinaia, i sampan, le giunche, i vaporini, i ferry-boat accendono i loro lumi che si riflettono a zig-zag nell’acqua calma. Pare che un lembo di questo bel cielo stellato sia caduto nel mare. Sono come sospeso nell’infinito. Le lampade elettriche delle vie, degli scali, dei dock, sono le stelle fisse in mezzo alle più deboli luci delle finestre, alle  nebulose delle pallide lanterne cinesi accese a migliaia lungo le vie. I lumicini mobili dei rickshas e delle sedie di giunco, che i coolies portano a spalla, fanno pensare a quelle scintille che corrono a centinaia sopra un pezzo di carta bruciata, prossima a spegnersi. Tutto questo è sublime e basta a compensare l’amara disillusione di chi – come me – arrivando in questo primo lembo di Cina, credeva di trovarsi in Cina. Arrivando a Hong Kong, dopo aver visitato quei lembi di Cina mandata all’estero che sono Penang e Singapore, si prova l’illusione di essere tornati indietro. Succede come a quel celebre contadino – il quale prese per la prima volta un biglietto di andata e ritorno – che, credendo di andare a “viceversa” si ritrovò nel suo paese. Hong Kong, dal mare, somiglia a Genova. File di palazzi europei si arrampicano sul monte, a più ordini. Vedrete dello stile inglese, dello stile italiano, del gotico, del Rinascimento, ma non il più piccolo tetto a barchetta, non la più umile pagoda: l’edilizia cinese è bandita”.

La magia di Hong Kong aveva incantato pure lui, perché termina il paragrafo dicendo: “La cortesia degli uomini congiura con la divina bellezza del paesaggio. Io debbo aspettare qualche giorno prima di procedere al nord. Ebbene, è la prima volta in vita mia che io trovo che l’aspettare può essere una cosa piacevole”.
A Macao e Hong Kong troviamo anche il toscano Guido Amedeo Vitale, che partecipò all’assedio delle legazioni diplomatiche di Pechino durante i 55 giorni più critici della rivolta dei Boxer (dal 20 giugno al 14 agosto del 1900). Lavorava alla nostra ambasciata come traduttore.
Nel tentativo di sbarcare il lunario, nel 1910 approdò a Hong Kong dall’Indocina l’aretino Mario Appelius, fuggito da casa a quindici anni. Scrisse negli anni seguenti vari libri di successo, nei quali idealizzò la sua vita randagia: Da Mozzo a Scrittore; Asia Gialla: Giava, Borneo, Indocina, Annam, Cambogia, Laos, Tonkino, Macao, Cina; La Crisi del Buddha e via dicendo. Con la Cina aveva una certa familiarità, essendo stato suo nonno un setaiolo comasco che a Shanghai aveva impiantato uno dei primi setifici moderni.

Edda Ciano Mussolini (1910-1995), il cui marito Galeazzo Ciano (1903-1944) era stato console d’Italia a Shanghai dal 1930 al 1933, visitò varie volte Hong Kong. Si racconta che certe sue amiche raccogliessero informazioni di valore militare giocando a canasta con le mogli di ufficiali britannici, per poi passarle a Roma. Per restare in ambito spionistico, sui libri di storia appare anche il nome di un certo Gino, che giocava a biliardo all’Hong Kong Hotel, ma che era in realtà una spia che poi passava informazioni riservate ai giapponesi. Nello stesso hotel, un simpatico barbiere si trasformò in capitano dell’esercito nipponico subito dopo l’invasione del 1941.
Il Conte Rosso in rotta verso Hong Kong.
Prima della sciagurata entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, da Hong Kong transitarono varie navi che portarono in salvo migliaia di ebrei in fuga dai nazisti e muniti di vista falsi. Fu il caso delle navi di lusso italiane Conte Rosso e Conte Verde, che facevano concorrenza a quelle più spartane della P&O, collegando Genova a Shanghai, via Singapore e Hong Kong. Un anno più tardi il consolato italiano a Canton ci aggiorna circa lo stato degli italiani a Hong Kong: “Gli italiani sono quantitativamente pochi. La colonia si compone di qualche commerciante di generi alimentari, di mosaicisti e camerieri d’albergo. Non si può certo chiamare una colonia imponente per mezzi materiali e deve considerarsi inesistente nella vita politica ed economica del paese. Quelle che invece  contano sono le italiane e particolarmente la Missione Cattolica dell’Istituto Pontificio di Milano che ha circa 30.000 fedeli, ha a capo un vescovo italiano ed è fiancheggiata da suore canossiane e industriosi salesiani. La navigazione italiana a Hong Kong occupa solo il dodicesimo posto. L’Italia esporta a Hong Kong molto di più di quello che importava e il suo commercio, gravemente intaccato dalle sanzioni, aveva accennato a una ripresa nel 1937. Il commercio di esportazione italiano comprende soprattutto tessuti, seta, derrate alimentari, cemento, mercurio, ecc. Non è probabile che un prospero futuro si presenti a questo nostro commercio, se si deve giudicare dall’effetto che le contingenze politiche in Cina dal 1937 a oggi hanno avuto nel commercio con tutte le nazioni straniere”.
Anche le navi da guerra italiane visitarono spesso la baia di Hong Kong. Vi passarono varie volte l’incrociatore Trento, la Colleoni, la Montecuccoli, la Carlotto, Elba, Vettor Pisani, Fieramosca, Caboto e Lepanto. Vi fece sosta anche la Quarto, la nave da guerra su cui prestava servizio Benito Albino Mussolini, il figlio del Duce e della trentina Ida Dalser.
 Copertina della "Domenica del Corriere"
dedicata all'impresa di De Pinedo.
Nel 1920 l’aviatore Arturo Ferrarin (1895-1941) fu il primo pilota a volare dall’Europa a Tokyo su di un aereo. Decollando da Hanoi puntò su Canton sotto una pioggia battente e, dopo una sosta di fortuna su di una spiaggia nei pressi di Macao, riuscì a raggiungere la capitale della provincia del Guangdong. Nel 1925, nella baia di Hong Kong, ammarò il trasvolatore napoletano Francesco De Pinedo (1890-1933) con il suo Gennariello, un idrovolante Savoia S-16Ter. Il suo motorista era l’oristanese Ernesto Campanelli. Dopo Hong Kong i due toccarono Shanghai, il Giappone e l’Australia, per ritornare infine in patria, planando sul Tevere. Un’impresa notevole se si pensa che la carlinga era aperta e che l’unica strumentazione di cui disponevano era una bussola.

Passò per Hong Kong anche Amleto Vespa, avventuriero e spia, originario dell’Aquila. 
   Amleto Vespa e famiglia
Scrisse il libro Secret Agent of Japan, pubblicato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, nel quale svelava certi colpi bassi che i generali giapponesi preparavano in Cina. La cosa evidentemente non piacque ai nipponici, i quali, non appena riuscirono a catturarlo a Shanghai nel 1941, lo fucilarono. Ilario Fiore gli ha dedicato una biografia, pur dovendo fare i conti con lo scarso numero di documenti a disposizione.

Negli anni Trenta troviamo a Hong Kong Gennaro Pagano di Melito, che  fu console d’Italia a dal 1937 al 1940. Era stato decorato durante la prima guerra mondiale come capitano di una nave che pattugliava il mare Adriatico e fu poi autore di vari libri che ebbero una certa popolarità, come La Nave Pirata nel 1933, Mine e Spie e Il Principe Marinaro nel 1934. Fu poi nominato console a Shanghai sino al 1941. Nel 1943 rifiutò di entrare nella R.S.I. e fu internato in un campo di prigionia dai giapponesi. Morì in circostanze misteriose nel 1944 vicino a Pechino, sempre prigioniero dei giapponesi. Suo figlio ha sempre sostenuto che si trattò di una esecuzione.



Durante l’occupazione giapponese di Hong Kong, dalla fine del 1941 al 1945, Macao fu un’isola di relativa pace. Quel piccolo territorio riuscì infatti ad accogliere ottocentomila rifugiati, fra i quali numerosi italiani, correndo rischi estremi. A costo di grandi sacrifici, le autorità portoghesi riuscirono a procurarsi il riso necessario per sfamarne gran parte. La situazione degli italiani a Hong Kong durante l’occupazione giapponese, invece, fu molto critica. Ecco quanto scrisse il console italiano a Canton il 1 agosto 1942: “Ed è  su questo tragico quadro che va prospettata la presente situazione dei nostri connazionali a Hong Kong: missionari e civili. Troppi, per l’avvenuto afflusso di religiosi dall’interno, i primi; fortunatamente pochissimi – precisamente tre, due dei quali con famiglia – i secondi. Più ancora che le difficoltà presenti cui cercano coraggiosamente di far fronte, creano preoccupazioni le incertezze del domani e un senso di mal celata ostilità che credono non infondatamente di poter notare nei loro riguardi nei nuovi dominatori della colonia [i giapponesi]. Le condizioni finanziarie della missione sono certamente ben tristi. […] La missione non può, così almeno afferma Monsignor Valtorta, usufruire, se non temporaneamente e a titolo di anticipo, dei fondi ricevuti dal Vaticano giacché questi sono per espresso ordine del Pontefice da devolversi a opere di carità e all’assistenza ai prigionieri di guerra, e non al mantenimento della missione. Monsignor Valtorta, che ho trovato invecchiato, deperito in salute e nervosissimo, ha adottato le più rigide misure di economia, stabilendo come massimo per la spesa giornaliera di vitto per capita per i suoi missionari la somma di due dollari di Hong Kong. Ma questa cifra è assolutamente insufficiente per la stessa sola razione quotidiana di riso. In analoghe difficoltà si trovano le suore canossiane le quali vedono con orrore avvicinarsi il giorno in cui potrebbero trovarsi costrette a chiudere le loro porte e abbandonare alla mercé di Dio più di quattrocento ricoverati (infermi, ciechi e bambini). Gli unici che non mi hanno rivolto domanda di assistenza sono i padri salesiani, il cui superiore ebbe anzi a dirmi che essi erano ‘fortunatamente caduti su quattro zampe’. L’occupazione di qualche stabile non ha praticamente cagionato alcun inconveniente e la saggia amministrazione per la quale il loro ordine si distingue permette loro di affrontare serenamente e senza gravi preoccupazioni l’attuale crisi. Quanto ai tre connazionali, Sasso Innocenzo, Lazzeri Sinibaldo e Guerci Giacomo, essi sono riusciti a ottenere il permesso di aprire e gestire una piccola ma decentissima trattoria, messa su accomunando le scarse risorse liquide di cui ancora disponevano. Tirano così innanzi alla meglio in attesa di poter riscuotere i crediti che hanno verso gli alberghi di cui erano prima impiegati e verso le banche in cui sono depositati fondi loro spettanti. Ma la loro situazione è critica e temo che ove i loro reclami non abbiano una pronta soluzione bisognerà provvedere al loro trasferimento altrove”.


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Tempi Moderni

La seconda guerra mondiale terminò in Italia il 29 aprile 1945, ma il Giappone firmò la resa solo il 2 settembre 1945. Mentre le forze armate britanniche ritornarono a Hong Kong per riprendere possesso della loro vecchia colonia, i prigionieri di guerra furono liberati e i soldati giapponesi si trasformarono in poliziotti per mantenere l’ordine. Divennero cordialissimi e gentilissimi, sorprendendo tutti i locali che li avevano visti comportarsi con ferocia sino a qualche giorno prima. Molta gente tornava a Hong Kong da Macao e dalla Cina, ritrovando le proprie proprietà distrutte, gli amici perduti o mutati profondamente dalle brutalità belliche. Gli americani avrebbero voluto restituire Hong Kong alla Cina di Chang Kaishek, ma i britannici non ne volevano sentire parlare. Con la progressiva conquista della Cina da parte dei comunisti di Mao Tzetung, gli americani non ne discussero più. 

Pochi gli italiani rimasti. Uno di questi era Oseo Acconci che aveva sofferto la fame e tanti pericoli a Macao, ma che prese un battello e tornò a Hong Kong. Venne subito affrontato da un severo sergente di polizia inglese che lo riconobbe. Lo chiamò, ordinando di farsi avanti. Teneva il frustino sotto l’ascella destra e un monocolo in un occhio. Gli pose questa strana domanda: “Acconci, sei italiano, non è vero? Se il tuo governo ti avesse chiesto di lanciarci una bomba, tu lo avresti fatto?”. Oseo gli rispose: “Certo che l’avrei fatto!”. Il sergente lo guardò e poi disse: “Sei un uomo coraggioso, Acconci. Bentornato! Fate passare questo signore…”.

La vecchia colonia di Hong Kong diede un’altra prova della sua vitalità negli anni seguenti grazie al sistema legale creato dai britannici e all’intraprendenza dei propri cittadini. Nei primi anni Cinquanta, con l’arrivo di nuovi capitali da Shanghai, di personale specializzato e di industriali, Hong Kong divenne la città moderna ed efficiente che tutti conosciamo e che attirò dall’Italia il fior fiore della nostra intellighenzia.
  S. Loren e M. Brando
nella Contessa di Hong Kong
Da Hong Kong sono passati i nostri maggiori registi e attori, come Federico Fellini (una sua nipote abita ancora a Macao), Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini, Marcello Mastroianni e Sofia Loren, personaggio principale con Marlon Brando nel film La Contessa di Hong Kong, diretto da Charlie Chaplin, ma anche cantanti, come Mario Mio, triestino, che si è esibito per tre anni al Sabatini e al Mistral di Kowloon. Lo stesso possiamo dire dei nostri maggiori direttori d’orchestra e i solisti, come Salvatore Accardo e Uto Ughi. Vi era celebre anche il maestro Attilio Foa, residente prima a Shanghai e poi a Hong Kong.
Altri italiani hanno contribuito alla prosperità di questa città operando nei settori più svariati, come Paolo Borghese, figlio di Junio Valerio Borghese, che abitò a Hong Kong per vari anni. Fu un abile ingegnere e molte delle strutture elettriche che distribuiscono energia in questa città sono il frutto del suo lavoro. Pietro Badoglio, nipote del generale, prima della sua prematura scomparsa lavorò a Hong Kong nel campo dell’abbigliamento.
Nel secondo dopoguerra vari scrittori italiani hanno lasciato la propria testimonianza scritta del loro passaggio a Hong Kong. Come il pratese Curzio Malaparte, che proprio in Cina fu colpito dall’acuirsi del male che lo porterà poi alla morte. Si sentì trattato così bene dai cinesi che decise di lasciare la sua splendida villa di Capri in eredità alla Repubblica Popolare Cinese.
Eric Vio, console generale a Hong Kong dal 1950 al 1954, era nato nel 1910 a Fiume, allora parte dell’Impero Austro-Ungarico. Studiò medicina a Roma e si trasferì in Giappone nel 1936, sfruttando una borsa di studio. Nel 1937 si spostò a Shanghai, dove lavorò come chirurgo al General Hospital. Dal 1943 al 1945 fu internato dai giapponesi nello Shandong. Dal 1945 al 1974 operò a Hong Kong, dopodiché si spostò in Sudafrica e poi a Taitung, Taiwan, dove lavorò al Mission Hospital. Scrisse vari libri di poesie in italiano, inglese e tedesco. Fu anche un raffinato collezionista di antichità orientali, e alcuni suoi pezzi sono stati recentemente battuti da Christie’s. Sposò la celebre pianista Maria Grazia Taddei, che visse a Hong Kong per trent’anni. Era nata nel 1918 e si è spenta a Roma nel mese di aprile 2011.

Anche Giuliano Bertuccioli fu console a Hong Kong dal 1953 al 1960. Fu un grande 

orientalista e uno dei maggiori sinologi italiani. Parlava benissimo sia il cinese che il giapponese. Dal 1960 al 1962 fu  presidente del dipartimento orientale della Fondazione Cini di Venezia. Scrisse un gran numero di articoli e di libri sull’Estremo Oriente.
Hanno operato nella colonia britannica vari corrispondenti di quotidiani nazionali come Goffredo Parise, Sergio Moravia, Enrico Emmanuelli, che intitolò un suo libro uscito nel 1957 con quella rima La Cina è vicina, che non ci ha più lasciato, Luigi Barzini jr., Renato Ferraro del «Corriere della Sera» e la sua affascinante consorte, Ilario Fiore e Carmen Lasorella. Soggiornarono a Hong Kong anche Enzo Biagi e Tiziano Terzani, autore tra molti titoli di Un indovino mi disse, ambientato in parte a Hong Kong: lo si poteva spesso vedere seduto a un certo tavolo del Foreign Correspondents’ Club, nella saletta a quel tempo riservata ai non fumatori. Oriana Fallaci e Curzio Malaparte soggiornarono per brevi periodi all’ombra del Picco.
Diversi scrittori hanno invece scelto Hong Kong come luogo d’ambientazione delle loro opere: Ennio Flaiano scrisse un breve racconto ambientato al Peninsula Hotel, in una notte di tifone; lo scrittore di marineria Vittorio G. Rossi ambientò a Hong Kong un libro di viaggio intitolato Festa delle lanterne, pubblicato nel 1960.
In previsione della fine del dominio coloniale britannico su Hong Kong e della sua riunificazione alla Cina Popolare, nota come handover e caduta nella mezzanotte del 30 giugno 1997, si scrisse molto in Italia a proposito, e anche a sproposito, di Hong Kong, cercando di prevederne il futuro. Le analisi risultavano spesso influenzate dalle vedute politiche di chi scriveva. Durante quei caotici giorni, numerosi giornalisti italiani furono inviati nel territorio, contribuendo direttamente alla nascita di un fenomeno che venne in seguito definito “giornalismo paracadutato”, un’espressione scherzosa per indicare un tipo di reporting prodotto da corrispondenti inviati in un luogo per descrivere complessi cambiamenti storici dei quali essi stessi conoscono poco. Nel 2003 si registrò un nuovo grande interesse verso Hong Kong: purtroppo questa volta fu per un fatto sgradito a tutti, essendo scaturito dalla malattia polmonare virale nota come SARS.
Grazie alla sempre maggiore attenzione che gli italiani hanno riservato a Hong Kong, oggi la città beneficia di istituzioni di varia natura che contribuiscono alla sua ricchezza e a quella dei suoi abitanti italiani e non solo. La Camera di Commercio Italiana è ormai una macchina ben oliata, che raccoglie un crescente consenso fra i nostri connazionali, l’attuale presidente è Fabio De Rosa, succeduto ad Angelo Pepe, Vincenzo Callà e Giovanni Orgera.                
 Angelo Pepe
con Giovanni Leone
La società Dante Alighieri, oggi presieduta da Bruno Feltracco, è un’istituzione culturale che ha lo scopo di diffondere la lingua e la cultura italiane: attiva già negli anni Venti, sparì con lo scoppio della seconda guerra mondiale, per riaprire negli anni Sessanta grazie all’impegno del cav. di Gran Croce Leo Li. Il suo patron è il cav. Richard Lee, distributore di auto Ferrari e Maserati. Nel 2013 la Dante Alighieri è stata dedicata alla memoria di Angelo Pepe (1949-2008), un grande italiano e un uomo di rarissima generosità che ha grandemente contribuito alla sua rinascita. 
Inoltre è attiva da molti anni un’associazione che raccoglie le donne italiane, fondata e presieduta per vari anni da Anna Wong, poi da Paola Caronni Yip, da Paola de Antonellis e ora da Michela Bardotti. A partire dal mese di ottobre del 2011, il Consolato d’Italia ospita una sezione dell’Istituto Italiano di Cultura, diretto da Matteo  Fazi, attivissimo nell’organizzare, assieme al consolato, un gran numero di eventi culturali, come concerti, film, seminari, spettacoli teatrali, che hanno rafforzato molto la presenza della cultura italiana in Cina. Da sei anni esiste anche una sezione del Fogolar Furlan (un’associazione che raccoglie i friulani domiciliati in varie parti del mondo), fondata da emigrati friulani e loro amici, il cui presidente è Paolo Sepulcri. Una ricorrenza ormai consolidata tra gli italiani di Hong Kong è la Festa dell’Uva, un evento che attira ogni anno un numero sempre crescente di partecipanti alla ricerca di qualche ora di buona cucina, di vino e di svago. A organizzare l’evento è stato Eligio Oggionni, che ha anche fondato la Scuola Alessandro Manzoni, presieduta attualmente da Luca Melzi e Paolo Sepulcri, che ogni sabato mattina offre lezioni a livello di scuola elementare e media.

Ricordiamo infine alcuni nomi fra tanti. Quello di Luca Birindelli (1956-2011), pioniere, brillante avvocato e figlio della medaglia d’oro Gino Birindelli che aprì uno studio legale a Hong Kong, Shanghai e Pyongyang in Corea del Nord. Franco di Vajo, che abitò a Hong Kong per vent’anni, partecipando attivamente alla vita della nostra comunità. Roberto Paggi, un commerciante che seppe anticipare i tempi aprendo un ufficio commerciale a Hong Kong, vide la crescita della Cina popolare quando ancora in pochi ci credevano.
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I diplomatici italiani a Hong Kong e Macao


Per la prima volta pubblichiamo qui di seguito una lista dei nostri rappresentati consolari, che si sono succeduti a Hong Kong e a Macao, prima e in seguito alla fondazione del Regno d’Italia, avvenuta nel 1861. Abbiamo evidenziato particolarmente coloro che sono stati alle dirette dipendenze del Ministero degli Esteri. Questo elenco è purtroppo incompleto e lacunoso, inoltre non vi figurano le cosiddette reggenze brevi ossia quelle inferiori ad un anno. Mancano inoltre dati e certe informazioni fondamentali; per tale motivo speriamo vivamente che in futuro degli altri storici s’impegneranno a ricercare e a completare gli spazi da noi lasciati vuoti. Dato che, comunque, nulla di simile è mai stato pubblicato prima, abbiamo incluso queste informazioni nel nostro volume per via della loro straordinaria importanza storica.


Rappresentanti del Regno d’Italia.

1861-63: John Dent - Console.
1863-67: Francis Chomley - Console.
1867-69: John Dent – Console.
1869-72: William Keswick - Console.
1872-75: John Samuel Gower – Console.
1875-79: Theophilus Gee Linstead - Console.
1879-97: Domenico Musso - Console Generale.
1886 - ?: Bernardino De Senna Fernandes – Console onorario a Macao.
1897-99: Ugo Nervegna - Console. 
Periodo dei Diplomatici Professionisti.
1899-19: Eugenio Zanoni Volpicelli - Console Generale.
1919-20: Emilio Eles – Console Generale.
1921-23: Luigi Petrucci – Console Generale.
1923: Giuseppe Biondelli – Reggente del Consolato.
1923-28: Stefano Carrara – Console Generale.
1928-29: Alfredo Baistrocchi - Console Generale
1929: Ugo Gonella e Luigi de Dionigi – Reggenti del Consolato.
1930-31: Emilio Manfredi - Console Generale.
1931-32: Raffaele Ferrajolo - Reggente del Consolato.
1932-36: Alberto Bianconi - Console Generale.
1936-37: Arturo Maffei - Reggente del Consolato.
1937-40: Gennaro Pagano di Melito - Reggente del Consolato.
1940-41: Herbert Ros - Reggente del Consolato.

1942 – 1950 Il Consolato resta chiuso

1950-54: Eric Vio – Reggente del Consolato.
1953 – 60 Giuliano Bertuccioli – Prima Console e poi Console Generale.
1954-56: Guido Relli - Console Generale.
1956-59: Adalberto Figarolo di Gropello - Console Generale.
1959-60: Filippo Muzi Falconi - Console Generale.
 Da sinistra:
Mario Scelba e Piero Guadagnini.

1960-63: Piero Guadagnini - Console Generale.

1963-69: Luigi Bolla- Console Generale.
1969-71: Marcello Mochi - Console Generale.
1968 – 70 Gabriele Menegatti - Console.
1971-76: Pio Saverio Pignatti Morano di Custoza - Console Generale.
1972 – 75: Enrico Gerardo de Majo - Console commerciale.
1976-80: Michelangelo Pisani Massamormile - Console Generale.
1976 – 79: Alberto Candilio - Console.
1979 – 82: Franco Giordano - Console.
1980-84: Raffaele Berlenghi - Console Generale.
1982 – 86: Alessandro Busacca - Console.
1984-88: Gabriele Menegatti - Console Generale.
1986 – 87: Vittorio Rocco di Torrepadula - Console.
1988-91: Massimo Baistrocchi - Console Generale.
1988 - 92: Federico Failla – Console.
1991-96: Folco De Luca Gabrielli - Console Generale.
1992 – 96: Davide La Cecilia – Console.
1996-98: Alberto Bradanini - Console Generale.
1996 – 00: Alfredo Conte - Console.
1998-03: Pietro Giovanni Donnici - Console Generale.
2001- 05: Davide Giglio – Console.
2003 - 07: Gabriella Meneghello - Console Generale.
2005 - 09: Marco Maria Cerbo.  Console.
2007-10: Alessandro De Pedys - Console Generale.
2009 -: Luca Fraticelli – Console.
2010 - 2014: Alessandra Schiavo - Console Generale.
2013 – Sarah Negro
2014 – Antonello De Riu – Console Generale


Rappresentanti Consolari italiani prima della fondazione del Regno d’Italia.

Agli inizi del XIX secolo il Regno delle due Sicilie e quello di Sardegna mantenevano dei rappresentanti consolari sia a Canton che a Macao. Thomas Dent assunse la carica di Console del Regno di Sardegna nel 1816. Nel 1824 il Regno delle Due Sicilie nominò come propri rappresentanti consolari due cittadini britannici: Alexander Robertson e Antonio G. Daniele, i quali risiedevano rispettivamente a Canton e a Macao. Si trattava però di consoli di favore e non di consoli onorari. Questa carica tornava loro comoda poiché gli consentiva di sottrarsi al monopolio della East India Company. Non avevano compiti specifici, né obblighi nei confronti del regno che gli aveva concesso tale ufficio. Si trattava, dunque, di nomine assai vaghe che gli stessi interessati dovevano aver sollecitato presso alle corti di Torino e di Napoli. In qualche caso la carica fu concessa come una forma di protezione, per esempio nel 1840 fu nominato Console Sardo a Macao il missionario svizzero della Propaganda Fide, Teodoro Joset. Questo fu fatto in accordo con la Santa Sede, per potergli consentire di aggirare certe restrizioni poste al suo ministero dai portoghesi, che governavano Macao. Questa protezione consolare non gli servì a molto, giacché nel 1841 egli fu perseguito dall’autorità coloniale quando seppero che, con un tempismo che lascia ancora sbalorditi, la Santa Sede decise di spostare la propria sede da Macao a Hong Kong.

A partire dal 1857 il conte Camillo Benso di Cavour, uno dei padri del Risorgimento, decise di rafforzare la rete consolare sabauda. Seguendo il consiglio datogli da Riccardo Manca di Vallombrosa, che aveva appena completato un viaggio in Asia orientale: si scartò l’idea di riaprire a Canton, ma si puntò invece su Shanghai, affidando l’incarico ad un commerciante britannico di sete, James Hogg. L’investitura ufficiale gli giunse solo tre anni dopo, il 31 maggio 1860. Hogg restò in carica sino al 1868, finquando non fu inviato a Shanghai un vero Console, Lorenzo Vignale.

Consoli di nazionalità straniera.

John Dent, era un amministratore della Dent & Company e fu Console del Regno d’Italia dal 1861 al 1863. La Dent & Company, assieme alla Jardine, Matheson & Company (consoli onorari di Danimarca), e alla Russell & Company, fu uno degli hong più potenti in Cina.
John Dent (1821 – 1892) era il nipote di Lancelot Dent, a sua volta fratello di Edward Dent, il fondatore dell’omonima società, dalla quale si dimise nel 1831. Lancelot Dent fu essenzialmente un commerciante d’oppio. Oggi è ricordato dagli storici per l’editto d’arresto spiccato contro di lui dal commissario imperiale Lin Tse-hsu. Questo episodio giudiziario scatenò la Prima Guerra dell’Oppio. Lancelot Dent, deve aver ispirato la figura di Tyler Brock allo scrittore James Clavell, quando nel 1966 pubblicò per il suo celebre romanzo Taipan. Nel 1986 la De Laurentis Entarteinment ne trasse un film di gran successo, con Joan Chen e Bryan Brown.
John Dent s’insediò a Hong Kong a partire dal 1858, assumendo il titolo di Console del Regno Sardo. Nel 1861, alla nascita del Regno d’Italia, ottenne automaticamente la qualifica di Console d’Italia. Il loro quartiere generale sorgeva in prossimità dell’attuale Gloucester Tower, in Central.
La società commerciale Dent & Company, con uffici in tutta l’Asia, nel 1869 chiuse la propria attività a causa di una rovinosa bancarotta, provocata dal fallimento della banca di sconto Overend, Gurney & Company di Londra. Questa era nota come la banca dei banchieri. I loro concorrenti della Jardine, Matheson & Company si salvarono solo perché seppero del crack due ore prima degli altri, grazie ad un proprio bastimento giunto con due ore d’anticipo da Calcutta. Fecero dunque in tempo a correre in banca a ritirare tutto il proprio contante e i loro lingotti d’argento, prima che il panico si diffondesse nella Colonia di Hong Kong. La Dent & Company cessò l’attività a Hong Kong, ma continuò su scala minore ad operare a Shanghai. 
Francis Chomley (Console 1863 – 1867) fu un dipendente della Dent & Company. Nel 1865 fu uno dei soci fondatori dell’HSBC, la Hong Kong and Shanghai Banking Corporation Limited.
William Keswick (Console 1869-1872) era anche lui uno scozzese, come i Dent e i Jardine. Era nato nel 1834, sua nonna era sorella di William Jardine, il fondatore della Jardine, Matheson & Company. Nel 1870 smise di trattare oppio e dal 1874 al 1886 fu il Taipan della Jardine Matheson e per varie volte membro del Legco di Hong Kong. Fu un partner nella Jardine, Matheson & Company.
Theopilus Gee Linstead (Console 1875 – 1879) fu un ex ufficiale della marina britannica. La sua lapide tombale è ancora visibile nel cimitero protestante di Happy Valley. Operò come associato della ditta Hoggs & Company, il cui fondatore aveva rappresentato l’Italia a Shanghai. Fu anche un convinto membro della massoneria e raggiunse la carica di Gran Maestro Distrettuale. La Loggia Massonica di Hong Kong, oggi ancora attiva in Kennedy Road N.1, ma si trovava a quel tempo in Zetland Road, Mid Levels.

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*  Questo testo è la versione modificata di un saggio già apparso nel volume Cinque secoli di italiani a Hong Kong e Macao. 1513-2013, a cura del Consolato Generale d'Italia a Hong Kong e MacaoBrioschi Editore, Milano 2014, pp.584, 25,00 €. 

Le edizioni inglese e cinese del volume recano anche un'introduzione di Giorgio Napolitano.

Qui per ascoltare alcuni passaggi della presentazione del libro (in inglese), svoltasi il 12-02-14 presso il Macau Ricci Institute.


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Bibliografia


Elena Canadelli, La morte di Filippo De Filippi a Hong Kong, Atti Soc. It. Sc. Nat., 153(1), aprile 2012, pp.85-110.

Andrea Francioni, Il trattato italo-cinese del 1866 nelle carte dell'ammiraglio Arminjon, pp. 52, Università degli Studi di Siena, 2003.

Enrico H. Giglioli, Viaggio intorno al globo della r. pirocorvetta italiana Magenta negli anni 1865-66-67-68, pp. XXXVIII - 1031, Maisner & Co. Editori, Milano 1875.


Domenico Marcianò, Cinquecento anni di storia. Le relazioni tra l'Italia e le Filippine, pp. 148, Pellegrini Editore, Cosenza 2006.  [Pagine scaricabili gratuitamente.]

Vincenzo Moccia, La Cina di Ciano. La diplomazia fascista in Estremo Oriente, pp. 180. Libreria Universitaria, Padova 2014.  [Pagine scaricabili gratuitamente.]

Angelo Paratico, Eugenio Zanoni Volpicelli – An Italian Sir Edmund Backhouse? , ""Beyond Thirty-nine", 9-10-13.

Angelo Paratico, L'uomo che tradusse in cinese Dante e Beccaria, "Corriere della sera" , 16-04-14 (Blog 'La nostra storia').  [Ancora su Zanoni Volpicelli.]

 Angelo Paratico, Eugenio Zanoni Volpicelli – Did he publish a book on the Philippines? ,
"Beyond Thirty-nine", 14-12-14.

Placido Zurla, Marco Polo e degli altri viaggiatori veneziani più illustri, Fuchs Editore, Venezia 1819.