Enrico Bernard |
di A. Lalomia
Fino a che punto il rispetto per un grande autore può condizionare la ricerca di quegli aspetti della sua vita e della sua opera che potrebbero gettare un'ombra sulla sua immagine ?
È una domanda che assume un particolare spessore quando ci si
deve confrontare con quelle figure della tradizione letteraria su
cui esiste un consenso di critica e di pubblico pressoché unanime.
In definitiva: può un critico, spinto dal desiderio di ricostruire determinati
percorsi creativi seguiti dalla celebrità nazionale, avventurarsi nel campo delle
analogie, per alcuni irriverenti, ma pur sempre verosimili, se dimostrate scientificamente e filologicamente ?
Può questo stesso critico sostenere, prove alla mano, ad esempio, che uno dei numi tutelari della nostra letteratura, Luigi
Pirandello, ha utilizzato come fonte d’ispirazione per alcuni suoi testi -in un modo che rasenta la traduzione letterale- la produzione artistica di un grande esponente del Romanticismo tedesco, Ludwig Tieck, ‘sommergendo’ quelle opere di riferimenti a Tieck, ma senza dichiararlo esplicitamente (a differenza di quanto ha fatto per altri) ?
Fino a che punto i numerosi rimandi tra Pirandello e
Tieck possono considerarsi come una legittima attività compiuta
da un autore in cerca di un’idea ?
Fino a che punto questa stessa attività non deve invece essere giudicata
come un processo di acquisizione inconsueto e forse discutibile ?
Parliamo di questo tema (ma non solo) con Enrico Bernard, critico letterario, autore, regista e docente attivissimo a livello internazionale, che ha affrontato la questione in un saggio apparso per la prima volta nel 2006 sulla “Rivista di studi
germanici”, riproposto poi su "Italica" e apparso recentemente anche su Academia.edu e su altre testate scientifiche.
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1. Quando ha iniziato ad accorgersi delle analogie tra Tieck e Pirandello e che cosa l’ha spinta ad approfondire il discorso ?
Nel 1983 e nel 1987 ho curato per le edizioni Costa e Nolan e
Editori Associati la prima traduzione italiana di due opere ancora sconosciute nella nostra lingua di Ludwig
Tieck: Il
mondo alla rovescia e Il principe Zerbino, ovvero quasi una continuazione del gatto con gli stivali. I
testi del
1797 e del 1798 erano totalmente inediti in italiano e, addirittura, il mastodontico Zerbino, era stato dimenticato in Germania dall’ultima ristampa di metà Ottocento. Il
caso ha voluto che proprio durante le traduzioni di
Tieck mi stessi anche occupando del periodo tedesco di Pirandello. Ho così
scoperto che a Bonn Pirandello dimorò nelle vicinanze di un libraio tipografo che aveva cominciato
le riedizioni critiche dell’opera completa di Tieck. Subdorando qualche
affinità tra il genio romantico tedesco e il giovane drammaturgo siciliano in
cerca di fortuna e di spunti in terra tedesca, me lo sono
immaginato davanti alla vetrina di quel libraio tipografo ad ammirare la novità
delle opere di Tieck fresche di stampa. Quando poi,
prefando le edizioni italiane del romantico tedesco ho letto il discorso
pronunciato da Bonaventura Tecchi in occasione della commemorazione di Pirandello,
nella quale Tecchi cita una domanda da lui posta a Pirandello su Tieck che
aveva generato qualche nervosismo e disagio, beh allora ho capito
che occorreva raccogliere una prova scientifica sulla base di un confronto
testuale serrato.
2. Ha incontrato difficoltà nel proporre le sue tesi alla
critica italiana ? Come sono state accolte ?
Ludwig Tieck |
Luigi Pirandello |
3. A fronte del silenzio mostrato dalla critica italiana
accademica, vuole aggiungere qualcosa sulla critica germanofona ?
Bonaventura Tecchi |
Ho appena risposto in parte
a questa domanda. Devo però aggiungere che se la critica
italiana originariamente, con Tecchi e Tilgher ad esempio, aveva intuito il
forte legame tra Pirandello e Tieck – Bonaventura Tecchi del resto era un ottimo
germanista – ma alla morte di Pirandello, fresco di premio Nobel, aveva
preferito soprassedere ad un’analisi profonda accontentandosi della prima forte
“impressione” di un’affinità non solo culturale ma anche testuale, ebbene la
critica tedesca aveva smascherato subito Pirandello fin dalla prima edizione
tedesca nei primi anni Venti dei Sei personaggi per la regia
di Max Reinhardt. In Germania insomma si parlò subito del “Teatro-nel-teatro”
pirandelliano come una rivisitazione del modello tieckiano. Tant’è vero che la
prima edizione di Questa sera si recita a soggetto a
Berlino, il testo che più denuncia evidenti influenze letterali dello scrittore
romantico tedesco su Pirandello, si rivelò un fiasco: la critica tedesca bollò
come déjá vu il testo; e Pirandello rinunciò al sogno di un exploit
teatrale in Germania (dove avrebbe voluto trasferirsi con Marta Abba). Dimodoché
la mia ricerca ha sicuramente un valore dimostrativo, testi alla mano, per la critica tedesca che
però è già ben allertata sul problema: mancava solo il riscontro filologico che io sono
riuscito a raccogliere.
4. Se ho interpretato in modo corretto il suo pensiero, il suo saggio ruota attorno a due punti centrali:
a. Pirandello avrebbe fatto un uso talmente eccessivo (‘disinvolto’ ?) della sua conoscenza di Tieck e della letteratura tedesca in generale, che lei all’inizio del suo saggio parla esplicitamente di “legame intrinseco e strutturale tra i due, che va ben oltre i limiti di una naturale “influenza” di un autore su un altro.” (pag.1).
In altri
punti del testo, lei è ancora più esplicito:
“Le similitudini, le analogie, diciamo pure
le trascrizioni o traduzioni letterali di Pirandello
sono innumerevoli.”. (pag. 6)
“La conclusione è semplice: Pirandello non
solo ha ripreso la teoria del
"teatro-nel-teatro" servendosi a piene mani dei testi di Tieck, ma ha
addirittura utilizzato allo stesso modo, e con identici risultati, le fonti
letterarie (Cervantes) dell'autore romantico.” (pag. 7)
“Per concludere: nell'intera opera drammatica di Pirandello, fino a I giganti della montagna,
l'ombra di Tieck, o per meglio dire la sua spirituale e (letterariamente parlando) testuale presenza risulta evidente. Anzi,
determinante.” (pag. 9) [Sottolineatura mia.]
L’ultima
citazione mi sembra oltremodo importante, perché in definitiva si
riferisce all'intero corpus della produzione pirandelliana.
Senz’altro Tieck è il nume segreto
– quello dichiarato dall’Agrigentino ovviamente è Cervantes - che ispira tutta
l’opera e il pensiero di Pirandello. Intendiamoci: Pirandello non commette
nessun “reato” e la sua grandezza non deve essere sminuita. In realtà, dico
anche questo nel mio saggio, Pirandello drammaturgo ha il grande merito di
recuperare la critica romantica alla società borghese tedesca di fine
Settecento, quella classe di birrai e falsi nobili che
rifiuta e inquina gli ideali libertari della rivoluzione francese, e
ripresentarla con gli interessi all’ipocrita borghesia italiana che smarrisce
il proprio senso d’essere, la propria identità politica, la propria ombra per
dirla con Mattia Pascal, per andare incontro a compromessi ideologici, ideali, sociali
pur di mantenere lo status quo del proprio benessere
materiale. Casomai, se si vuol rinfacciare qualcosa a Pirandello, lo si dovrebbe
attaccare dal punto di vista della chiarezza circa le proprie fonti. Non ci
sarebbe stato niente di male ad esplicitare i legami con Tieck dopo averlo
saccheggiato: anche Brecht saccheggiò L’opera dei mendicanti di
John Gay, vantandosi addirittura di aver copiato bene: ma nessuno si sognerebbe di sminuire L’opera da tre soldi per questo. Tutta la storia del teatro è una
storia del “da”. Tutti i drammaturghi hanno preso e ripreso da testi del passato. Qualcuno ha addirittura
affermato che in realtà gli autori non fanno che riscrivere un solo testo, l’Edipo, archetipo drammaturgico imperituro. Pirandello
invece è stato un po’
meschino nascondendo la manina. Purtroppo si è inguaiato da solo dopo aver
scritto nei saggi sull’arte che “chi
copia una forma non fa arte ma artificio” distinguendo così l’Autore con la
maiuscola dal mestierante e
dallo scribacchino. A questo punto non ha potuto più dire: signori, la forma del
Teatro-nel-teatro l’ho ricavata dal signor Tieck. Si sarebbe stroncato con le
sue stesse mani. Di qui le reticenze e il tentativo di occultare le
fonti, nella speranza miserevole quanto umana, che il destino letterario di
Tieck rimanesse se non nel dimenticatoio, almeno in ombra, nella sua ombra.
b. La critica italiana, finora, sarebbe stata troppo
reticente sui ‘prestiti’ da parte di Pirandello nei confronti di Tieck, forse nel
timore di sminuire il
valore del grande drammaturgo. Diverso
invece il discorso per la critica
germanofona, che ha riconosciuto subito i debiti di Pirandello verso Tieck e le analogie
tra le opere dei due autori, come d’altronde ha ricordato lei, anche nel corso di questa
intervista.
Gustavo V di Svezia consegna a Pirandello il diploma e la medaglia del Nobel. |
Posso chiederle se le mie osservazioni sono realistiche o
mancano di
qualche elemento ?
La sua ricostruzione è
precisa, ma manca un elemento, la questione del film Acciaio. Il problema per il regime fascista
non fu tanto il Nobel, posteriore all’avventura del film che Pirandello avrebbe
dovuto realizzare sullo sfondo delle acciaierie di Terni, ma il successo a Hollywood di
Pirandello nei primi anni trenta che mise
in guardia Mussolini. Il fascismo infatti aveva già perso un genio italiano come Guglielmo
Marconi, non poteva permettersi un altro flop. Così quando a Pirandello si
aprirono le porte degli studios per una serie di
sceneggiature che portarono alla realizzazione di As you desire me con Greta Garbo da Come tu mi vuoi, ebbene Mussolini corse ai ripari per non perdere
un altro genio italiano in direzione degli Stati Uniti. Richiamandolo in patria il Duce affidò a
Pirandello un budget
praticamente illimitato per la scrittura e la realizzazione in collaborazione col
figlio Stefano Landi Pirandello di un kolossal sulle meraviglie
tecnologiche delle nuove acciaierie di Terni e sulla figura del nuovo operaio
d’acciaio forgiato dal fascismo. Lo stile documentaristico del regista tedesco
Ruttmann, le aspettative propagandistiche di Mussolini, puntualmente disattese,
naturalmente non si confacevano ad un maestro del dubbio e del rovello
interiore come Pirandello.
Così l’opera portata a termine (insomma, diciamo "conchiusa" tra tante difficoltà e contrasti) nel 1933 deluse e irritò Mussolini: altro che operaio fascista tutto d’un pezzo chiesto vanamente a Pirandello, piuttosto il Duce si ritrovò nel 1934 a dover censurare ben altri operai, falliti e sull’orlo della depressione, i Tre operai di Carlo Bernari (edizione Rizzoli collana dei Giovani diretta da Cesare Zavattini). Mussolini fu colto da una crisi di nervi e comprese quanto Pirandello fosse lontano dagli ideali del fascismo. E per capirlo aveva perfino fatto spendere al Ministero della Cultura diverse centinaia di milioni dell’epoca, visto che il finanziamento del film di Pirandello si rivelò una vera fornace bruciasoldi. Di qui la freddezza del regime che vide nuovamente Pirandello, con il riconoscimento del Nobel, allontanarsi verso lidi stranieri dopo aver fallito in casa. Nella Casa del Fascio.
Così l’opera portata a termine (insomma, diciamo "conchiusa" tra tante difficoltà e contrasti) nel 1933 deluse e irritò Mussolini: altro che operaio fascista tutto d’un pezzo chiesto vanamente a Pirandello, piuttosto il Duce si ritrovò nel 1934 a dover censurare ben altri operai, falliti e sull’orlo della depressione, i Tre operai di Carlo Bernari (edizione Rizzoli collana dei Giovani diretta da Cesare Zavattini). Mussolini fu colto da una crisi di nervi e comprese quanto Pirandello fosse lontano dagli ideali del fascismo. E per capirlo aveva perfino fatto spendere al Ministero della Cultura diverse centinaia di milioni dell’epoca, visto che il finanziamento del film di Pirandello si rivelò una vera fornace bruciasoldi. Di qui la freddezza del regime che vide nuovamente Pirandello, con il riconoscimento del Nobel, allontanarsi verso lidi stranieri dopo aver fallito in casa. Nella Casa del Fascio.
5. Ritengo molto importante quanto ha appena detto circa l’orientamento
politico di Pirandello, sottolineando l’estraneità pressoché totale del suo
pensiero con l’ideologia fascista. Con
buona pace di quanti continuano a considerare l’A. del Fu Mattia Pascal e del Così
è (se vi pare) alla
stregua di un cortigiano del regime. Ma torniamo al saggio. A un certo punto, lei fa
giustamente notare che:
a. esiste una discreta differenza tra ispirazione e plagio e in
certi casi è piuttosto
difficile individuare in modo netto la linea di separazione.
b. Anche Goethe trasse ispirazione dalla trilogia tieckiana,
quantomeno per la
scrittura del Faust (Prologo), un’opera letta sicuramente da
Pirandello.c. Pirandello spesso ha cercato di glissare sul tema, anche se ha confessato candidamente a Bonaventura Tecchi di aver scritto una tesina proprio su Tieck, durante il primo soggiorno berlinese (tesina di cui, però, si sarebbero perse le tracce). Tuttavia, egli sembra compiacersi, in alcune sue opere, di disseminare indizi fin troppo evidenti dei suoi debiti nei confronti dello scrittore tedesco. Cito soltanto un brano tra quelli particolarmente significativi del suo saggio:
“E Pirandello, in Questa sera si recita a soggetto,
chiamerà il suo Direttore con un nome
tedesco: Hinkfuss, che possiede anche una valenza mefistofelica: il diavolo è zoppo, come
vuole la tradizione faustiana. È un segnale. La verità è che Pirandello
inserisce nella sua opera una serie di rimandi più o meno evidenti alle sue
fonti. Procediamo nella lettura della prima didascalia dei Sei
personaggi:
“Spenti i lumi della sala, si vedrà entrare
dalla porta del palcoscenico il Macchinista [...]; prendere da un angolo in
fondo alcuni assi d'attrezzatura; disporli sul davanti e mettersi in ginocchio a
inchiodarli” (49).
Pirandello qui cita testualmente l'inizio
del III atto del Gatto con gli stivali, in cui il Macchinista (o Tecnico,
come lo chiama Pirandello) è intento a discutere con l'Autore sulla
scenografia da allestire.
“Ma, amico mio”—obietta il Macchinista di
Tieck all'Autore—“non le sembra di chiedere un po'
troppo nel pretendere che si debba allestire tutto quanto in così poco tempo?”
(Il gatto con gli stivali 33).
Non bisogna sforzarsi molto per indovinare
la risposta del Tecnico di Pirandello (sono le prime battute dei Sei
personaggi) al Direttore di scena accorso al suono delle prime martellate:
“Ma dico! Dovrò avere anch'io il mio tempo per lavorare!” (49).
Pirandello, abile nel costruire un labirinto intorno ai suoi
riferimenti testuali, lascia però sempre in
giro qualche indizio, qualche traccia, e cosi fa dire al Direttore di Scena: “Su, su portati via
tutto, e lasciami disporre la scena per il secondo atto del Giuoco delle parti”
(Sei personaggi in cerca d'autore 50).
I Sei personaggi in cerca d'autore iniziano
infatti dal II atto di un'opera dello stesso Pirandello che la
"Compagnia" sta per provare. Tuttavia la "problematica del II
atto" si trova già in Tieck: all'inizio del III atto del Gatto con gli
stivali l'Autore scongiura il Macchinista-scenografo di intervenire perché “il secondo atto è
andato a finire in modo
assolutamente imprevisto” (33). “ [Evidenziazione, sottolineatura e corsivo miei.]
La domanda è: se Pirandello intendeva veramente nascondere i suoi prestiti da Tieck, per quale motivo si sarebbe divertito a inserire nelle sue opere tutti questi indizi ? Più che di plagio (termine che peraltro lei usa in forma dubitativa), non si dovrebbe parlare di ‘tributo’ che Pirandello avrebbe voluto dimostrare a Tieck, in un sofisticato meccanismo di incastri e di abili giochi a nascondino, comunque riconoscibili ad un occhio esperto ?
E d’altronde: per
comporre il suo Gatto con gli stivali Tieck
non si è forse rifatto abbastanza esplicitamente all’opera omonima di Perrault
? E quest’ultimo non
ha forse attinto, per la realizzazione della sua fiaba, al plurisecolare repertorio
europeo relativo appunto alla leggenda del mitico gatto con gli stivali (Francesco Straparola, Giambattista Basile) ? Per non parlare poi della versione successiva dei fratelli
Grimm. Certo: un conto è
ispirarsi, e un altro conto è attingere a piene mani.
I fratelli Grimm |
Carlo Goldoni |
6. La tecnica del ‘teatro nel teatro’ (al centro delle trilogie
di Tieck e di
Pirandello), non è certo stata inventata dal primo. Lei stesso ricorda alcuni
autori che vi hanno fatto ricorso: Calderon (Il gran teatro del mondo), Goldoni (Teatro comico), Shakespeare (Amleto). E l’elenco, forse
potrebbe continuare. In che cosa, allora, Tieck è stato così originale e innovativo da
doverlo considerare il vero ispiratore di Pirandello ? La modernità ? I temi trattati
? Lo spirito dissacratore ? Il linguaggio ?
Lei parla giustamente di “tecnica del Teatro nel Teatro” per
quanto riguarda gli illustri precedenti di Tieck. Con lui tuttavia la “tecnica’
diventa una
struttura, cioè una forma drammaturgica che non è finalizzata unicamente alla
“forma” della rappresentazione, ma anche ai “contenuti”. Con Tieck gli aspetti
formali si fondono con i contenuti politici: sale alla ribalta improvvisamente
una borghesia incapace di produrre riforme, una borghesia che si impadronisce
del palcoscenico per abolire ed eliminare ogni possibilità di “critica”, che
vuole solo autocompiacersi e autocelebrarsi e che intende addirittura liberarsi
di “quello scocciatore di un autore” perché tanto “quello che ci diciamo nel
nostro salotto borghese è quello che vogliamo sentirci dire
andando a teatro”: e siccome noi
sappiamo che cosa
vogliamo sentirci dire “tanto vale che ce lo diciamo da soli sostituendoci all’autore e agli attori”.
Insomma, Tieck rigenera la tecnica del Teatro nel Teatro inventando la
struttura del Teatro politico, fino a Brecht. E naturalmente fino
a Pirandello – a meno che qualcuno non voglia contestare l’affermazione della politicità della struttura del Teatro nel teatro in Pirandello!
7. Cambia qualcosa, secondo lei, nella considerazione della creatività e del genio di Pirandello a
seguito delle sue ricerche ?
Assolutamente no. Qualcuno forse si offende se diciamo che
Shakespeare ha saccheggiato la
novellistica italiana da Boccaccio in poi? Giulietta e Romeo smette
forse di essere un capolavoro se diciamo che è una storia adottata dalla nostra
letteratura? Cambierebbe qualcosa nella valutazione di Shakespeare se si scoprisse da
un’analisi e confronto testuale che tra la
novella originaria e il dramma dei giovani amanti di Verona vi sono punti in
comune, riprese, scambi letterari e letterali? Lo stesso dicasi e vale per Pirandello.
8. Il suo saggio è la
sintesi di una serie di conferenze che lei ha tenuto, tra il 2004 e il
2005, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Posso chiederle come sono state accolte, in quelle sedi, le sue
conclusioni ? E inoltre: qual è l’immagine prevalente di Pirandello nelle università
straniere -soprattutto anglofone
e germanofone- dove lei ha insegnato ?
Klaus Mann |
9. Lei è un attento
studioso dei silenzi di una parte almeno della critica italiana. Escludendo quella, piuttosto
recente, relativa a Verga, può ricordare qualcuna delle altre sue puntualizzazioni ? E inoltre, come vengono accolte, in
Italia, le sue ‘provocazioni’ ? In
un testo, lei sembra
accennare a silenzi e indisponibilità che certo non possono piacerle. E d’altronde, anche
nel corso di questa intervista lei ha ricordato i rischi che si corrono
quando si vogliono varcare certi confini (v. soprattutto la risposta alla
seconda domanda). Infine: ritiene che la critica
italiana sia più ‘conformista’ rispetto a quella di altri paesi ?
Anzitutto debbo dire che
non si può fare di tutta l’erba un fascio. Parlare di critica genericamente
significa compiere un atto di superbia e di ignoranza altrettanto grave. Quindi devo ricordare
che nella mia attività ho conosciuto decine di studiosi e docenti competenti e letto
innumerevoli belle e illuminanti pagine
di critica. Ci mancherebbe che non ci
siano stati e non ci siano in
attività fior di critici
tutt'altro che pigri: io non ho nessuna autorità per fare liste da primo della
classe alla lavagna. Posso però dire, senza paura di sbagliare di molto,
che il problema nasce invece quando la
critica vuole trasformarsi in politica culturale, incancrenendosi,
irrigidendosi, sterilizzandosi e cloroformizzandosi per “partito preso”: in
sostanza ripetendo formule accademiche preconfezionate e schematismi che escludono aprioristicamente nuove idee e prospettive di
ricerca.
10. Naturalmente, quando parlavo di critica italiana, mi riferivo a ciò che ho osservato sopra e alle sue stesse puntualizzazioni. Posso chiederle se l’indifferenza (l’ostracismo ?) di una parte di questa stessa critica nei suoi confronti può essere paragonata al clima di scarsa considerazione che alcuni settori del mondo culturale italiano mostrarono, quantomeno in certi periodi, nei confronti dell’opera e dell’intera attività artistica di Carlo Bernari (e non soltanto durante il fascismo, circostanza del tutto scontata) ?
Carlo Bernari |
Carlo Bernari con il figlio Enrico |
È una domanda apparentemente imbarazzante, dico
apparentemente perché, e qui l'esempio di
casa Pirandello e del rapporto del padre Luigi col figlio drammaturgo
Stefano Landi mi è di conforto, in realtà
io e mio padre, come sicuramente avvenne tra Pirandello e il figlio Stefano,
abbiamo lavorato insieme e non ci
siamo confrontati. Così la scrittura di
un testo teatrale da un romanzo di mio padre è avvenuto con l'ausilio e sulla
base di una "catena di montaggio", un "albero di
trasmissione" culturale e artistico che ha collegato, messo in sinergia le
nostre attività distinte ma non separate. Non si trattava insomma di semplice
di collaborazione o supervisione di un autore "più grande" nei
confronti di un giovane capace ma da tenere sott'occhio. Il dibattito era continuo, preparatorio, operoso e dunque
anche operativo.
Enrico Bernard |
Io mi sono sempre
sentito in casa in Italia, purtroppo è
l'Italia che non è più in casa sua. È andata via, sparita. Così mi tocca
"uscire di casa" per potermi dire:
la casa che avevi è crollata e non è rimasto niente. Mettiti l'anima in
pace, raccogli le tue cose e mettiti in cammino. Strada facendo pianterai la croce o le radici da qualche altra parte.
Per dirla con Chatwin, ma all'incontrario, cioè da quella che ritenevo la mia
casa, la mia patria: io che ci faccio qui?
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I due protagonisti
I due protagonisti
Ludwig Tieck : 31/05/1773 - 28/04/1853.
Luigi Pirandello : 28/06/1867 - 10/12/1936.
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Enrico Bernard
Per le informazioni biografiche, la produzione artistica, i saggi
critici (a partire dalle opere in volume), l’attività teatrale, si rimanda al ricco sito di Bernard che ospita anche un’ampia rassegna della sua produzione giornalistica.
Cfr. anche :
Wikipedia, ad vocem
Sito: www.neorealismo.eu
Link
correlati:
http://www.amazon.com/Enrico-Bernard/e/B00J0OUXLS ;
http://www.libertates.com/category/libertatesstudio/pasquinate ;
http://www.in-su-la.com/?page_id=602 ;
http://rivistalucieombre.com/author/enrico-bernard/ ;
http://www.rivistadistudiitaliani.it/rivista.php?annonum=2013e2 ;
http://www.italinemo.it/riviste/dettaglio_rivista.php?Titolo=FORUM%20ITALICUM .
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