MILANO - Si poteva intervenire dal cielo evitando alla più grande fabbrica di morte di continuare a uccidere? Perché si è perso così tanto tempo e per quale motivo alla fine hanno prevalso logiche differenti, priorità distinte da quelle che avrebbero portato a salvare un numero così elevato di vite umane? A tutte queste domande prova a rispondere Umberto Gentiloni, professore associato di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma e autore del libro "Bombardare Auschwitz". In questa intervista l'autore ci spiega perchè ed in che modo si poteva intervenire per ostacolare o rallentare il funzionamento della macchina dello sterminio nell’estate del 1944.
Il suo libro tratta un tema molto grave: la macchina dello sterminio nazista davvero essere fermata o – perlomeno - ostacolata? Quali logiche hanno prevalso?
Si poteva intervenire per ostacolare o rallentare il funzionamento della macchina dello sterminio nell’estate del 1944, l’ultima estate di guerra. Molto si sapeva (era noto il rapporto Vrba), erano in procinto di partire per Birkenau gli ebrei ungheresi (la comunità più numerosa) e l’aviazione alleata era a distanza utile per programmare un raid. Ma l’ordine di attacco non scattò. In sintesi la logica che prevalse fu quella di concentrarsi sulla vittoria finale. La strategia alleata fu quella di giungere alla vittoria finale, alla resa incondizionata del nemico. Una guerra del genere non ammette vie di mezzo o compromessi, la posta in palio non è solo legata alla conquista di territori o alla ridefinizione dei rapporti di forza. E’ il destino del genere umano ad essere scosso dal nuovo ordine mondiale proposto dal terzo reich. Così la grande coalizione delle Nazioni Unite vuole giungere alla salvezza per tutti attraverso la vittoria finale, obiettivo dal quale non possono essere distolte forze, intelligenze, energie che vengono giudicate necessarie. Dopo lo sbarco in Normandia bisogna in sintesi giungere a Berlino nel più breve tempo possibile: quella sarà la data della liberazione dalla minaccia nazista.
Il non intervento è in certa misura comparabile alle atrocità naziste? Quanto gli Alleati si possono ritenere “responsabili” o “complici”, secondo lei, nell’Olocausto?
Non credo si possano comparare le scelte di condotta della guerra da parte dei comandi alleati con le atrocità compiute dall’altra parte. I due schieramenti si fronteggiano senza esclusione di colpi. Mi sembrano valide e appropriate le parole che Primo Levi usa per un articolo su “La Stampa” il 22 gennaio 1987, Buco nero di Auschwitz il titolo: «La polemica in corso in Germania tra chi tende a banalizzare la storia nazista e chi ne sostiene l’unicità non può lasciare indifferenti». Un richiamo al valore di un confronto che investe le fondamenta del dopoguerra europeo e i termini di una possibile comparazione dell’universo della seconda guerra mondiale, della natura dei regimi novecenteschi e delle responsabilità di chi si è opposto: «Nell’ambigua polemica in corso non ha alcuna rilevanza che gli Alleati portino una grave porzione di colpa. E’ vero che nessuno stato democratico ha offerto asilo agli ebrei minacciati o espulsi. E’ vero che gli americani rifiutarono di bombardare le linee ferroviarie che conducevano ad Auschwitz (mentre bombardarono abbondantemente la zona industriale contigua): ed è anche vero che probabilmente l’omissione di soccorso da parte alleata fu dovuta a ragioni sordide, e cioè al timore di dover ospitare o mantenere milioni di profughi o di sopravvissuti. Ma di una vera complicità non si può parlare, e resta abissale la differenza morale e giuridica tra chi fa e chi lascia fare». Quest’ultima frase contiene un giudizio che rimane fondamentale anche a distanza di decenni.
Quale eredità ha lasciato il genocidio nazista? Come è percepito ancora oggi?
Eredità difficile di una tragedia nata e costruita nel cuore dell’Europa colta e sviluppata, nella patria di Goethe e Beethoven. Rimane un segno indelebile, anche 70 anni dopo, chiamando in causa le debolezze dell’uomo, i suoi comportamenti, le tante contiguità e indifferenze che lo hanno reso possibile.
Cosa possiamo fare per onorare la memoria di questi tragici eventi, per non dimenticare davvero?
Essere vigili e attenti anche nelle piccole cose di ogni giorno, combattere intolleranze e razzismi. Solo così la memoria può vivere nel nostro tempo; con significati e richiami che aiutino a valorizzare le tante differenze che attraversano le società contemporanee. In fondo le radici dell’Europa, del nostro lungo dopoguerra affondano proprio nel tentativo di voltare pagina, lasciarsi alle spalle la violenza e l’orrore della guerra.