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sabato 28 dicembre 2013

Un intellettuale fieramente disorganico. Intervista a Franco Cardini.


di  A. Lalomia

Chi ha avuto la pazienza di seguire questo blog, avrà notato che io riservo a Franco Cardini uno spazio non occasionale, perché lo considero non solo una delle figure più illustri del mondo accademico, ma anche uno degli osservatori più acuti della realtà  (non solo politica) nazionale e internazionale, politicamente schierato, certo, ma non più di tanto, poi, e comunque non legato a logiche di partito.
Quello che colpisce di più in Cardini, al di là degli incarichi accademici, dell’imponente mole di lavori scientifici che ha al suo attivo 1  e dei premi che gli sono stati conferiti, è la semplicità disarmante che mostra nel parlare di sé e dei temi più controversi dei nostri giorni  (la globalizzazione; i flussi migratori; le bugie dei media; la 'sovranità limitata' dei paesi europei; lo strapotere delle multinazionali; lo sciopero; il terrorismo; lo stato miserevole delle nostre ferrovie, soprattutto quelle locali, che egli conosce molto bene, perché, a dispetto del suo prestigio, fa il pendolare).  
L’autorevolezza del suo percorso accademico e la passione che riversa nel commentare fatti della vita d’oggi che in genere rimangono ai margini dell’impegno accademico  (quando non sono del tutto ignorati), fanno di Cardini un personaggio unico nel panorama intellettuale italiano, un punto di riferimento per tutti coloro i quali cercano, accanto alla serietà degli studi, una voce attendibile per capire la realtà.
A conferma dell’autorevolezza del personaggio, nel giro di pochi giorni, Cardini ha ricevuto ben tre, fra riconoscimenti e premi, uno più prestigioso dell’altro:  
l’ 8 ottobre 2013, l’onoreficenza“Galilei”  da parte della massoneria italiana;
il 19 ottobre 2013, il Premio Acqui Storia alla Carriera, con la medaglia Presidenziale, assegnata dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano; 
il 25 ottobre 2013, il Premio internazionale “Il Portico d’Oro”, intitolato a Jacques Le Goff   2  .
Il Grande Oriente d’Italia ha così motivato la scelta di assegnare l’onoreficenza a Cardini :  "La memoria è radice per vivere il presente e costruire il futuro. Franco Cardini ha creato ponti all'incontro delle differenze, facendo conoscere con studi profondi la storia profonda di quelle Cattedrali di pietra e sapienza che nell'Età di Mezzo videro l'Uomo lottare alla ricerca di senso. 
Accademico internazionale e maestro di pensiero per tanti giovani studiosi, ha fatto scoprire l'attualità del Medioevo, lo spirito dei Cavalieri, il sogno dei Templari di una pace religiosa tra Oriente e Occidente, Cristianesimo e Islam. Perché nulla è più vicino alla nostra sensibilità odierna dello spirito medievale.
Il Grande Oriente d'Italia è onorato di indicarlo come esempio di studio rigoroso e di verità storica. Passione e ragione fanno di Cardini un interprete autentico del Medioevo, un confronto sicuro per ogni coscienza che voglia costruire su cultura e dialogo per abbattere i muri dell'intolleranza e dell'odio. 
Per noi un compagno di viaggio che si lega alla catena degli uomini del dubbio per costruire ancora incontri e fare spazio alla pace".   3
 Un momento della premiazione
di Cardini all'Acqui Storia 2013
Di seguito, invece, la motivazione del Premio Acqui:  il premio vuole prima di tutto essere  “un riconoscimento all’insigne cattedratico universitario, autore di testi fondamentali tradotti in molte lingue del mondo, ma che hanno saputo raggiungere anche il grosso pubblico. Cardini, oltre ad essere uno dei più autorevoli medievisti italiani, ha saputo esplorare i cosiddetti “secoli bui”, illuminandone, con intelletto d’amore, i più vari, curiosi, complessi versanti creativi. In secondo luogo, l’Acqui Storia intende rendere omaggio all’”intellettuale disorganico” che non si è mai sottratto al dibattito su temi di attualità, a partire da quelli più controversi, intervenendo sempre con intelligenza critica, spirito anticonformista, vivace piglio polemico, senza peraltro nulla concedere a pregiudizi faziosi o a giudizi sommari.”     

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N.B.
L'intervista è stata concessa da Cardini agli inizi di dicembre  (e viene pubblicata soltanto ora per motivi tecnici); questo spiega un paio di punti  -ad esempio l'elezione di Renzi a segretario del PD-  che sono stati superati dalla cronaca.  D'altra parte, questo ritardo mi ha permesso di dar conto anche di una pubblicazione recentissima dello storico fiorentino, che si può scaricare gratuitamente dal suo sito.
Nel corso dell'intervista vengono affrontati alcuni temi  -per esempio quello delle camere a gas dei lager nazisti  (punto n.15)-  che vanno letti con un'attenzione del tutto particolare, per evitare che su di essi fiorisca  (come troppo spesso accade, purtroppo)  il ginepraio di interpretazioni fuorvianti e al limite del demenziale.  Chi mi conosce sa benissimo come la penso, ma sa altrettanto che, come Cardini insegna, nulla va sottratto all'esame della logica e della ricerca rigorosa, senza pregiudizi o verità precostituite. 4
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Note

1   Al riguardo, v. la Bibliografia citata al punto 7 del'intervista, Il Franco tiratore, a cura di Antonio Musarra. Una raccolta particolarmente ampia di queste opere si trova nel portale www.libreriauniversitaria.it .  È appena il caso di precisare che molti di questi libri sono tradotti in diverse lingue e vengono utilizzati in sede universitaria.  
Alla Bibliografia bisognerebbe poi aggiungere i testi in onore di Cardini, di cui cito soltanto Un maestro insolito. Scritti per Franco Cardini.
Vale la pena ricordare che nella sterminata produzione di Cardini  (che si arricchisce ogni anno di nuovi titoli) non mancano né i romanzi storici  (opere di grande successo, a dispetto della modestia che l'A. usa nei loro confronti, quali L'imperatore, il re del mondo, il cavaliere)né i libri per ragazzi, come ad esempio Storie di Re Artù e dei suoi cavalieri.    


  Qui   la locandina della cerimonia;  qui  il video con l’intervista a Le Goff, in occasione dell’intitolazione del Premio in suo onore;  qui, infine, l''intervista a Cardini del 19 ottobre 2013.

3   L'onorificenza 'Galilei', istituita nel 1995, è un riconoscimento per i non massoni che si siano distinti "per l'impegno nella ricerca del vero e del giusto, nell'attuazione e nella difesa dei principi e degli ideali massonici, nel perseguimento dei valori tesi alla realizzazione di un'Umanità migliore e scevra da pregiudizi". Come si apprende dal sito del Grande Oriente d’Italia, è divisa in due classi, sole e luna. Tra le personalità che ne sono state insignite, bisognerà citare almeno Ytzhak Rabin e Salvatore Accardo.  
 Ytzhak Rabin
 Salvatore Accardo
La prima loggia massonica italiana è nata proprio a Firenze (1731-32). Questa città, dopo la seconda guerra mondiale, ha avuto almeno un sindaco massone ufficiale, e cioè Lando Conti  (1933-86; sindaco dal 1984 al 1985). Era fratello della Loggia “Abramo Lincoln”.  Venne assassinato dalle BR il 10 febbraio 1986.  

4  D’altronde, anche importanti figure del mondo ebraico  (senza ovviamente negare la Shoah)  fanno notare che la questione dei sei milioni di vittime delle camere a gas presenta dei limiti, sul piano della logica.  Le camere a gas, forse, hanno svolto un ruolo quasi marginale  -e comunque relativamente modesto- nello sterminio  (che d'altra parte non ha riguardato solo gli ebrei).
Quasi due milioni di ebrei sono stati uccisi o nel corso di combattimenti o nelle stragi che si perpetravano nelle aree in cui si trovavano  (basti pensare ai massacri del ghetto di Varsavia) e venivano sepolti in enormi fosse comuni, fatte scavare spesso dalle stesse vittime; più di tre milioni sono periti a causa dei lavori forzati, degli stenti, delle privazioni, delle malattie, delle epidemie, delle condizioni bestiali in cui erano costretti a vivere nei lager  (il simbolo stesso della Shoah, e cioè Anne Frank, è morta durante un'epidemia di tifo).  Per le camere a gas, rimangono quindi alcune centinaia di migliaia di vittime, una stima che mi sembra verosimile, attese le possibilità tecniche di allora e il fatto che prima di bonificare un ambiente pieno di Zyklon B erano necessarie almeno 24 h e potentissime apparecchiature per la ventilazione  (mezzi che non sempre i tedeschi possedevano).  

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"La storia è revisione continua di quanto è stato affermato e comprovato 
precedentemente, e che va soggetto ciò nonostante a continue verifiche. Chiunque 
con qualunque pretesto cerchi d’impedire questo sacrosanto lavoro critico è un nemico 
della libertà di coscienza, della quale la libertà di ricerca scientifica fa parte. Contro 
le menzogne affermate come verità scientifiche, esiste la forza delle ricerche corrette; 
contro i crimini travestiti da ricerca storica, le leggi correnti bastano senza bisogno di limiti 
o di sanzioni ulteriori.  Chiunque affermi qualunque cosa, e abbia strumenti idonei 
a comprovarla, è benvenuto nel mondo della cultura e deve esserlo nella società, alla quale 
apporta un contributo indispensabile di verità, di chiarezza e di coraggio. E, soprattutto, 
deve essere chiaro che la verità storica (che Non coincide per nulla con la verità obiettiva, 
la quale a sua volta è purtroppo per noi inconoscibile) non può e non deve essere fissata 
per legge: ciò è giuridicamente assurdo e moralmente infame."    
(Franco Cardini)

"Scuole e famiglie debbono cominciare con il riqualificarsi reintroducendo il principio 
della repressione e della punizione come pratica educativa legittima e necessaria, 
beninteso entro limiti rigorosamente controllati. In una società nella quale l’agir male 
sia diffuso, la costrizione ad agir bene è inevitabile: l’autoeducazione è un fatto 
rigorosamente elitario. Il resto, poi, verrebbe lentamente da sé: come dice 
san Tommaso d’Aquino, la virtù è un’abitudine."
(Franco Cardini)

  
1.  Avrei un’infinita di domande da porle e quelle che ho preparato sono soltanto un mediocre e maldestro elenco.   
Iniziamo dal Premio Acqui Storia alla Carriera, consegnatole il 19 ottobre.  Nel suo sito  Lei ha già espresso delle considerazioni su questo prestigioso riconoscimento, ringraziando in primo luogo la giuria del Premio.  Potrei chiederLe di sviluppare quanto ha già scritto, approfondendolo con quelle osservazioni sull’  “intellettuale disorganico”   (titolo peraltro di un suo libro del 2001)  e  “spirito anticonformista” di cui parla la nota del Premio ? 

            Ricevere riconoscimenti “alla carriera” fa un po’ gioiosamente, un po’ mestamente parte della stagione della vita nella quale si raccoglie quanto si è seminato, per quanto si sia ancora disposti a continuar a lavorare e si abbiano ancora voglia, interessi, curiosità e mezzi – inclusi gli psicofisici e i finanziari – per continuar a studiare. Io sono fondamentalmente un ottimista e, come tutti quelli che hanno passato i settanta, giudico irrazionale porsi dei termini di tempo. A trenta, quaranta, perfino cinquant’anni si può e anzi si deve far i conti con i sia pur incogniti limiti della vita di ciascuno di noi e non impiantare pertanto progetti che siano cronologicamente irrealizzabili. Dopo i settanta, se si è (e io non lo sono granché) o si cerca di essere (e io lo faccio) “saggi”, si continua semplicemente, umilmente, lietamente a lavorare. Magari cercando di rivedere quel che si è fatto, di correggere qualche errore, di chiedere scusa a qualcuno che sia pur senza volerlo si è offeso, di concludere qualche lavoro e qualche impegno lasciati in sospeso. Con questo spirito ho accettato i tre premi che Lei ha ricordato. Credo che, in temi di “disorganicità” e di “anticonformismo”, quello che meglio mi rappresenta fra tutti sia l’onorificenza conferitami dal Grande Oriente: sono e mi dico da più di mezzo secolo un cattolico tradizionalista, il che significa che il mio modo di guardare alla storia e alla fede è radicato in pensatori come De Maistre, Donoso Cortés e Schmitt, per quanto mi sia sempre guardato bene da aderire a “scuole” di sorta. In quanto cattolico, aderisco senza discutere (poiché si tratta di un’accettazione per fede) ai dogmi della Chiesa cattolica, detesto l’astrattezza e il pretestuoso rigore delle ideologie, respingo qualunque forma di “Assoluto” che non sia connesso con la metafisica o con  la mistica e soprattutto non sopporto la gente che ritiene di avere la verità in tasca e confonde le proprie arbitrarie opinioni con la verità obiettiva (per intenderci meglio, detesto l’arbitrio con il quale oggi molti usano accusare gli altri di “relativismo”, confondendo tale concetto con quello di “relatività”). La mia stessa fede è – come del resto dev’essere – fondata anzitutto e soprattutto sulla speranza (“fede è sustanza di cose sperate”): quindi non può evitare il dubbio, muto e costante compagno della vita di ciascuno di noi. La mia “certezza” fideistica di possedere l’unica Verità secondo me degna di essere pensata e scritta con la maiuscola (il Cristo: Via, verità e Vita),  umanamente parlando –in quanto cattolico sono  persuaso che esista una “natura umana” – non può andar scevra dal dubbio. In questo senso il Grande Oriente ha ragione nel ritenermi suo “compagno di strada”: anche se la Chiesa mi vieta l’adesione a qualunque loggia o associazione massonica; e io credo nella disciplina e obbedisco, altrimenti non sarei cattolico.  


2.  Lei tiene a ricordare di essere  “un uomo disperatamente di parte, un fazioso feroce come il mio concittadino Alighieri”. 
Eppure, a me sembra che non poco del suo prestigio e del fascino che esercita, sugli studiosi ma anche sulle persone che hanno interesse ad accostarsi in modo serio a certi argomenti  (pur non possedendo titoli accademici), sia legato sì alla sua straordinaria vis polemica, ma anche allo spirito tollerante, all’indulgenza, all’equilibrio, al garbo e alla correttezza delle sue analisi, di fatti al centro del dibattito quotidiano, ma anche di questioni che rimangono in ombra  (spesso volutamente).
Lei è certamente un intellettuale scomodo, ‘fuori dal coro’, un eretico (ma non di fede religiosa, perché questa è ben salda)  che  “non sta bene a nessuno”  (altro titolo di libro, questa volta del 2003), che ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, ma sempre con tono elegante, con stile e senza trarne motivo di vanto o di superiorità, e questo la fa apprezzare enormemente.  E oltretutto la sua modestia è proverbiale. 
Insomma, se posso permettermi, il confronto con l’Alighieri in realtà va tutto a favore del Prof. Cardini.  Quanto a modestia, “il ghibellin fuggiasco” era un po’ deboluccio.  Non è poi che nelle sue opere le invettive (che a lei invece sono estranee)  manchino … .  Le mie sono considerazioni stravaganti o contengono qualche elemento di verità ?

            Tremo dinanzi al confronto con Dante e respingo sia la pur lontana e paradossale ipotesi di essergli superiore, sia l’ipotesi che io sia una persona caratterialmente modesta (semmai, purtroppo, sono tale intellettualmente: ma questo è un altro discorso). Confermo invece di essere e di sentirmi un fazioso fiero e orgoglioso di esserlo. Vi sono per la verità pochissime cose nelle quali sono convinto, ma su quelle non defletto: quanto a metterle in discussione, diciamo che sono comunque disposto a parlarne, e  – se e quando mi convinco di avere sbagliato: il che è capitato e continua a capitare –  sono sinceramente lieto di dar ragione al mio interlocutore e se è necessario anche a chiedergli scusa. Ed ecco le mie “faziose certezze”: sono nemico di qualunque forma di sopraffazione di un essere umano su un altro essere umano; di qualunque violenza sulla natura e sul Creato, anche se in quanto homo occidentalis so bene di appartenere a una cultura della violenza – come lucidamente afferma Emanuele Severino nel suo scritto Techne – e di essere occidentale non mi vergogno affatto (solo che, tale essendo, ho coscienza dei delitti che la cosiddetta “cultura occidentale” ha commesso nell’ultimo mezzo secolo) né rifuggo dalla responsabilità che ciò comporta e dalla coscienza di complicità nei delitti dalla società occidentale moderna perpetrati nell’ultimo mezzo secolo; di qualunque forma di egoismo e di individualismo, le due autentiche colpe dell’essere umano dinanzi a  Dio e ai suoi simili, le radices omnium malorum. Quindi, sono faziosamente nemico irremissibile della società dei consumi e dei profitti, dell’avere e dell’apparire anziché dell’essere (mi rifaccio qui al pensiero di Erich Fromm, che trovò un suo splendido esegeta in Karol Wojtyła. Ma, se in quanto cristiano odio il peccato (soprattutto quando lo riscontro in me stesso), non odio affatto i peccatori. E sono disposto a incontrare tutti, a parlare con tutti: anche con i drogati terminali, gli anarchici situazionisti, i fondamentalisti di qualunque idea e tendenza compresi gli skinheads e quelli di Casa Pound. Sono anche impegnato in un programma di visita e di sostegno ai carcerati: e ho grande rispetto per chi, avendo sbagliato, accetta di pagare il suo debito con la società. In altri termini, pur ammirando e  rispettando profondamente induismo ed ebraismo, non ho nulla né del brahmano, né del fariseo: non ho quindi mai, potendolo fare, negato di accettare un contraddittorio con chicchessia; non credo che esista nessuno da considerare “lebbroso” per le idee che professa. Certo, ho a mia volta qualche  limite caratteriale: riconosco che avrei difficoltà se dovessi intrattenere  relazioni  con i responsabili non pentiti di certi tipi di crimine, come la pedofilia. E in genere trovo un certo disagio a parlare con chiunque stia dalla parte del più forte, in qualunque contesto:  i perdenti possono essere stupidi, matti e perfino criminali, ma di solito sono onesti e di solito sono più interessanti dei vincitori; inoltre, quando si ha a che fare davanti a uno che sta con i vincenti, non si è mai sicuri del perché delle sue scelte e l’opportunismo o la viltà sono le più probabili tra esse. Forse, la mia vera faziosità consiste nell’ odio per qualunque forma di disonestà: ma proprio ciò mi obbliga a un continuo e severo esame di coscienza, dal quale esco sempre malconcio. Consapevole di essere un pessimo cristiano, ho  l’unico conforto di potermi dire ancora e nonostante tutto cristiano.   



3.  Nella motivazione del Premio Acqui c’è un piccolo punto che meriterebbe di essere discusso: mi riferisco a quando lei viene definito  “medievista”.  Ora, è vero che il corpus principale delle sue opere riguarda l’Età di Mezzo -e in particolare le Crociate-, però lei ha fatto delle incursioni anche nella storia moderna e contemporanea, a partire da Europa 1492 (per non parlare dei libri su Francesco GiuseppeNapoleone IIILawrence d’Arabiasu Gerusalemme e sulla guerra italo-turca  –quest’ultimo uscirà a gennaio del prossimo anno presso Mondadori- ; delle traduzioni;  dei saggi e delle rassegne su periodici scientifici o di rilievo culturale, circa 200; e arrivando alla sua penultima opera,  Il turco a Vienna . 

 Oltretutto, la sua militanza politica, la sua attività di commentatore della realtà odierna, e la particolare attenzione che ha sempre mostrato per la sua città, l'hanno spinta ben oltre  i confini della periodizzazione scolastica

della Storia.  La domanda è:  il Medioevo continua a rappresentare il campo privilegiato dei suoi studi e della sua produzione scientifica, oppure ha intenzione di allargare ancora di più il panorama delle sue ricerche ad altre epoche, approfondendo studi, anche dell’età contemporanea, che ha già iniziato ?

            Fino da ragazzo sono sempre stato attratto da “un certo” medioevo, dai miti come il Graal alla cavalleria, alle crociate, a personaggi come Francesco d’Assisi e Giovanna d’Arco, e in ciò giocava senza dubbio ancora un ruolo la cultura postromantica nella quale per  gran parte del XX secolo si è restati immersi. Credo che sia stato decisivo per la mia “vocazione medievistica” (chiamiamola così) la lettura di  Autunno del Medioevo, di Johan Huizinga.   
Ma riconosco – senza vantarmene: anzi, con qualche dispiacere – che il medioevo mi è sempre “andato stretto”.   

 Mi sono sempre interessate molto, e continuano a interessarmi, le civiltà differenti dalla mia, specie quelle asiatiche; e sono molto affascinato dalla storia contemporanea, dalla fase aperta con il 1914 e secondo me non ancora conclusa. Ma ciò mi porta ad avventure" in territori che ho coscienza di non conoscere abbastanza. Nutro grande ammirazione per alcuni miei colleghi, che sono "studiosi puri"  e ricercatori scientifici rigorosi, specialisti senza debolezze e senza contraddizioni. 
 Johan Huizinga
Confesso che mi sarebbe piaciuto essere come loro, ma non ci sono riuscito: e in fondo non ci ho nemmeno mai provato. Certo, conosco abbastanza bene il mio mestiere: ma nella mia attività di uomo di cultura e anche d'insegnante ho sovente ceduto alla curiosità, agli interessi più vari, a una certa bulimìa cultural-intellettuale che mi ha portato non solo ad affrontare studi in aree disparate (con particolare interesse e impegno per le scienze antropologiche). Mi riconosco infine molti difetti ai quali sono tuttavia affezionato, per quanto sappia che essi sono nemici del lavoro scientifico serio e costante: la curiosità, una certa superficialità sia pur occasionale (m’innamoro di molti oggetti di ricerca, ma me ne stanco troppo presto), una qualche voglia “goliardica” di divertirmi sia pur studiando e lavorando con fatica, una forte attrazione per il narrare, in termini sia di divulgazione – magari ben fatta: e si può farla – sia di vera e propria “narrativa” nel senso letterario. Ho difatti tentato, con mediocre fortuna, di fare anche il romanziere: con non troppi titoli al mio attivo e successo decoroso ma tuttavia modesto.  È stata comunque una bella esperienza, che non è detto sia conclusa: non me ne pento affatto. In altri termini, se non avessi fatto il professore di storia, mi sarebbe piaciuto fare l’antropologo o il giornalista specializzato in corrispondenze di viaggio, tipo Fosco Maraini o Tiziano Terzani o Oriana Fallaci dei quali, non a caso, sono stato grande amico.   


4.  Poco prima di ricevere il Premio Acqui Storia, l’ 8 ottobre 2013, il Gran Maestro della Massoneria Italiana, Gustavo Raffi, le ha consegnato l’onoreficenza “Galilei” .
Un punto significativo della motivazione è quello dove si dice che  “nulla è più vicino alla nostra sensibilità odierna dello spirito medievale”.  Per quale motivo, secondo lei, oggi esiste questa comunanza   -di sensibilità e di spirito  (anche di interessi ?)-  con un periodo che per tanto tempo è stato rappresentato con le stigmate dell’arretratezza, della superstizione, dell’ignoranza, della violenza, dell’anarchia  (e a questo proposito mi viene in mente Adalberone di Laon e il suo sogno di restaurazione del modello di società creato da Carlo Magno)  ?   Sono le inquietudini e i timori di un mondo sempre più ingovernabile, che fanno sembrare i tempi d’oggi così vicini al Medioevo ?  Eppure, nell’Età di Mezzo esisteva un’ampia e profonda religiosità, una religiosità che oggi è ben difficile trovare in Europa, soprattutto nella sua parte occidentale  (il mondo musulmano e quello buddista sono realtà diverse), sia pure in forme più tiepide.  Le mie sono osservazioni irrilevanti o contengono un minimo di verità ?

            Guardi, la parola “medioevo” è nata nel Tre-Quattrocento con intento limitativo e sotto certi aspetti spregiativo, e l’avventura semantica di quel termine in tutte le lingue europee è una delle più ricche, significative ma anche ambigue che si possano immaginare. Per certi versi sarebbe meglio abolirla, o comunque limitarne drasticamente l’uso. Il cosiddetto “medioevo” è un periodo che per convenzione si considera durato circa un millennio, nel quale c’è stato tutto e il contrario di tutto: e che per giunta riguarda solo la Cristianità romano-germanico-celtica, per quanto in senso traslato se ne sia fatto un uso molto più largo e addirittura antropologico. Le “somiglianze” tra il medioevo e l’età attuale (come qualunque altra età) appartengono più ai nostri schemi mentali e culturali, per non dire ai nostri pregiudizi pseudostorici, che alla realtà obiettiva. Oggi, possiamo dire di sentirci sull’orlo di profondi cambiamenti nella nostra società, nel nostro modo di concepire l’umanità: per questo ripensiamo alle invasioni barbariche, all’Anno Mille, al tempo della peste Nera, insomma alle situazioni di crisi, di pericolo, di mutamento ma anche di rinnovamento. Non si tratta di analogie obiettivamente lecite, bensì del risultato della nostra equivoca lettura del presente e della nostra schematica e distorta conoscenza del passato. Però su una cosa abbiamo ragione: il “nostro” medioevo è l’età della transizione, del mutamento, quindi è buon simbolo dell’esistenza umana.  È quanto ha perfettamente capito Ingmar Bergman ne Il settimo sigillo, per quanto lo abbia risolto nei termini esistenzialistico-kierkegaardiani della sua impostazione filosofica  (io avrei preferito un taglio un po’ più heideggeriano: 
 Miguel de Unamuno
ritengo che, dopo Nietzsche e insieme a de Unamuno, 
 Martin Heidegger
Heidegger sia il più alto e profondo pensatore dell’età contemporanea che io farei cominciare con la crisi del biennio 1869-70: taglio dell’istmo di Suez, guerra franco-prussiana, quindi decollo del Totentanz che ha condotto alla “Guerra dei Trent’Anni” 1914-1945, nel dopoguerra della quale ancora stiamo vivendo e continueremo a vivere finché non sarà risolto il problema vicino-orientale e non sarà tramontata l’”era del petrolio”, problema ed era che costituiscono la grande eredità della tragedia scoppiata nel 1914).


5.  Per  tornare al riconoscimento da parte della massoneria italiana, mi sembra
che si sia trattato di una scelta particolarmente importante, attesa l’idea che su
di essa si continua ad avere, quantomeno in alcuni settori.  Non capita tutti giorni, insomma, che il massimo esponente di un ordine  (le cui origini risalgono forse
proprio al medioevo)  che ancora oggi viene etichettato come anticlericale, lodi
un fedele devoto  -ancorché insigne studioso di fama internazionale-   come lei.  
Quanto pesano, ancora oggi, le stigmate dell’anticlericalismo nell’idea che buona parte della società italiana ha della massoneria ?

            Credo che la storia della massoneria nel suo complesso sia molto mal conosciuta, anche da molti suoi avversari e detrattori accaniti non meno che da molti che, invece, appartengono con convinzione a questa o a quella loggia. Non c’è dubbio che un fossato profondissimo sia stato scavato tra massoneria e Chiesa cattolica tra Rivoluzione francese e Risorgimento europeo, con colpe da entrambe le parti. Bisogna inoltre aver sempre chiaro che tra il pensiero massonico – umanitario, razionalistico, teistico, immanentistico – e la Fede cattolica ch’è trascendente, universalistica, fondata sulla Rivelazione divina e sulla  metarazionalità dei dogmi, non v’è possibilità obiettiva di conciliazione. Siamo dinanzi a due forme di pensiero e a due modi d’intendere tanto l’universo quanto il rapporto tra Divino e Umano profondamente diversi tra loro, per quanto non estranei in modo assoluto. Si tratta di accettare questa diversità qualitativa, di non forzarla fino a interpretarla alla luce di un’irremissibile reciproca ostilità, ma anche di non guardare ad essa in modo semplicistico e riduzionistico. I contenuti che cattolici e massoni, rispettivamente, conferiscono alla parola “Dio” e alla pur comune eredità rispetto alla Bibbia e alla tradizione filosofica greco-romana sono in apparenza non lontanissimi fra loro, in realtà inconciliabili. Ciò non esclude – al contrario! – il dialogo e la collaborazione, specie di fronte ad alcuni grandi temi: la pace nel mondo, la lotta contro la fame e le malattie, il desiderio di costruire un Domani nel quale chiunque sia qualunque cosa vuol essere e rispetti negli altri la sua medesima istanza di dignità e di libertà. Alla luce di ciò, non mi meraviglia né mi scandalizza che un massone apprezzi il Gesù Cristo dei Vangeli, che ammiri Ignazio di Loyola e ami Blaise Pascal; e spero che nessun massone si meravigli se io adoro Wolfgang Amadeus Mozart e la sua musica, soprattutto la massonica Zauberflöte. 
 Gustavo Raffi e Franco Cardini
E voglio sperare che nessuno trovi da ridire sul fatto che il Gran Maestro Gustavo Raffi e io ci rispettiamo, ci troviamo reciprocamente simpatici e ci diciamo amici. Il che non toglie che io, nell’osservanza disciplinata del precetto magistrale della Chiesa, non possa entrar a far parte di alcuna loggia massonica; né credo che Raffi abbia mai preteso di mantenersi in comunione con Santa Romana Chiesa, dal momento che le sue scelte sono altre. Qui non si tratta, sia chiaro, di “intolleranza”: il fatto è che la concezione trascendente e rivelazionistica del  Dio Creatore e Signore dell' Universo secondo il cristianesimo (con in più la dogmatica metarazionale cattolica) e quella immanente, scientista, razionalista e naturalistica di un “dio” impersonale, un “Ente Supremo”, sono inconciliabili come sarebbe inconciliabile l’appartenere a due religioni diverse ed estranee fra loro. Come cattolico, posso sentirmi “intrinseco” all’ebraismo e – poiché il dogma non me lo impedisce – ritenere Muhammad un “Profeta del Cristo Venturo”: ma non poso adorare il Dio di Abramo, d’Isacco, di Giacobbe, di Gesù e di Muhammad e al tempo  stesso il Dio-Ragione-Natura della massoneria. Che fenomenologicamente, apparentemente e  superficialmente i due si somiglino, può essere vero: ma sono intrinsecamente, strutturalmente e sostanzialmente differenti, estranei e inconciliabili. Di ciò bisogna avere coscienza: dopo di che, qualunque forma di collaborazione e di dialogo è possibile. Se Raffi mi chiede di collaborare con lui per salvare i bambini africani dalla sete e dall’AIDS, sono al suo fianco senza riserve: mentre invece forse sul matrimonio omosessuale, sull’aborto, sull’eutanasia le nostre posizioni sono lontane, opposte, inconciliabili. Ciò non toglie che io preferisca parlare con lui che con i cattolici-tartuffes che riducono la fede alla messa tridentina e che sognano nuove crociate contro i “nuovi invasori” che sarebbero gli sventurati di Lampedusa. 
Del resto, rivendico appunto il mio diritto alle scelte, al “comune sentire” e alle simpatie anche nell’àmbito della Chiesa. Ho avuto la fortuna, l’onore e il privilegio di conoscere due famosi preti cattolici, entrambi genovesi, oggi purtroppo scomparsi, e di aver voluto un gran bene a entrambi: Gianni Baget Bozzo e Andrea Gallo. Ma, fermo restando l’affetto, la mia simpatia per don Gianni è scomparsa verso la metà degli Anni Novanta (il che è stato del resto reciproco) allorché la nostra sensibilità politico-antropologica  e il nostro sentire ecclesiale si sono andati divaricando:  mentre con don Andrea ci passeggiavo volentieri per le stradine dietro il Porto Antico di Genova, le stesse di Fabrizio de André, e ci andavo volentieri anche a cena.  Il fatto è che le nostre reciproche opzioni avevano fatto sì che tra me e don Gianni non ci fosse purtroppo ormai più nulla da dirci; mentre con don Andrea, tra discussioni e magari litigi, condividevamo un’idea differente ma comune di Chiesa e di società futura.  


6.  Tra gli altri numerosi premi e riconoscimenti che ha ricevuto prima di quest’anno, a quale è più legato?

            Francamente, a tutti nella misura in cui sono riconoscente a chi me li ha attribuiti; a nessuno in quanto, sinceramente, accarezzano la mia vanità (un altro mio gravissimo difetto), ma onestamente non ritengo di averli meritati. Non perché mi disistimi: al contrario, un altro mio difetto è proprio l’eccessiva stima di me stesso, al limite (spesso superato) della superbia. Ma proprio per questo sono scontento di me: so che avrei potuto far molto meglio, che avrei potuto per esempio nel ristretto ma significativo campo della storia delle crociate e dei pellegrinaggi appartenere al ristretto numero degli happy fews davvero importanti, come Jonathan Riley Smith, come Benjamin Z. Kedar, come David Jacoby, come Christofer Tyerman, come David Abulafia. 
 Georges Duby
Non ce l’ho fatta: in ciò, ho fallito. Appartengo al nòvero degli specialisti considerati discreti, dignitosi, ed è tutto. Mi sono a lungo occupato di storia della cavalleria medievale, ma non sono mai arrivato ai livelli di Georges Duby o di Jean Flori o di Martin de Riquer. Come uomo e come cristiano, accetto volentieri la mia mediocrità e cerco di portarla dignitosamente. Come studioso, ne sono deluso e amareggiato: sentimenti comunque, la delusione e l’amarezza, che  sono attutiti dalla coscienza di aver fatto sempre del mio  meglio, con gli errori e le lacune del caso. In altri termini, avrei voluto essere il Number One e ho costantemente anche se non sempre coerentemente lavorato a questo fine: accetto con triste ilarità di essere il Number Thirty Two, anche se non me lo perdono. D’altronde, la superbia (che in me è quasi infinita) deve sempre essere corretta dalla precisa autocoscienza di sé e dei propri limiti  e dall’energia necessaria ad accettarli positivamente: altrimenti diventa hybris, autodistruzione.


7.   Nel 2011 è uscita la Bibliografia dei suoi scritti, Il Franco tiratore, a cura di Antonio Musarra.  È un’opera monumentale, un librone di 438 pagine, che comprende tutti i suoi lavori dal 1957 al 2011  (i soli testi in volume sono circa 150). Posso chiederle a quale delle tante opere che ha scritto è particolarmente legato?  In un’ intervista dello scorso anno lei in parte ha già risposto, indicando l’opera a cui è più affezionato, anche  se ha aggiunto che non ci sono suoi libri che le piacciono “veramente e profondamente” .  Vuole aggiungere qualcosa ?

    
            Beh, negli ultimi mesi l’editrice bolognese Il Mulino ha spontaneamente voluto farmi segno di un onore per me tanto gradito quanto inatteso: ha ripubblicato  Quell’antica festa crudele e sta ripubblicando Alle radici della cavalleria medievale, due libri che hanno entrambi più di trent’anni, che sono quindi due long seller e che qualcuno arriva a ritenere due “classici” della letteratura storiografica italiana attuale. Ritengo il primo un discreto profilo della cultura della guerra tra medioevo e Rivoluzione francese, e amerei considerare il secondo un “grande libro sbagliato”, come non ricordo più chi ebbe a definire l’Autunno del medioevo di Huizinga. Direi che il mio è un “grosso libro sbagliato”, dal momento che è un mattone di parecchie centinaia di pagine.  Ma ci sono molto affezionato: anche perché in parte l’ho concepito e scritto in Unione Sovietica e ha una traduzione russa che un paio di anni fa è stata festeggiata nella repubblica caucasica osseta, nelle cui università viene ancora studiato assiduamente. Il governo della repubblica osseta mi ha offerto in tale frangente una decorazione, la Medaglia dell’Ordine dell’Amicizia: ecco, è quella forse la distinzione alla quale tengo di più e della quale vado più orgoglioso.
                                                                                                             

8.  La sua attività di studio e di ricerca l’ha condotta in diversi paesi: dalla Francia
alla Germania, agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna.  Potrei chiederle in quale di questi paesi ha ricevuto le maggiori gratificazioni sul piano professionale ?
E inoltre: dal confronto con le realtà universitarie di altri paesi, il nostro mondo
accademico  -e in genere degli studi superiori-  come ne esce, soprattutto per quanto riguarda le risorse messe a disposizione degli storici, i riconoscimenti che vengono loro tributati e l’attenzione che i media riservano all’attività degli studiosi ?

            Sul piano delle gratificazioni, e più in profondo delle affinità, ammetto di essere poco italiano: la mia identità vera è semmai fiorentina e toscana, e dell’Italia amo molto la natura, i paesaggi, le città, l’arte, la storia, il genere di vita, ma confesso  di non aver alcun affetto per il “paese-Italia”, per l’Italia nazione fallita. Tra i molti paesi esteri che amo (e qui un ruolo speciale spetta soprattutto alla Francia, e in particolare a Parigi che per molti aspetti è ormai al “mia” vera città di residenza), la mia vera e profonda patria è la Spagna, con due sottopatrie che sono Austria e Russia. Insomma, sono sul serio animal continentale, pur subendo il fascino di molti altri popoli e paesi, dal Mediterraneo al mondo musulmano in genere alla Cina e agli Stati Uniti per i quali – contrariamente a quanto amano ripetere alcuni miei calunniatori – ho un affetto profondo. Insomma, homo sum, a me nihil humani alienum puto. Amo il mondo intero, anche se ciò non m’impedisce di stabilire delle gerarchie di preferenza: come qui ho fatto.  
            Ma passiamo all’altro argomento proposto.   Questo è un momento difficile per tutto il mondo, ma in particolare per la società italiana e quindi anche per le sue istituzioni culturali.  Ci sono comunque nel nostro paesi molti giovani dotati d’interessi e di buona preparazione, anche se fra loro troppi stanno ormai guardando con una qualche fiducia a una sistemazione in un paese estero. La società civile italiana, se riuscisse a rinsavire, dovrebbe dedicar maggior attenzione a queste risorse che sta perdendo: cioè dovrebbe impegnarsi a dedicare risorse importanti (non briciole) alla scuola e alla ricerca. Il fatto che siamo in calo demografico – il che è obiettivamente e comunque un male – rende i nostri giovani un bene ancora più prezioso: sperperarlo è criminale.


9.   Lei ha dedicato al tema dei falsi storici alcuni studi. Che peso hanno avuto, nel corso delle sue ricostruzioni storiche, i documenti falsi e comunque non sufficientemente attendibili ?   

             Guardi, i documenti falsi o comunque poco attendibili sono la parte più affascinante e forse anche più importante di tutto il lavoro dello storico. Interpretare correttamente un falso, capire come si radichi una menzogna, è storicamente parlando di gran lunga più risolutivo che leggere bene un documento autentico o interpretare correttamente una realtà.  


10.  Potrei chiederLe quali sono gli argomenti della storia medievale che risultano ancora non sufficientemente esplorati e comunque non con quella profondità che meriterebbero ?  L’Età di Mezzo è capace di riservarci ancora delle sorprese ?  Per esempio: il mistero dei Templari, e soprattutto l’origine delle loro formidabili ricchezze, è stato chiarito una volta per tutte ?  E il legame tra Templari e massoneria ?          

  Sono temi molto studiati e per la maggior parte anche risolti. Forse, quello che si deve fare sul serio è rafforzare e intensificare il ”filo diretto” tra la ricerca storica seria e quella parte dell’opinione pubblica più seriamente interessata a migliorare il proprio livello culturale. Lei accenna a veri o supposti “misteri”: ma posso dirLe che nella storia medievale vi sono aspetti e caratteri - specie nella vita quotidiana, in quella privata, nel rapporto tra  immaginario e cultura materiale, nei ritmi climatici e demografici, negli aspetti quantitativi e in quelli tecnologici –che costituiscono “misteri” e “segreti” ben più affascinanti che non quello dei Templari. A ciò si dedicano le forze di molti giovani ingegnosi ricercatori, la più parte dei quali sono misconosciuti dal grande pubblico e non troveranno mai lavoro non dico nelle università, ma nemmeno nelle scuole italiane. Avrei per esempio decine di nomi di giovani e di giovanissime studiose italiane non ancora adeguatamente affermate e conosciute da segnalare: Isabella Cerrini, Isabella Gagliardi, Chiara Mercuri, Francesca Roversi Monaco, Beatrice Saletti, Renata Salvarani,  Myriam Tessera e tantissime altre i cui nomi rinunzio a elencare ulteriormente perché certamente farei torto a qualcuna dimenticandola. Con il programma televisivo della RAI  IlTempo e la Storia  stiamo cercando di valorizzarne qualcuna, di farle conoscere al grande pubblico. Ma ce ne sarebbero, di ragazze che hanno preferito studiare piuttosto che tentar la fortuna e la fama come “cubista”, come valletta o come “Berlusconi-girl”. E, badi, qualcuna di loro sarebbe stata abbastanza carina e spiritosa da far anche quello, se avesse voluto.    


11.  Che cosa l'ha spinta a riservare gran parte delle Sue ricerche al Medioevo ?

             La consapevolezza che rispetto all’Occidente moderno il cosiddetto medioevo è comunque un “Altrove”; esattamente come il cosiddetto “Oriente”.


12.   Il suo speciale interesse per il mondo islamico è il risultato delle ricerche  -in particolare sulle Crociate-  che ha condotto per lunghi anni,  oppure c’è dell’altro ?   In un’intervistaLei, oltre a ricordare la differenza che corre tra islamista e islamologo (una differenza che spesso viene ignorata), ha precisato alcune cose. Vuole aggiungere qualcosa ?

            C'è stato un lungo momento nella nostra recentissima storia in cui era necessario far chiarezza sull’effettiva sostanza storica, politica e religiosa dell’islam. Tale momento è in parte, ma solo in parte, superato. Qui come altrove, ricerca scientifica e coscienza civica non possono andare disgiunte.


13.   Nella suddetta intervista , Lei ha fatto notare che le categorie di  ‘destra’  e ‘sinistra’, sono ormai superate e generano quasi sempre solo confusione.  Non crede, tuttavia, che qualche differenza  (anche non marginale)  tra i due schieramenti esista ancora ?

            Le categorie di “destra” e “sinistra”, dette appunto storiche”, sono affiorate alla fine del Settecento e restate bene o male in auge fino ai primi del Novecento: ma già nel primo dopoguerra i totalitarismi le avevano messe in crisi. Comunque grosso modo, e  nel pensiero comune, a destra sta la libertà individuale e a sinistra il bisogno-desiderio di giustizia sociale; a destra sta la difesa dei valori dell’Occidente moderno, a sinistra il riconoscimento dei valori “altri”; a destra la difesa di un mondo sostanzialmente da conservare, a sinistra il desiderio di riforme; a destra il rispetto per tradizioni e consuetudini, a sinistra l’istanza a provare la novità; a destra il rispetto delle religioni come fattore di ordine e di conservazione, a sinistra l’interesse per esse in quanto parte del panorama di un’umanità in evoluzione;  a destra il bisogno di mantenere l’ordine costituito, a sinistra la speranza di un ordine nuovo. In tale contesto sintattico-paratattico, io mi situerei a sinistra sul piano dei valori politici e sociali, a destra su quello dei valori morali e religiosi.  Ciò non deve sembrarLe strano: io sono e mi sento senza vergogna e senza paura anche l’erede dei valori espressi dalle esperienze totalitarie. Il totalitarismo non è un fenomeno mostruoso: è un tentativo, condotto in pieno Novecento, di risolvere quei problemi della società di massa rispetto ai quali il liberal-liberismo delle potenze “democratico-parlamentari” e colonialiste avevano fallito. Il welfare state è stato in gran parte un risultato delle esperienze totalitarie, che erano fondate non solo sulla repressione e la propaganda, ma anche sul consenso e la partecipazione delle masse (non sulla loro demobilitazione, tipica semmai di certi regimi autoritari e delle post-democrazie attuali).
            Comunque, a livello personale le categorie di “destra” e di “sinistra” mi erano già antipatiche e le ritenevo errate da quando, adolescente, militavo nel MSI e avevo scelto tale partito proprio in quanto speravo che col tempo si sarebbe sciolto dalle pastoie del revanscismo nostalgico neofascista legato a una modesta riserva elettorale, dalle ambigue simpatie atlantiste e dal visceralismo anticomunista che lo caratterizzavano. L’agitarsi delle istanze neutraliste e terza-forziste già fin dagli Anni Cinquanta – Tito, Nehru, Nasser – giustificava tali speranze: in tale senso si moveva il nostro gruppo fiorentino, che nel 1965 lasciò il MSI dopo aver tentato di cambiarlo dal di dentro (la traccia è registrata nel primo documento pubblicato nel mio libro Scheletri nell’armadio) e che poi tentò l’avventura della  Jeune Europe di Jean Thiriart, durata per noi un po’ meno di un lustro. Tra metà degli Anni Settanta e primi Anni Ottanta una strada sotto certi aspetti analoga fu tentata, con finezza e maturità maggiori della nostra, dal gruppo alla guida del quale c’era Marco Tarchi, in serrata concordia discors con le tesi di Alain de Benoist. Per me, il sodalizio con Tarchi e l’amicizia con De Benoist continuano (quanto alla concordia delle posizioni, debbo dire che essa è viva più con il primo che non con il secondo): ma da allora non ho più accettato di “schierarmi”  politicamente in quanto in alcuna forza politica mi sono mai sufficientemente riconosciuto. Io sono, e mi dico, cattolico, socialista ed europeista: se e quando troverò un movimento politico che mi consentirà di essere serenamente queste tre cose, non esiterò ad aderirvi con entusiasmo adolescenziale. 


14.   Winston Churchill sosteneva che  la democrazia è il peggiore dei regimi, “fatta eccezioni per tutti gli altri che sono stati sperimentati finora”.  Personalmente ritengo che avesse ragione.  Forse però bisognerebbe aggiungere che non esiste un solo modello di democrazia e che certe forme di democrazia possono essere considerate ragionevolmente accettabili anche senza turarsi il naso  (come lo statista britannico suggeriva).  Posso chiederle un’opinione al riguardo ?
            
            La democrazia liberal-parlamentare è un modo fra i tanti per selezionare le élites di governo che tuttavia, dall’Ottocento ad oggi, è purtroppo riuscito a farsi credere l’unico possibile e ha subito una forte evoluzione che l’ha in gran parte svuotato di quel po’ di contenuto positivo che poteva forse vantare. Può darsi che, rispetto al suo tempo e al suo paese, Churchill avesse ragione. Oggi non credo che ciò sia più vero. Temo che, in quanto a selezione di élites professionalmente, oralmente preparate, la Cina e l’Iran –con tutte le limitazioni e le problematiche di quei due casi – stiano dando dei punti agli Stati Uniti d’America e a molti paesi europei.  E temo che, in casi come quello statunitense o anche quello italiano, non si debba nemmeno parlare eufemisticamente di “post-democrazia” o di “degenerazione”. I semi della corruzione e del trionfo dell’incompetenza sull’onestà e sulla competenza – vale a dire i semi della trasformazione della democrazia formale in oligarchia di fatto, fondata sul monopolio della scelta secondo la convenienza delle lobbies, delle quali i politici sono “comitati d’affari” - sono già strutturalmente insiti, anzi connaturati nei sistemi democratici all’inglese (o all’americana) o alla francese che siano, mentre abbiamo dimenticato con eccessiva leggerezza i pregi e i vantaggi dei “sistemi consultivi” come quelli vigenti nell’impero austroungarico e nel secondo Reich germanico, che affiancavano sistemi di governo locale fondati sull’eleggibilità a un severo controllo gerarchico e a una rigorosa selezione qualitativa e professionale per quel che riguardava la scelta del personale centrale di governo, con un “equilibrio misto” tra nomina dall’alto ed elezione dal basso. Ma quei sistemi trovavano il loro collante in un forte senso etico, nel senso del dovere e dello stato, che nelle moderne democrazie occidentali non esiste più; e ciò è aggravato da un diffuso senso, invece, d’impunità. La deriva attuale delle democrazie liberal-parlamentari verso forme di selezione per nomina delle élites di governo basate sulla convenienza degli interessi di lobby appare oggi irreversibile.


15.   In un’intervista a Europeanphoenix  (2012) , Lei ha detto che  “oggi, fare storia deve per forza  essere sinonimo  di fare scandalo.  Il conformismo è, da sempre,   nemico della verità e dell’impegno civico.  La verità storica non è un dato assoluto né incontrovertibile: essa dipende sempre comunque dalla ricerca, dal progresso tecnico e metodologico della ricerca, dalla  libertà della ricerca. Una componente necessaria di tale libertà di ricerca è la verifica, la revisione, quando è necessario la ritrattazione. Uno  storico serio, oggi, deve rivendicare con  fierezza il diritto di rimettersi in causa se ritiene di avere sbagliato e di cambiar idea tutte le volte  che ciò   sia reso necessario dall’evidenza dei risultati delle  ricerche.  È necessario essere revisionisti in tutto e per tutto, a trecentosessanta gradi. Per parafrasare il grande Shakespeare, se c’è qualcuno che vuol vivere di rendita e aver sempre ragione nascondendo la sua ignoranza e la sua malafede dietro la pretesa che le sue menzogne vengano difese da leggi assurde, che si faccia avanti e ‘che parli: perché è lui che noi sfidiamo.”   È un’affermazione di enorme importanza, che però potrebbe non essere in linea con il mainstream dominante, su temi che non ammettono obiezioni.   I revisionisti dell’Olocausto, i negazionisti, quanti affermano che i prigionieri venivano trasportati nei lager con normali convogli ferroviari per passeggeri, che nei campi i suddetti prigionieri erano trattati con rispetto, che avevano a disposizione anche le piscine, che le camere a gas non sono mai esistite, dicono di essere proprio alla ricerca della verità su un tema, quello appunto della Shoah, su cui, invece, dovrebbe esistere un consenso unanime. D’altra parte, cercare di capire come sia stato possibile che sei milioni di ebrei (e non solo) siano stati massacrati nelle camere a gas  e che i forni crematori dei lager potevano 'trattare' decine di migliaia di cadaveri al giorno  (per di più con un consumo di coke quasi ridicolo)  -credendo ad esempio alle dichiarazioni del comandante di Auschwitz, Rudolf Hoess-  non significa certo negare l’Olocausto, difendere a spada tratta D. Cole, R. Faurisson, D. Irving, C. Mattogno, o mancare di simpatia e di solidarietà nei confronti di Israele, un Paese che lotta ogni giorno per la sua stessa sopravvivenza.  Potrei chiederle se la sua presa di posizione contro il reato di negazionismo nasce anche da quelle che possono definirsi  ‘aporie logiche’  sulla Shoah, come quella secondo cui i cadaveri delle vittime  (assassinate con un gas micidiale anche per semplice contatto con la pelle, come lo Zyklon B) venivano estratti  -dopo neanche un’ora dalla gasazione-  da inservienti che entravano nei locali non solo senza maschera e privi di guanti, ma addirittura  fumando ?  

            Tutto quel che Lei ha osservato conduce a una sola conclusione: la storia è revisione continua di quanto è stato affermato e comprovato precedentemente, e che va soggetto ciò nonostante a continue verifiche. Chiunque con qualunque pretesto cerchi d’impedire questo sacrosanto lavoro critico è un nemico della libertà di coscienza, della quale la libertà di ricerca scientifica fa parte. Contro le menzogne affermate come verità scientifiche, esiste la forza delle ricerche corrette; contro i crimini travestiti da ricerca storica, le leggi correnti bastano senza bisogno di limiti o di sanzioni ulteriori.  Chiunque affermi qualunque cosa, e abbia strumenti idonei a comprovarla, è benvenuto nel mondo della cultura e deve esserlo nella società, alla quale apporta un contributo indispensabile di verità, di chiarezza e di  coraggio. E, soprattutto, deve essere chiaro che la verità storica (che Non coincide per nulla con la verità obiettiva, la quale a sua volta è purtroppo per noi inconoscibile) non può e non deve essere fissata per legge: ciò è giuridicamente assurdo e moralmente infame.    


16.  In Russia alcuni dei più blasonati storici nazionali hanno preparato la bozza           del manuale di Storia unico che dovrebbe essere adottato da tutte le scuole del Paese fin dal prossimo a.s.  (2014-15).  La bozza, a quanto pare, è stata presentata nelle settimane scorse  al committente, Putin, che ha ordinato di scrivere il manuale.  È una notizia di cui i media italiani stanno parlando molto poco, contrariamente a quanto hanno fatto qualche anno fa, quando qualcuno aveva proposto una Commissione parlamentare per verificare la ‘propensione comunista’ dei manuali scolastici.  
Anche se la domanda è retorica, vorrei chiederle che cosa pensa di una simile decisione   (la Storia scritta su ordine dell'autocrate di turno).

            I tentativi di stabilire una “verità storica” politically correct non sono purtroppo appannaggio unico dei regimi totalitari o autoritari. La tentazione è forte anche nelle cosiddette democrazie liberali, con minor sistematicità ma con l’aggravante di una giustificazione che si vuole non politica bensì etica. Le democrazie non si accontentano di esser solo bugiarde; pretendono anche di volersi credibilmente presentare come virtuose.


17.  A gennaio del prossimo anno è prevista l’uscita, per i tipi della Mondadori, di un Suo libro sulla guerra italo-turca  (La scintilla, in collaborazione con S. Valzania), l’evento che ha fatto scattare, pochissimi anni dopo,  il primo conflitto mondiale.  In sostanza, se ho capito bene dalle anticipazioni sul volume  (anticipazioni che accompagno con mie osservazioni che forse non trovano conferma nell’opera),  Lei sostiene la tesi (se posso permettermi, pienamente condivisibile)  che le responsabilità dell’Italia, nello scatenamento della Grande Guerra, siano enormi, perché il conflitto con la Turchia ha indebolito quest’ultima e ha spinto alcuni paesi balcanici ad attaccarla, togliendole dei territori  (prima guerra balcanica).
Al momento di spartirsi il bottino, però, i vincitori litigarono, ‘l’un contro l’altro armato’.  Da questa seconda guerra balcanica, uscì vincitrice la Serbia, che raddoppiò quasi il suo territorio.  Per questo Paese si trattava di una tappa di eccezionale significato, nel progetto che stava portando avanti da anni: e cioè quello di ricostruire il Regno della Grande Serbia, che aveva dominato nei Balcani per parte del Medioevo, fino alla battaglia della Piana dei Merli del 1389, quando si scontrò con le armate turche.
Gli Austriaci  -che da anni avevano i loro problemi con la propaganda panslavista
di Belgrado, con le sue mire espansionistiche e i suoi attentati terroristici compiuti attraverso la  ‘Mano nera’  ("Crna Ruka")-  non potevano certo tollerare che quel vicino, già pericoloso prima delle guerre balcaniche, lo diventasse ancora di più a seguito delle vittorie sui turchi e su alcuni degli ex alleati. Di qui la decisione di Vienna di farla finita una volta per tutte con Belgrado, in un conflitto che si riteneva circoscrivibile in ambito locale  (sbagliando clamorosamente i calcoli, perché si sapeva che i russi sarebbero intervenuti per aiutare i serbi.  Forse si credeva che Nicola II avrebbe nuovamente fatto dietro front, come era avvenuto quando la Bosnia-Erzegovina era stata annessa all’Impero Austro-Ungarico).
Una prima domanda: che cosa l’ha spinta a scrivere quest’opera ?  La volontà di fornire un contributo al centenario della prima guerra mondiale, evidenziando in modo
deciso un aspetto che in genere viene poco considerato dagli storici italiani, e cioè, appunto, quello della responsabilità dell’Italia nello scatenamento del conflitto ?   E inoltre, è riuscito a trovare ulteriore documentazione in grado di far luce finalmente in modo inequivocabile sui mandanti del duplice assassinio, su chi, realmente, abbia deciso la fine di Francesco Ferdinando  (e della moglie)  e le eventuali complicità nel piano ? 

            La preparazione della “Guerra dei Trent’Anni” 1914-1945 è stata lunga, complessa, ha coinvolto tutte le gran di potenze europee – Austria-Ungheria, Francia, Germania, Inghilterra, Russia – e si è solo in parte conclusa con l’uscita dell’Europa dal nòvero delle grandi potenze, sostituita prima dagli Stati Uniti d’America poi dalle nuove potenze emergenti (non solo Cina, Brasile, India, ma anche Giappone, Russia, Iran). Il XXI secolo ci dirà come e in quali modi la tragedia aperta nel 1914 si concluderà per lasciare spazio a un nuovo equilibrio. Non è escluso che, con riferimento al 1914 e guardando a quel che accade nel Vicino Oriente, in Asia e in America Latina, sia lecito parlare di una “Guerra dei Cent’Anni”.  Dal momento che le radici di questo lungo conflitto ci conducono a quattro fatti fondamentali (la contesa anglo-russa per l’Asia centrale, cioè il Great Game, più volte ripresa magari con la sostituzione quasi totale degli Stati Uniti all’Inghilterra e con quella parziale della Cina alla Russia; il problema  vicino-orientale, avviatosi con lo smembramento dell’impero ottomano e complicatosi a causa dell’intreccio tra questione arabo-ebraica e fitna sunnito-sciita; la questione petrolifera e geopolitica, interagente con le altre due e ad entrambe strettamente collegata; il dominio sui mari, a cui nel tempo si è aggiunto quello sugli spazi extraterrestri), direi che il suicidio europeo e il caos mondiali sono stati preparati con cura in alcune cancellerie – soprattutto in quelle di Parigi, di Londra, di Mosca e di Berlino – tra Anni Cinquanta e Anni settanta del XIX secolo, con vari tentativi d’inversione di rotta ma con il disastro del’14 cui si è aggiunto poi, nel 1918, lo scellerato contributo della diplomazia statunitense. Sull’assassinio di Francesco Ferdinando brancoleremo eternamente nel buio sul piano analitico e a livello di prove, come su quello di John Fitzgerald Kennedy e sulla tragedia dell’11 settembre 2001, anche perché in tutti questi casi la documentazione è stata immediatamente inquinata, falsata, dispersa, distrutta; ma su quello sintetico e a livello d’indizi la responsabilità delle cancellerie parigina e moscovita nel primo caso, della CIA e di quello che Eisenhower denunziava come il “blocco industriale-militare” che minacciava il suo paese, negli altri due, mi pare accertata (sull’11 settembre sono d’accordo con l’analisi in Italia condotta e sostenuta da Giulietto Chiesa).   


18.  In un libro di qualche anno fa, Lei sostiene che le incomprensioni attuali tra l’Europa e l’Islam dipendono da un malinteso, perché le due parti, nel corso dei secoli, non solo hanno fatto buoni affari, ma sono andate abbastanza d’accordo  (malgrado le crociate, i pirati barbareschi, Lepanto, l’assedio di Vienna e altro ancora ), per cui, viene da concludere, non si vede per quale motivo questa collaborazione non possa continuare.  Ora, senza nulla togliere ai primati del mondo musulmano, e al contributo straordinario che gli intellettuali di fede maomettana hanno fornito alla cultura di ogni tempo, non crede che esista quantomeno un elemento che ancora oggi rappresenta, se non un ostacolo, comunque un  ‘impaccio’  per l’instaurazione di rapporti veramente sereni e proficui tra i due mondi ?  Mi riferisco, evidentemente, alla questione dei regimi che sono prevalenti in quei paesi, regimi che non possono definirsi democratici.  È davvero inevitabile che le aree a netta prevalenza islamica non possano avere istituzioni democratiche ?  Naturalmente, sul concetto di democrazia ci sarebbe da discutere a lungo  (v. ad esempio, sopra, la citazione di Churchill), ma mi sembra che, in estrema sintesi, un regime possa definirsi democratico se presenta almeno tali caratteristiche: rispetto dei diritti umani e civili; divisione dei poteri  (secondo l’aureo principio di Montesquieu);  libertà di espressione, di religione, di movimento, di studio, di ricerca, di associazione (soprattutto religiosa, politica e sindacale), di voto, di impresa (di mercato). Ora, è vero che in Italia, a volte, si fa una certa confusione sulla divisione dei poteri  (negli Stati Uniti, ad esempio, un parlamentare non può, contemporaneamente, sedere sui banchi del governo, contrariamente a quanto avviene da noi, con buona pace del conflitto d’interessi);  è vero che, come ha ricordato di recente Pietro Ichino , le nostre leggi a volte non sono comprensibili neanche agli addetti ai lavori, creando così un pesante vulnus al sistema democratico;  ma in sostanza mi sembra che, per il resto, non siamo poi gli ultimi della classe. Con un pizzico di polemica, vorrei osservare che da noi, per fortuna, esiste ancora l’imbarazzo della scelta, quanto a manuali scolastici di Storia.     Posso chiedere il Suo parere al riguardo ?

            Non so se noi italiani siamo “gli ultimi della classe”, né ho capito di quale “classe” si tratti: certo è che, se la democrazia parlamentare è nella sostanza quello che Lei ha delineato (e, nella teoria, lo è), la sua astrattezza e la sua infondatezza risultano - proprio grazie alla Sua analisi - abissali. Rispetto dei diritti umani e civili: quali, quelli elaborati all’interno della società occidentale e pensati proprio e solo per essa? È
Thomas Jefferson
pensabile che “tengano”, in tempi di globalizzazione? Rispettavano a loro volta le culture altrui, quelle dei paesi a suo tempo colonizzati o subordinati e ormai entrati nel cerchio delle potenze internazionali? Libertà di tante belle cose: d’accordo, ma le “libertà di” sono già roba da ricchi, da privilegiati. Dove mettiamo la libertà da (dalla fame, dal bisogno, dalla paura, dall’ingiustizia, dallo sfruttamento, dall’ignoranza), che pur avrebbero dovuto far parte di quel “diritto alla ricerca delle felicità”  che in fondo è la vera sostanza del generoso sogno di  Thomas Jefferson? 
Divisione dei poteri: che ne è dell’aureo principio di Montesquieu in tempi di strapotere delle lobbies multinazionali e di primato dell’economia rispetto alla politica e della finanza rispetto all’economia?
Argomento finale, a proposito del Suo encomiabile ottimismo: da noi esiste l’imbarazzo della scelta quanto ai manuali di storia, rispetto alla Russia, solo perché da noi la storia nella società civile conta molto meno che in Russia.


19.  Potrei chiederLe per quale motivo in Italia gran parte della destra non riesce              ad essere particolarmente credibile ?

            Perché si è dimostrata poco seria e disposta a lasciarsi comprare, quindi corrotta: caso emblematico la parabola del partito di Gianfranco Fini dal convegno di Fiuggi, alla fusione con quelli di Berlusconi, alla dissoluzione finale. Una parte politica così non merita alcun rispetto e alcun credito: che ci sia al suo interno qualche persona presentabile o addirittura di qualità che per questo o quel motivo non si è tirata indietro è vero, ma si tratta di eccezioni che confermano la regola.


20.  Lei si è levato contro l’ipotesi di una legge che rendeva reato la negazione dell’Olocausto, ipotesi che peraltro non si è realizzata.  Può ricordare i motivi principali che l'hanno indotta a questa posizione ?

            Semplice: perché, come ho detto, un evento storico non si ricostruisce mai definitivamente, con certezza, una volta per tutte, e su di esso la discussione va sempre lasciata aperta; e perché la verità storica non si può imporre con una legge.


21.  In più occasioni Lei ha sottolineato lo stato di sbandamento in cui, oggi, si trovano molti giovani.  Privi di punti di riferimento, danno l'impressione di aver perso anche i sogni e le speranze.  Se posso permettermi, sono pienamente d’accordo con Lei.  Tuttavia, non crede che questa situazione dipenda anche  -e forse soprattutto-  oltre che, ovviamente, dalla crisi della famiglia, dalla mancanza di una vera leadership a livello politico e istituzionale  (a parte Napolitano), che sia in grado di fornire buoni esempi, di correttezza, di onestà, di ordine, di solidarietà, di pulizia morale, di semplice buonsenso, sia a livello locale che nazionale ?  La perdita di credibilità di troppi politici, in particolare, spinge molti  (anche non più giovani)  a non rispettare le regole, a vivere alla giornata, in modo sgangherato, anarchico. I giovani  (e per  la verità non solo loro)  hanno bisogno di modelli a cui ispirarsi e che comunque li rassicurino: se non li trovano, è inevitabile che non pochi di loro poi si trasformino in zombie, con il corpo devastato dal piercing e dai tatuaggi;  che vadano a scuola solo per dar fastidio ai docenti e ai compagni o addirittura per distruggere i locali e rubare quanto trovano;  che cerchino rifugio in sostanze più o meno micidiali.  Altri si convertano ai falsi idoli della musica demenziale, dei social network e agli status symbol  elettronici, che usano in modo spesso improprio e per i quali spendono tutti i soldi che riescono  a strappare a parenti ed amici  (perché di lavorare, ovviamente, non se ne parla).                                                                                                                
Papa Francesco
              Quanto Lei dice riconduce a un problema verificabile attraverso una fenomenologia infinita: siamo una società civile che ha smarrito qualunque senso etico, qualunque principio innegoziabile sul quale fondarsi; un paese che per generazioni si è ubriacato della fiaba malvagia dei “diritti individuali” a senso unico, interpretabili nel senso della liceità dell’arbitrio. Un paese così, può solo sperare in una tragedia storico-politica che gli consenta di ripartire da zero: ma affinché ciò avvenisse vi sarebbe bisogno di almeno una condizione: la sovranità. Ora, l’Italia non è un paese sovrano: essa ospita al suo interno oltre cento basi militari extraterritoriali controllate da una potenza straniera, per giunta oggi a sua volta in crisi. Quindi, il paese deve trovare da solo, al suo interno, le forze morali per una rivoluzione pacifica: per un 
cambiamento radicale intimo del tipo che, in greco, è espresso dal termine metànoia. 
Credo che papa Bergoglio pensi a una “riconquista cristiana della società” in questo senso. Gli faccio i miei auguri.  


22.  Potrei chiederLe che cosa pensa della proposta della scrittrice  (e docente)  Paola Mastrocola di rivedere la normativa sull’obbligo scolastico, lasciando ai ragazzi la libertà di scegliere, dopo, diciamo i quattordici-quindici anni ?  Ha ancora senso, secondo lei, l’obbligo scolastico in contesti in cui i docenti sono continuamente insultati e talvolta aggrediti da ‘allievi’ che somigliano sempre di più a delinquenti ?  che distruggono quel poco che è rimasto dei locali scolastici ?  che vanno a scuola per fumare  (e certo non semplici sigarette)  e per impedire ogni forma di attività didattica ?   Non crede che si debba prendere atto, una volta per tutte, della circostanza che il buonismo, il giustificazionismo, la tolleranza a senso unico, il rispetto assoluto per la diversità, abbiano fatto il loro tempo e che troppe scuole, ormai, siano diventate luoghi di violenza, di corruzione e di sprechi di denaro pubblico, per cui debbano essere con urgenza bonificati ?   Non ritiene che, fatto salvo un periodo di sette-otto anni di istruzione obbligatoria gratuita  -ma con regole disciplinari severissime-  la scuola debba essere riservata soltanto a quei soggetti che dimostrano di appartenere realmente alla società civile, non al mondo animale  (anche perché, in questo modo, i virtuosi e chi si impegna possano finalmente ricevere l’attenzione che meritano) ?

 San Tommaso d'Aquino
            I mali che Lei enumera cominciano già a prodursi, sul modello statunitense, con protagonisti dei baby-teppistelli ben inferiori ai quattordici anni. Il male è profondo, comincia già dalla famiglia o dall’assenza di essa. Scuole e famiglie debbono cominciare con il riqualificarsi reintroducendo il principio della repressione e della punizione come pratica educativa legittima e necessaria, beninteso entro limiti rigorosamente controllati. In una società nella quale l’agir male sia diffuso, la costrizione ad agir bene è inevitabile: l’autoeducazione è un fatto rigorosamente elitario. Il resto, poi, verrebbe lentamente da sé: come dice san Tommaso d’Aquino, la virtù è un’abitudine. Ma per inculcare un’abitudine la repressione è tanto necessaria quanto le persuasione. Vi sono nel paese energie disponibili a ciò? La mia personale risposta è no. Allora, non resta che attendere che il disordine e la destrutturazione sociale giungano a un livello tale da produrre “naturalmente”, nel e dal seno della  società malata, degli anticorpi. Ma la storia dimostra che ciò è difficile, pericoloso, doloroso. Pensi alla Francia dell’’89, alla Russia del ’17, alla Germania del ’33.


23.  Lei è uno dei pochissimi storici italiani  (se non addirittura il solo)  ad avere un sito, che gestisce personalmente.  Potrei chiederLe che cosa l’ha spinta ad una scelta del genere, che la rende ancora più unico nel mondo accademico italiano  (quantomeno degli storici)  ?

            La buona volontà di un mio amico ed allievo, che si è volontariamente  – non richiesto, ma benissimo accetto – messo a mia disposizione.


24.  Potrei chiederLe un commento sulla vicenda relativa alla sepoltura di Priebke ?  E inoltre: tenuto conto che questo personaggio non sarebbe diventato così tragicamente famoso se non ci fosse stata Via Rasella, ritiene che l’azione partigiana effettuata quel giorno sia risultata di qualche utilità sotto il profilo della lotta contro i nazisti, oppure che si sia trattato di un errore, di un terribile errore compiuto da uomini che certamente lottavano per la libertà del Paese, ma che, pur conoscendo bene le reazioni dei tedeschi agli attentati, hanno deciso comunque di provocarli ?

            L’azione di Via Rasella entrava nella logica strategica della guerra di guerriglia: compiere azioni feroci che obblighino il nemico a rappresaglie tali da indurre la società civile che ne è vittima a indirizzare contro di lui il suo odio e il suo disprezzo e ad obbligarla a scendere con certezza in campo (dato che altrimenti non lo farebbe) al fianco dei terroristi. Azioni del genere, alla luce della morale cristiana, sono condannabili: alla luce di una visione della politica come valore autonomo e autogiustificantesi (“il fine giustifica i mezzi”) sono una scelta tattico-strategica non sicura, ma certo dotate di presumibilmente buona efficacia. Nel caso della condanna di Priebke, la lunga egemonia dei fautori di quel tipo di scelta alla luce del marx-leninismo, che già aveva per lunghi anni anestetizzato il senso morale della società civile italiana, si è incontrata con la volontà, da parte di alcuni gruppi che in buona o in malafede ritengono di appoggiare in tal modo la causa sionista, di far scomparire il delitto di Via Rasella per obbligare a un “dovere della memoria”  che tiene presente solo quello delle Fosse Ardeatine. La deprecabile manifestazione d’intolleranza e di fanatismo verificatasi in occasione dei funerali del capitano di polizia (e NON delle SS) Priebke si è avuta principalmente in quanto alcuni appartenenti a quei gruppi che intendono sfruttare ogni occasione per premere sull’opinione pubblica al fine ultimo non già di ricordare la Shoah, bensì d’intimidire direttamente o indirettamente chi nutra dubbi sulla bontà della politica dell’attuale governo israeliano, hanno imposto alla TV pubblica e a quelle private di trasformare la notizia del decesso del Priebke in un ennesimo processo alla sua memoria: da qui lo scoppio della spirale delle violenze, sviluppatasi esattamente com’era prevedibile. Un silenzio-stampa (o un annunzio il più sommesso e laconico possibile) sarebbe forse bastato a risparmiarci l’umiliazione di quest’ulteriore prova dell’imbarbarimento della nostra società civile.
      

25.  Lei ha detto che, pur ammirando Renzi, si considera più vicino a Vendola, da cui comunque la separano alcune idee, in particolare sul piano religioso. Di Renzi, che stima, osserva che potrebbe nuocergli l’impazienza di cui spesso dà prova.  Con tutto il rispetto per l’aspirante segretario del PD, Professore, non crede che un sindaco dovrebbe stare molto di più di quanto non faccia Renzi nella città che è stato chiamato ad amministrare ?   E non crede che sarebbe quantomeno deplorevole se, una volta eletto segretario del PD, Renzi continuasse a fare il sindaco ?  Come si fanno a conciliare due incarichi così importanti ?  Il PD non è un circolo di bocciofili e Firenze non è certo un paesino della Lucania.

            Credo sia improprio affermare che io “ammiri” Renzi: è un amico, nonostante la differenza di età, e gli voglio molto bene, ma purtroppo posso fare poco per lui e del resto lui non ha bisogno di me. Renzi non perde occasione per affermare le sue posizioni atlantistiche, occidentalistiche e liberiste; la cerchia dei suoi collaboratori, alcuni dei quali conosco e con alcuni dei quali ho rapporti di amicizia, è piena di buone persone devote che stravedono per lui ma che non sono né granché preparate, né granché capaci e di furbastri che sperano di salirgli in groppa per far carriera.  Renzi ha fatto bene, per un certo numero di anni, il presidente della provincia di Firenze; è giovane, attivo, energico, volitivo, intelligente, ambizioso (il che in politica è una virtù, almeno entro certi limiti); forse dovrebbe studiare un po’ di più ed essere più prudente nei giudizi che formula e nelle promesse che  fa. Ma i suoi consiglieri lo rafforzano nella sua convinzione – probabilmente giusta – che questo è il “suo” momento e che un’occasione così non gli si presenterà più. Certo, se avesse avuto il tempo di dimostrare di saper far bene il sindaco di Firenze la sua posizione sarebbe molto più forte e la sua coscienza più pulita di quanto entrambe non siano: ma la fortuna non aiuta mai del tutto nemmeno i fortunati (ed egli lo è). Ora è in ballo e deve ballare: se non diventa segretario del PD lo smacco gli costerà carissimo; se lo diventa, deve far in modo di far “saltare il banco” (cioè il partito stesso) senza prendersene tutte le responsabilità dirette: ma è quello che vuole e che politicamente parlando deve fare. Renzi vuole – e, politicamente parlando, deve – distruggere il PD obbligandolo ad arroccarlo su quelle posizioni di sinistra che oggi non pagano; deve tenersi l’appoggio (e i voti) dei moderati del Pd, accaparrarsi il numero più ampio possibile dei moderati dell’ex PdL (non scalfirà “Forza Italia” ma probabilmente intaccherà pesantemente il centrodestra) e con quelle forze moderate, un po’ di centrodestra e un po’ di centrosinistra, ricostruire un centro: una nuova DC. Questo sarà il nerbo della forza di governo che egli, se ha fortuna e sa muoversi con abilità, guiderà come leader entro qualche mese. Spero che in quella veste faccia qualcosa per la scuola e per la cultura e non si appiattisca sulle miserabili posizioni di politica estera che l’Italia ha seguito nell’ultimo quarto di secolo. Spero che riesca a liberarci del porcellum. Spero che sappia prendere qualche decisione d’urgenza sulle carceri, sul problema dell’inquinamento (alludo a casi come quello del casertano), sui profughi, sulla sanità, sullo scandalo delle maxi-retribuzioni pubbliche  ad “esperti” e manager che non sono né l’una cosa né l’altra.  Sono purtroppo quasi sicuro che non vorrà né potrà invertire la rotta sullo smantellamento del welfare state, sul progresso delle sciagurate “grandi opere” (TAV, “ponte sullo stretto” ecc.), sulla via delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni selvagge (inclusa la vendita di alcuni “gioielli di famiglia” del popolo italiano che andranno a ingrassare case private di italiani e no, “soliti ignoti” o “soliti noti” che siano).  



 Giorgio Spini e Carlo Azeglio Ciampi
26.  C’è logica nella Storia ?  La domanda, forse, è meno paradossale di quanto possa sembrare a prima vista, se si pensa alle parole che Giorgio Spini scrisse in apertura di un capitolo della sua  Storia dell’età moderna, quando, esaminando in una prospettiva particolare i protagonisti della Guerra dei Trent’Anni, ed evidenziando la psicologia  (e i disturbi nervosi)  di questi soggetti, si chiese se quello che avevano fatto era davvero il frutto di un disegno ben costruito, oppure soltanto la conseguenza delle loro turbe psichiche.

            La storia non ha alcuna logica, non detiene alcuna ragione e non segue alcun disegno. Ciò, almeno, sul piano immanente. Che abbia una logica, una ragione e un disegno, quindi anche un fine, sul piano trascendente, come cattolico ne sono convinto anche se come studioso non posso dimostrarlo. Ma si tratta di un piano inconoscibile, che si può indagare solo induttivamente-deduttivamente con gli strumenti della teologia della storia, dei quali sono sprovvisto. Gli storici che scrivono pretendendo di dimostrare che la storia ha, appunto, una logica, una ragione e un fine, non fanno storia: scrivono solo delle “profezie post eventum”. Se sanno di farlo, sono dei disonesti; se non se ne accorgono neppure, sono degli imbecilli. 


27.  Malgrado la sua proverbiale modestia, su di lei si sono già discusse delle tesi di laurea  (v. ad esempio Alice Falci, La campagna di un outsider: Franco Cardini e le elezioni comunali di Firenze 2004 - Relatore: Marco Tarchi - Corso di laurea: Scienze politiche - Anno di laurea: 2005  -  Collocazione: SPTL2005000000178, depositata presso la Biblioteca di Scienze Sociali) .  Vuole ricordarne altre ?

            Io non sono affatto proverbialmente modesto (ci mancherebbe!), mentre sono con certezza tre cose: sul piano economico-finanziario, pessimo amministratore di me stesso; su quello mediatico, pessimo agente pubblicitario di me stesso (quando mi si presenta una qualche occasione mi rifiuto categoricamente di farmi  avanti perché penso che tutto mi sia naturalmente dovuto e che se qualcuno si dimentica di me tanto peggio per lui); su quello storico, pessimo autobiografo e autobibliografo di me stesso. Non sapevo nemmeno della tesi della dottoressa Falci, che ringrazio per la sua attenzione, e se il relatore di essa, mio grande amico, non ha ritenuto di dovermene informare ciò significa che è bene che io continui a restarne ignaro. Di altri lavori tesi a occuparsi di me non ho notizia: poiché la follia umana è illimitata, non mi stupirei ove ce ne fossero.


28.  Posso chiederle che cosa pensa dell’idea di trasferire la parte amministrativa di Roma in una città satellite, costruita dal nulla e ben collegata all’Urbe, in modo da restituire alla capitale un minimo di agibilità e di decoro ?

 Modellino dell' EUR  (E42)
            Lei può chiederlo, ma io non posso risponderLe: dovrei essere urbanista e conoscere bene il piano di decentramento per risponderLe con un minimo di plausibilità. Esperienze fatte altrove, nel caso di altri capitali, hanno dimostrato: 1. di essere sempre e comunque fonti di speculazioni, di errori, di polemiche, di disfunzioni e di contenzioso infiniti; 2. di non poter comunque sfuggire alla norma secondo la quale una grande capitale storica deve pur sempre mantenere il minimo e l’essenziale dei suoi spazi, delle sue funzioni e della sua “dignità” di rappresentanza. Ciò premesso, nel caso di Roma tale necessità si era già presentata negli Anni Trenta; e il regime fascista rispose con il piano EUR 42, che nonostante i suoi circa ottant’anni mantiene ancora oggi intatti o quasi funzionalità e decoro. Muoversi con cautela in quel senso potrebb’essere concretamente fattibile. 

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Vorrei chiudere questa intervista con un elenco di video (ancora incompleto) relativi a Cardini, con particolare riguardo ad alcune sue lezioni magistrali.