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mercoledì 31 dicembre 2014

I cinque lavori più richiesti del 2015.

Il nuovo anno si prospetta ricco di novità per chi è a caccia del lavoro giusto. In particolare i neo laureati hanno un lungo elenco di nuove professioni su cui poter orientare con efficacia le proprie scelte sul futuro. Le indicazioni su quelle che converrà selezionare arrivano dagli Stati Uniti. Qui la società californiana di ricerca del personale, Korn Ferry, ha stilato la classifica delle professioni che saranno più ricercate nel 2015. Lo studio è stato effettuato basandosi sulle ricerche fatte nei mesi di ottobre e novembre dai propri consulenti senior. L’analisi è stata condotta a livello globale e offre quindi indicazioni e spunti sul mercato del lavoro internazionale.  

L’analisi di Korn Ferry non si è limitata al rilevare le singole figure che saranno più cercate nel nuovo anno ma ha anche messo sotto la lente i settori in cui ci saranno più opportunità. Quasi tutti appartengono al mondo di Internet con i settori dei new media e dei social media nelle prime posizioni. Il trend di crescita tra gli esperti di nuove tecnologie proseguirà dunque a gran ritmo anche nel corso dei prossimi mesi. Molto richiesti saranno anche gli esperti di sicurezza informatica, sull’onda dei numerosi attacchi informatici alle più importanti strutture web come, per fare un’esempio di questi giorni, l’attacco informatico contro i sistemi della Sony prima dell’uscita del film “The Interview”.  

Al primo posto dei settori più gettonati si piazza ancora la old economy con il comparto farmaceutico, insieme a quello più trasversale del risk management. 
Considerando tutti i settori industriali, i cinque profili più selezionati nel 2015, secondo Korn Ferry, saranno quindi: chief commercial (revenue) officer, chief innovation officer, chief digital officer, chief cyber security officer e chief sustainability officer. “Queste posizioni saranno molto richieste perché rappresentano i quattro trend di business che stanno guidando il mercato: la necessità di aumentare i ricavi; una sempre maggiore attenzione e controllo nelle questioni che riguardano privacy e sicurezza soprattutto informatica; la necessità di creare un rapporto più forte con i propri clienti. Inoltre i grandi movimenti in termini di m&a registrati nell’ultimo anno nel farmaceutico rendono questo settore fra i più interessanti per l’innesto di nuove figure apicali”, ha chiarito Maurizia Villa, managing director di Korn Ferry Italia. 

Ecco i cinque lavori più richiesti del 2015, "La Stampa", 31.12.14. 

"The interview" rivoluziona la macchina di distribuzione.

Per The Interview è stato un weekend da leoni. Soprattutto online. Nei primi tre giorni di distribuzione americana, la controversa commedia che racconta il tentativo di assassinare il leader della Corea del Nord Kim Jong-un ha raccolto 3 milioni di dollari in sala e 15 milioni su Internet. Un exploit digitale che, secondo diversi commentatori, potrebbe spingere gli studios cinematografici a modificare la politica di distribuzione dei loro nuovi film.  

Il lancio di The Interview è stato eccezionale, per diverse ragioni: dalle polemiche che lo hanno preceduto, tra attacchi di hacker e tensioni politiche internazionali, alle modalità in cui la Sony Pictures ha deciso di effettuarlo. Il film è stato infatti distribuito il giorno di Natale, contemporaneamente nei cinema e online. Un caso più unico che raro per le produzioni di Hollywood, dove vige ancora il sistema a finestre (prima in sala, poi su dvd, infine in tv e su Web).  

In sala si è però partiti con l’handicap: il film è stato distribuito in poco più di trecento copie, il dieci per cento di quelle previste prima che scoppiasse il finimondo mediatico. Quasi tutte le grandi catene multiplex si sono tirate indietro e a proiettarlo sono stati soprattutto piccoli schermi indipendenti. Così si spiega il risultato abbastanza striminzito – 3 milioni di dollari – nonostante il film abbia fatto registrare il sold out quasi ovunque (le stime per una distribuzione “normale” erano di circa 20 milioni di dollari).  

Online è avvenuto l’esatto contrario. Ricevuta una risposta negativa da parte di iTunes, a cui – secondo il New York Times – Sony Pictures aveva offerto l’esclusiva, lo studio ha deciso di distribuire il film su diverse grandi piattaforme come YouTube, Google Play Movies e il network della Xbox, oltre che su un sito proprietario. Nei primi tre giorni di disponibilità – da giovedì 25 a sabato 27 – il film ha raccolto su Internet 15 milioni di dollari. Secondo la casa di produzione,The Interview è stato visto in streaming o scaricato negli Stati Uniti e in Canada oltre due milioni di volte, diventando il maggior successo online nella storia dello studio.  

A ciò si aggiunge la dimensione parallela di BitTorrent. Le stime dei download sul principale network P2P parlano di 200,000 copie pirata scaricate nelle prime dieci ore dopo la distribuzione online, 750,000 nelle venti ore e 1,5 milioni nei due giorni. Secondo il sito specializzato TorrentFreak si tratta di numeri interessanti, in linea con quelli generati da un blockbuster medio su BitTorrent, ma niente di particolarmente straordinario. In molti si sono precipitati a scaricare il film per curiosità dopo tutte le polemiche dei giorni scorsi, ma non sembra essersi innescato un meccanismo particolarmente forte di passaparola.  

Lo stesso profitto complessivo registrato da The Interview nel weekend, 18 milioni di dollari, è buono ma ben lontano dai valori top. Tanto per fare un paragone, in un’annata piuttosto fiacca come il 2014, un film come Guardians of the Galaxy ha comunque raccolto oltre 332 milioni di dollari solo nei cinema degli Stati Uniti. The Interview ha insomma ancora un lungo cammino davanti prima di rientrare almeno del budget speso per la sua realizzazione (stimato intorno ai 44 milioni di dollari). 

Più che per i guadagni complessivi, il film sta diventando un interessante caso di studio per commentatori, addetti ai lavori e analisti di Hollywood. La simultanea distribuzione online ha accelerato diversi processi, compresi quelli sui social network (domenica i due protagonisti James Franco e Seth Rogen e il co-regista Evan Goldberg, hanno guardato e commentato il film in diretta su Internet, in formato livetweeting . Dopo le iniziali titubanze, dal 28 dicembre anche Apple lo ha reso disponibile sugli scaffali virtuali di iTunes: una mossa che probabilmente contribuirà ad aumentare la distanza tra il fatturato online e quello in sala.  

L’esperimento di lancio contemporaneo di The Interview tra sala e web, del tutto imprevisto, ne precede un altro che invece è già fissato da tempo. Il 28 agosto 2015 il servizio streaming Netflix lancerà contemporaneamente sugli schermi Imax e sul suo sito il sequel di La tigre e il dragone. Anche in quel caso c’entra l’Estremo Oriente (il film sarà diretto dal maestro cinese di film d’arti marziali Yuen Woo-ping), ma per il momento non sono annunciati terremoti geopolitici o attacchi informatici.  

Rottamatore o tardo epigono di Machiavelli ?

Nel grande risiko delle nomine Matteo Renzi si muove da sempre su un doppio binario. Da una parte sceglie e promuove uomini dotati di curriculum inattaccabili e la cui cifra è l’indipendenza; dall’altra colloca personaggi fidelizzati al massimo e legati a lui da rapporti tangibili in un livello intermedio che configura la struttura ramificata del suo potere profondo. 
L’ultimo Consiglio dei ministri, alla vigilia di Natale, lo conferma: il governo ha nominato l’economista liberal Tito Boeri presidente dell’Inps e l’imprenditore Vincenzo Manes «consigliere al sociale». Il primo sul binario degli indipendenti di prestigio; il secondo, sconosciuto al grande pubblico, su quello dei fedelissimi negli snodi di potere. Manes, molisano, è un potente imprenditore nel settore metallurgico, ma si occupa anche di «innovazione sociale» con la sua Fondazione Dynamo. E è uno dei finanziatori palesi (62 mila euro), della fondazione renziana Open, che organizza la kermesse della Leopolda. 

Il primo esame  
Lo schema del doppio binario si era già testato nel primo giro di nomine nelle grandi aziende pubbliche poco dopo l’incarico di premier, o in pezzi dello staff di Palazzo Chigi. Da un lato le scelte spendibili nella logica del «cambiaverso»: donne, manager di profilo internazionale, professori, volti nuovi. E quindi profili come Carlotta de Franceschi consigliere economico; Patrizia Grieco e Paola Girdinio all’Enel; Emma Marcegaglia e Luigi Zingales all’Eni; Marta Dassù, Guido Alpa e Alessandro De Nicola a Finmeccanica; Francesco Caio e Antonio Campo Dall’Orto alle Poste. Dall’altro, lo schema portava nel cda dell’Enel l’avvocato pistoiese Alberto Bianchi, presidente della fondazione Open; a Finmeccanica un finanziatore storico della Leopolda, l’imprenditore senese nel settore biomedicale Fabrizio Landi; all’Eni Diva Moriani, imprenditrice aretina del rame nonché amministratrice proprio di Dynamo, la fondazione di Manes. Sempre all’Eni, nel collegio sindacale, è finito un altro amico di Renzi, Marco Seracini, che guidava NoiLink, altra fondazione importante nella galassia renziana. Mondi che ritornano. E cerchi che si chiudono.  

Da Firenze a Roma  
Nonostante si sia avvalso di alcune società di consulenza per cacciatori di teste, il premier ha già la sua rete e la utilizza ampiamente. Pedine cruciali come Filippo Bonaccorsi, appena chiamato a Palazzo Chigi per guidare la task force che dovrà gestire il delicatissimo piano del governo sulla scuola (oltre 21 mila istituti coinvolti, almeno un miliardo di euro in ballo). Bonaccorsi, avvocato romano, fratello della deputata Pd Lorenza - una dei quattro speaker dell’ultima Leopolda - ha guidato con perizia la privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico fiorentina, l’Ataf, quando Renzi era sindaco. Durante quella vertenza, vinta contro i sindacati, compare per la prima volta Maria Elena Boschi, che all’epoca aveva appena superato l’esame da avvocato. 

Il ministro ha raccontato che diede un aiuto, a titolo gratuito, per risolvere le grane giuridiche. Renzi la nominò nel cda di Publiacqua, azienda mista (46 Comuni più Acea, Suez, Mps) che porta acqua nelle case di 1,3 milioni di toscani e vanta 160 milioni di fatturato e 660 milioni di investimenti. Incarico, questo, retribuito. 

Non solo acqua  
Nel cda di Publiacqua, Boschi sedeva con il presidente Erasmo D’Angelis, ex giornalista del manifesto, ambientalista ma oppositore del referendum sull’acqua del 2011. Anche D’Angelis è stato portato a Palazzo Chigi da Renzi, con il ruolo strategico di capo dell’unità di missione sul dissesto idrogeologico. Sostituendo quattro ministeri, D’Angelis ha impresso una svolta radicale, sbloccando in pochi mesi 1300 cantieri per 1,6 miliardi di euro e candidandosi a gestirne altri 9 nei prossimi anni, facendo bingo sui fondi europei. 

Il modello D’Angelis viene ora ripetuto con Bonaccorsi sulla scuola: funzioni strategiche, piani di alto valore simbolico, grandi flussi di spesa pubblica accentrati a Palazzo Chigi e ministeri anche importanti esautorati: ambiente, istruzione, sviluppo economico, infrastrutture… Basta ascoltare gli sfoghi dei grand commis dei dicasteri, che non toccano più palla sui dossier principali (per non parlare dei ministri, talvolta nemmeno informati).  

Grandi opere  
Il modello, naturalmente, si applica anche al principale canale di spesa pubblica: il miliardario rubinetto delle grandi opere, affidato alle cure del Cipe guidato da Luca Lotti, un po’ l’Underwood del renzismo, il protagonista di House of Cards, la serie tv citata da Renzi anche ieri. 

Dopo il via libera a diverse autostrade, negli ultimi giorni il Cipe ha dato parere favorevole agli stanziamenti della Cassa depositi: 300 milioni per la metro 4 di Milano, 180 per la linea 1 a Napoli, 307 per l’inclusione sociale in Calabria, una decina al Piemonte per le «opere compensative» del Tav.  

Tra i principali dossier sulle infrastrutture sul tavolo del governo c’è il piano degli aeroporti. Al vertice di quello di Firenze, che ha appena ottenuto la salvifica fusione con Pisa, c’è (succeduto proprio a Manes) Marco Carrai che, con Bianchi, Boschi e Lotti, amministra la fondazione Open. Capisaldi di una sorta di governo parallelo quasi più influente di un consesso di ministri. 

JACOPO IACOBONI E GIUSEPPE SALVAGGIULO, Matteo e il governo parallelo. Il doppio binario delle nomine, "La Stampa", 30-12-14. 

Spesa per l'istruzione. L'OCSE bacchetta l'Italia.

A fine anno è ora di bilanci e ringraziamenti. L’Italia è scesa all’ultimo posto in Europa per percentuale di laureati, è penultima per spesa per l’università in rapporto al PIL ed anche ultima nell’OCSE per spesa pubblica destinata all’istruzione. Sono traguardi che non si raggiungono in un giorno, ma che sono il frutto di politiche mirate e perseveranti. In questi ultimi anni, la via ci è stata indicata, giorno dopo giorno, da una piccola schiera di editorialisti, giornalisti, economisti, opinionisti, politici e manager. Sono i maître à penser de noantri, di cui offriamo una breve antologia. A loro si addice la frase di Churchill:
«Mai così tanto fu dovuto da tanti a così pochi»

lunedì 29 dicembre 2014

Appuntamento con la fantascienza. "Il Signor Bevis".

Un eccentrico, ma gentile e ottimista impiegato ha la fortuna di essere aiutato da un angelo particolarmente sollecito.
Un altro, delizioso episodio della serie  "Ai confini della realtà"  (prima serie).


domenica 28 dicembre 2014

Il Museo storico della Liberazione di Roma. Intervista ad Antonio Parisella.


di  A. Lalomia

 Antonio Parisella con il Capo dello Stato  (25-04-13).
1.  La legge istitutiva del Museo Storico dellaLiberazione di Roma  (n. 277)  è stata promulgata il 14 aprile 1947. Rispetto a quel documento, ci sono state variazioni di rilievo nel corso degli anni?

Da un punto di vista legislativo specifico, no. Varie leggi hanno complicato la gestione finanziaria: essendo un minuscolo ente pubblico, è regolato dalle stesse norme che regolano l’INPS, che ha il bilancio di uno Stato di grandezza medio-piccola, presidente super pagato e funzionari …. Esistono poi le norme regionali che entrano in ballo per via dei contributi concessi.  Infine, vi sono le regole che vigono in materia di immobili dello Stato, di archivi, di biblioteche e di musei locali e non.


2.  L’art. 4 della suddetta legge istitutiva del Museo indica la composizione  del Comitato che gestisce il Museo.  Da quante unità è composto oggi l’organico ? 
E inoltre: dipendono tutte dal MIUR ? 

C’è da distinguere tra comitato che gestisce e personale del Museo. Il comitato è stato finora composto di persone (rappresentanti del MIBAC, della Difesa, del Comune, delle associazioni della Resistenza) che non sempre hanno partecipato alla vita del Museo al di là delle riunioni. Il presidente e il segretario tesoriere e – limitatamente – il vicepresidente sono le cariche attive, ma talora anche qualche consigliere ha svolto specifiche attività di sua competenza. Va detto che si tratta di attività totalmente volontarie e gratuite. Il personale è teoricamente costituito da un usciere e da un impiegato amministrativo comandati dal Ministero. Ma la seconda unità di personale non è mai stata assegnata. Se anche avesse le risorse finanziarie, il Museo non potrebbe assumere dipendenti con contratti privati perché la legge è categorica “il personale del Museo è statale”.  Per alcuni servizi indispensabili, legati alle finalità istituzionali (amministrazione-contabilita, archivi, biblioteca e mediateca, assistenza didattica, singole attività di ricerca) , nell’ambito di singoli progetti finanziati, vengono remunerati collaboratori con contratti occasionali. La gran parte dei collaboratori sono gli addetti alle visite, una quindicina di volontari/e, in genere docenti di scuole medie e superiori in pensione, che garantiscono un servizio di alta qualificazione per circa 13.000 -14.000 studenti ogni anno. In base ad una legge promossa dal ministro Tremonti, in futuro il numero dei componenti il comitato verrà ridotto a cinque e questo creerà scompensi tra le rappresentanze.


3.  L’art. 3 della predetta legge dispone che  “Per il funzionamento del Museo è inscritto nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, a decorrere dall’esercizio finanziario 1956-57, un contributo annuo di un milione.”.  A quanto ammonta l’ultimo bilancio del Museo e quali sono le sue fonti di finanziamento  (a parte i contributi volontari)  ?

Se permette, non scendo nei particolari. Oggi il contributo statale (MIBAC e/o MIUR) copre circa metà di un bilancio che oscilla tra 100.000 €  e 120.000 €. La restante parte è coperta per un po’ più di metà dai contributi delle amministrazioni locali e da una quota consistente pari a un po’ più del 20% da sottoscrizioni e da contributi per le guide nelle visite scolastiche. È un bilancio di pura sopravvivenza, stante la crescita continua dei costi fissi (utenze e servizi, condominio, imposte, impianti di sicurezza, pulizie, manutenzione, ecc…) : in tempi di crisi, ha scritto in un suo documento la sezione italiana dell’ICOM (organismo internazionale dei musei), non si tratta di spese correnti ma di investimenti, che servono a garantire l’integrità dei patrimoni e la loro trasmissione alle generazioni successive.  Ma ci sarebbe bisogno di investimenti nel rinnovamento delle strutture e degli allestimenti, anche con nuove tecnologie, e questo diventa proibitivo. Il Museo raggiunge standard elevati come servizio pubblico grazie unicamente al lavoro dei volontari e delle volontarie.


4.  Lei è stato eletto presidente del Museo nel 2001 e da allora riconfermato tre volte; l’ultimo mandato è del 28 aprile 2011 e scade il 27 aprile 2014.   Quali contributi ritiene di aver apportato al Museo durante questo lungo periodo e quali progetti ha in cantiere ?

Non sono stato eletto, ma nominato/designato dal Ministro in carica del MIBAC, cioè su un mandato fiduciario, da governi di diverso colore. Il primo contributo è stato quello di garantire l’esistenza del Museo. Per ben tre volte, due per ragioni politico-amministrative (lo scioglimento di enti considerati inutili) ed una per ragioni finanziarie: abbiamo dovuto combattere contro ministri di peso politico notevole, come Calderoli, Brunetta e Tremonti e il loro modo “disinvolto” di amministrare (cioè basato su automatismi burocratici, più che su conoscenza reale delle cose). Abbiamo vinto perché a nostra difesa si sono schierate personalità autorevoli della cultura, come l’ex presidente delle Corte costituzionale Giuliano Vassalli, Moni Ovadia, Dacia Maraini, e altri: accanto a loro, compatte, le associazioni ANPI, FIAP, FIVL, APC, ANPPIA, ANED, ANEI e istituzioni ebraiche italiane e internazionali, ma soprattutto la società civile, il popolo dei fax e delle e-mail, scuole, centri anziani, centri sociali, associazioni di italiani all’estero, ecc… Furono bloccate perché intasate persino caselle di posta elettronica di ministeri …. Per il 2011 – nel momento in cui a noi e al presidente Napolitano veniva assegnato un premio per la pace e i diritti umani - dovemmo addirittura annunciare che non avremmo potuto aprire il Museo per mancanza di fondi adeguati. Il secondo impegno  –che è merito di collaboratori e collaboratrici–  è stato lo sviluppo del servizio di visite guidate: chi ci ha preceduto, cioè i direttori prof. Arrigo Paladini e prof. ssa Elvira Sabbatini Paladini, anche per il fascino che avevano le loro figure di protagonisti, negli anni 1980-2000 avevano operato il primo grande balzo, giungendo a 7000-8000 presenze; noi abbiamo sviluppato il secondo, giungendo ad una media di 13.000 circa, con punte di 15.000. Il terzo è una maggiore presenza a livello comunicativo: l’intestazione della fermata della Metro A, Manzoni-Museo della Liberazione; la presenza su alcune importanti guide in inglese e francese (e perfino in giapponese)  e su una guida dei luoghi delle memorie ebraiche; la presenza sul Portale dei Memoriali del grande Memoriale della Shoah di Berlino e l’’inserimento nel coordinamento internazionale Sites of the Conscience. Il quarto è l’accrescimento delle collezioni, con un grande incremento della biblioteca (anche con donazioni)  e dei fondi archivistici, lo sviluppo della mediateca, la realizzazione di cataloghi e database per gli studiosi. Il quinto è la realizzazione di importanti mostre e di eventi culturali anche di natura teatrale e musicale. Il sesto la redazione di oltre mille schede biografiche dei detenuti di Via Tasso (circa il 50%), dei quali intorno a 300 donne. Ultimo, ma non meno importante, il riallestimento appena iniziato con l’inaugurazione del primo cantiere di lavori il 25 aprile con intervento del presidente Giorgio Napolitano e delle più alte cariche della Repubblica.


5.  Come mai è stato scelto, come sede del Museo, proprio lo stabile di Via Tasso,  lo stesso utilizzato da Kappler, durante l’occupazione tedesca di Roma  (settembre 1943-giugno 1944), come suo quartier generale e come prigione per i detenuti politici ?  
 La sede del Museo della Liberazione di Via Tasso.
Fu la principessa Josepha Ruspoli Savorgnan-di-Brazzà, la cui famiglia aveva affittato l’intero immobile all’ambasciata tedesca,  che donò allo Stato il primo nucleo di quattro appartamenti perché vi fosse allestito il Museo storico della Lotta di Liberazione. Altre unità immobiliari sono state in seguito acquistate dallo Stato con il concorso di Regione Lazio, Provincia di Roma e Comune di Roma. Vi fu chi vide nella donazione una sorta di “riparazione”, dal momento che tra i membri della famiglia non mancavano i collaborazionisti.


6.  Quali sono i documenti più importanti che custodisce il Museo ?

Innanzitutto, la propria struttura edilizia e i propri muri con le finestre murate, le grate sulle porte, le bocche di lupo, le scritte dei prigionieri graffite sulle pareti.  Moni Ovadia nel 1999 fu al Museo nel corso delle grande manifestazione di solidarietà contro l’attentato che lo aveva colpito (oltre 3000 visitatori in un giorno, 1 romano su 1000 !)  e dopo averlo visitato piangendo disse: “E’ uno dei luoghi più importanti della memoria europea della lotta al nazismo, come la casa di Anne Frank o il campo di Auschwitz”. Tra i cimeli esposti, indubbiamente importanti sono quelli ritrovati sui caduti delle Fosse Ardeatine. Poi ci sono i giornali clandestini, i volantini e i manifesti di guerra. Un Museo non è solo ciò che espone, ma anche ciò che conserva nella sua biblioteca e nei suoi archivi: dagli opuscoli clandestini di propaganda alle prime edizioni di memorie uscite dopo la Liberazione, a documenti sulla vita delle formazioni partigiane e dei partiti, ad un piccolo nucleo di schede carcerarie ed altri documenti (in tedesco) scampati alla distruzione da parte dei nazisti. Poi vi sono alcuni fondi archivistici molto ricchi: la carte del questore Giuseppe Dosi, quelle dell’avv. Giannetto Barrera, quelle del giornalista, scrittore e deputato Siverio Corvisieri e le numerose posizioni personali  –a partire da quella di Arrigo Paladini e a quella di Mario Fiorentini-  che con documenti, diari, fotografie, interviste e testimonianze, testimoniano aspetti della vita di caduti, di partigiani e di gente comune.


7.  È  possibile che nella loro fuga i tedeschi abbiano portato via parte  della documentazione che conservavano qui e che tale documentazione si trovi oggi in Germania ?
4 giugno 1944: il fumo esce dal carcere
di Via Tasso, dopo la fuga dei tedeschi.

Le SS distrussero una parte degli archivi incendiandoli: vi sono fotografie del 4 giugno 1944 di Via Tasso con piccoli fuochi, resti di più grossi falò; il resto lo fecero popolani e sfollati che avevano invaso uffici e celle. Un funzionario di polizia, Giuseppe Dosi, salvò parte degli archivi e ora le carte sono in gran parte al Museo. Altre ne consegnò alle autorità italiane. Ma credo che – cosa del tutto consueta – le cose più importanti le SS se le portarono dietro al momento della fuga. Non mi meraviglierei che queste carte, oltre che dagli archivi tedeschi, possano uscire fuori da quelli delle potenze alleate.


8.  In questo luogo i tedeschi hanno sempre condotto le loro azioni da soli, oppure sono stati coadiuvati da italiani e da personale di altri paesi ?     

Quasi certamente vi erano austriaci e sudtirolesi che inizialmente svolgevano il ruolo di custodi e piantoni non armati tra le celle, poi sostituiti negli ultimi mesi dalle SS armate. Quanto agli italiani, sappiamo che tra le carte consegnate dal questore Dosi alle autorità italiane vi era anche un elenco di collaborazionisti. Dopo la Liberazione, apparvero sui giornali articoli di denuncia contro questa o l’altra persona, ma ogni notizia al riguardo, oggi, è illazione.  In qualche caso vi furono processi in cui alcuni vennero condannati e altri assolti Tuttavia, va ricordato che un dirigente militare e non solo politico comunista della Resistenza, come Giorgio Amendola, ha scritto che a Roma, nei confronti con Parigi, delazione e collaborazionismo ebbero una dimensione ed un’efficacia minore.  Il col. Kappler, nella sua deposizione al processo, escluse in maniera più categorica che nell’esecuzione della strage delle Fosse Ardeatine fossero stati impiegati anche italiani. 
                                                 

9.  Esiste un data-base di tutti coloro i quali  -tedeschi ed eventualmente italiani e di altri paesi-  hanno operato in questo luogo ?  Credo che uno strumento del genere sarebbe molto importante, anche per capire la reale germanicità del personale: penso ad esempio agli austriaci e soprattutto agli altoatesini  (molti di questi ultimi furono costretti ad arruolarsi nella Wehrmacht, anche se piuttosto avanti con gli anni e malgrado avessero già svolto il servizio militare nelle FF.AA. italiane). 

Nelle sue ricerche per ricostruire l’organizzazione istituzionale del comando di polizia e del carcere, la dott. Alessia Glielmi, responsabile degli archivi del Museo, grazie alle carte Dosi, è riuscita a ricostruire l’elenco del personale di Via Tasso e relativi gradi militari. Poi sarà la volta di quello che è ricostruibile dell’organigramma degli uffici, cosa non facile perché ruotavano negli incarichi. Ancora più difficile sarà avere informazioni personali dagli archivi militari tedeschi o da quelli che conservano la carte del NSDAP (partito nazista) da cui le SS dipendevano.


10.  È  stato possibile procedere penalmente, dopo la guerra, contro coloro i quali si sono macchiati in questo luogo di crimini ?   In caso affermativo, sono state emesse delle condanne ?  Posto che ormai è molto improbabile che qualcuno di questi aguzzini sia ancora vivo, è stato mai contattato dai loro familiari ?

Esiste ormai un palchetto di biblioteca di libri dedicati ai processi e ai mancati processi nei riguardi dei criminali nazisti in Italia. Così è stato anche per Kappler trasferito dagli Alleati alle autorità italiane nel 1947, e processato a Roma da un tribunale militare fu condannato all'ergastolo ed a 15 anni aggiuntivi per l'estorsione dell'oro degli ebrei romani. Dopo che ne era stato mutato lo status da detenuto a prigioniero di guerra, fu ricoverato per cattive condizioni di salute all’Ospedale militare Celio di Roma, da dove fuggì in circostanze mai pienamente chiarite la notte di ferragosto del 1977. Nel marzo 1998, la Corte d'appello militare condannò all'ergastolo Erich Priebke, insieme all'altro ex membro delle SS Karl Hass. La sentenza è stata confermata nel novembre dello stesso anno dalla Corte di Cassazione,. A causa dell’età avanzata, sia a Priebke che ad Hass fu concessa la detenzione domiciliare. Karl Hass è deceduto nel 2004 ed Erich Priebke è scomparso a più di 100 anni. Ricordiamo che anche il feldmaresciallo  Albert Kesselring fu condannato a morte il nel 1946 da un tribunale alleato per crimini di guerra e per la strage delle Fosse Ardeatine, ma la pena fu commutata nell’ergastolo.  Scarcerato nel 1952 per motivi di salute, in Germania partecipò alle attività di gruppi neonazisti bavaresi. Morì d’infarto nel 1960.
Nessuno dei familiari ci ha mai contattato. Invece, fino ad una decina di anni fa, nei giorni precedenti l’anniversario della strage delle Ardeatine, veniva al Museo in incognito il figlio – ormai in età avanzata – di altro esponente delle SS, per poi recarsi – in espiazione – alla cerimonia ufficiale di commemorazione.


11.  Esiste un data-base di tutti coloro i quali sono stati detenuti, anche per un breve periodo, in questo luogo ?




Sì, ed è una delle nostre realizzazioni delle quali andiamo orgogliosi. Forse la ricerca doveva essere svolta prima, ma fu una delle mie preoccupazioni appena divenuto presidente del Museo. Come accennato, le dottoresse Alessia Glielmi e Giovanna Montani hanno portato a termine la redazione di oltre mille schede biografiche dei detenuti di Via Tasso (circa il 50% dei detenuti stimati), dei quali circa 300 donne. A disposizione avevamo poche schede carcerarie di Via Tasso, ma molte schede e un registro di Regina Coeli, dove c’erano i dati e la scritta “proveniente da Via Tasso” oppure “destinato a Via Tasso”, c’erano poi le memorie dei singoli detenuti, che elencavano i loro compagni di prigionia, quindi si trattava di giocare al domino: abbiamo fatto interagire questi dati con quelli di altri archivi ed elenchi, come quelli dei caduti, dei partigiani riconosciuti, delle lapidi commemorative, ecc…  A volte sono stati i familiari, che sono venuti per cercare notizie e ci hanno permesso di completare le schede con i dati in loro possesso. Questo rapporto di scambio con i familiari e, più in generale, con i cittadini è un dato caratteristico e permanente nella vita del Museo.


12.  Il Museo è visitato anche da scolaresche tedesche ?  E inoltre: le strutture scolastiche tedesche vi hanno mai contattato  per ricevere informazioni e materiale documentario ?

Ogni anno, tra fine settembre e inizi di novembre (è quello il periodo dedicato ai viaggi d’istruzione: che non chiamano gite scolastiche)  vengono studenti e docenti delle scuole tedesche di Roma e anche un numero crescente di scuole tedesche di Germania. Contrariamente a quello che si possa immaginare, sono molto interessati e preparati: durante il periodo del cancellierato di Helmuth Kohl sono stati adottati provvedimenti per l’aggiornamento obbligatorio (da noi è facoltativo) per docenti di qualsiasi disciplina con visite ai Lager di ogni tipo e a musei e luoghi di memoria del nazismo. Esiste una apposita fondazione che si chiama Topografia del terrore, preposta a promuovere visite, sopralluoghi e iniziative nei singoli luoghi e veri e propri tour: insegnanti e operatori culturali vengono messi in relazione con studiosi di prim’ordine e possono poi operare come mediatori di cultura con gli studenti e i fruitori delle attività culturali. Così, più che con la previsione di reati d’opinione, si combattono il revisionismo e il negazionismo.
Le richieste di informazioni e documentazioni sono all’ordine del giorno. Il grande memoriale dell’Olocausto di Berlino ha realizzato il Portale dei memoriali e noi abbiamo l’onore di essere stato il primo luogo italiano ad esservi inserito. Vengono dei visitatori che hanno stampato da quel sito le pagine che ci riguardano e che sono le stesse – in tedesco e in inglese - che abbiamo linkato sul nostro sito www.museoliberazione.it.


13.  Le autorità tedesche e i politici di quel Paese hanno mai visitato il Museo ?

Non so se è avvenuto prima. Durante la mia presidenza no. Vi fu un contatto alcuni anni fa per la visita di una delegazione ufficiale del settore cultura, ma poi non venne più a Roma.


14.  La Germania ha mai concesso finanziamenti a questa struttura ?

Certamente nessuno di noi li ha richiesti, né li richiederà. Se li concedessero, ringrazieremmo.


15.  Tra gli stranieri che ogni anno visitano questo Museo, qual è la percentuale dei tedeschi ?

Non sono in grado di fare numeri, ma il loro numero è tra i più alti.  Forse il gruppo nazionale più numeroso. Dopo quanto ho detto non deve stupire. Stupisce invece la quasi totale assenza di francesi …


16.  L’importanza del Museo è legata anche al fatto che custodisce materiale sui molteplici aspetti della Resistenza.  Vogliamo cercare di indicare, sia pure sommariamente  (e con specifico riguardo al contesto romano), le varie anime di questo movimento e la sua consistenza numerica ?

In primo luogo, occorre prendere coscienza dell’esistenza di una lotta armata e di una lotta non armata, di una lotta popolare e quasi spontanea e di una lotta politica e militare organizzata: due aspetti non isolati tra loro, ma che si intrecciano quasi sempre.  Ad esempio, diverse decine di case religiose o di luoghi direttamente dipendenti dalla Santa Sede, non hanno ospitato soltanto ebrei, ma ogni genere di ricercati, militari sbandati e clandestini, ricercati politici anche socialisti e comunisti, partigiani talora con le loro armi, piloti alleati i cui aerei erano stati abbattuti o prigionieri di guerra alleati fuggiti dai campi di prigionia dopo l’8 settembre, ecc… In altri casi si è trattato di famiglie, di reti di solidarietà più o meno vaste tra operatori sanitari, impiegati pubblici e talora agenti di polizia. E’ impossibile quantificare, ma certamente si tratta di una base piuttosto vasta, sulla quale poggiava l’attività politica e militare e la lotta partigiana.  

Poi, importantissimo a Roma fino a febbraio 1944, il Fronte militare clandestino della Resistenza, guidato dal col. Giuseppe Cordero di Montezemolo, la cui consistenza era di circa 14.000 persone (ma si tenga presente che circa 2500 Carabinieri vennero deportati in Germania il 7 ottobre 1943),  costituito dai militari passati in clandestinità, ai quali dai comandi italiani era vietato compiere azioni militari, ma che dovevano compiere atti di sabotaggio e antisabotaggio e di raccolta e trasmissione via radiotelegrafo di informazioni politiche e militari. Nel dopoguerra si polemizzò perché si diceva che nessuno li aveva visti, ma le cifre dei caduti e degli imprigionati sono eloquenti.
La Resistenza politica e militare organizzata dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (Democratico del lavoro, Democratico cristiano, Liberale, d’Azione, Socialista di unità proletaria e Comunista)  e a quelli che ne erano fuori (Movimento comunista d‘Italia-Bandiera rossa, Movimento cristiano-sociale, Movimento dei cattolici comunisti, Partito repubblicano, Unione nazionale della democrazia, Anarchici e altri) ha avuto un numero di partigiani riconosciuti più o meno della stessa consistenza ma con forti differenziazioni: circa 1500 il PC e Bandiera rossa, tra 500 e 1000 il Partito d’Azione e i cattolici comunisti, consistenze minori gli altri. Il PC si giovava di una ventennale opposizione clandestina rafforzata dagli apporti recenti di intellettuali e studenti, Bandiera rossa aveva due componenti, una di militari e una di popolani soprattutto delle borgate più marginali, il Pd’A aveva ereditato il sovversivismo repubblicano che risaliva alla Repubblica del 1849, i cattolici comunisti si avvalevano di una capillare organizzazione della gioventù di azione cattolica nei quartieri popolari della sottofederazione di Roma Sud (Trastevere, Testaccio, Ostiense, Garbatella, ecc.). Anche in questo caso, le biografie dei caduti confermano il radicamento sociale al pari di una presenza medio e piccolo borghese (in queste e in altre formazioni). Esemplare e di alto valore simbolico, la banda Arco di Travertino, comandata da un prete belga (Desiderio Nobels), che era composta di alcuni comunisti e socialisti, ufficiali e sottufficiali della Marina, esponenti dell’Azione cattolica e del Movimento cristiano sociale, esponenti della borghesia e anche aristocratici.
Infine, voglio ricordare le reti di solidarietà. Alcune erano indipendenti sia dalle organizzazioni della Resistenza sia dall’apparato ecclesiastico in quanto tale. Così la rete promossa da mons. O’ Flaherty, prelato irlandese del Sant’Uffizio, sostenuto da diplomatici inglesi e funzionari svizzeri presso la Santa Sede e da aristocratiche romane. Per salvare soprattutto ebrei, ma anche ex prigionieri inglesi e piloti americani abbattuti.


17.  Cosa si può fare, secondo lei, per avvicinare di più gli Italiani (in particolare le giovani generazioni)  alla conoscenza del periodo resistenziale e soprattutto per togliere dalle loro menti l’idea che questo fenomeno non è stato, come molti continuano a credere, qualcosa di marginale e comunque legato a ideologie ben precise, quella socialista e comunista, per intenderci ?  

La cosa più importante – e noi lo stiamo praticando nel piano terreno del Museo – è far riflettere, come normalmente non si fa né in Italia né altrove, che la Resistenza è stato un grande movimento che ha coinvolto donne e uomini di tutti i paesi europei occupati dai nazisti. Per la prima volta nella storia più recente, la gran parte dei popoli d’Europa si sono ribellati all’occupazione nazista che voleva imporre il Nuovo Ordine Europeo, cioè una gerarchia di popoli e di stati al vertice della quale c’era il Reich tedesco, il partito NSDAP e il Fuhrer. I popoli slavi da “de-civilizzare” e ridurre in schiavitù, danesi, fiamminghi, norvegesi da assimilare, ebrei e zingari da sterminare. Era il sovvertimento di ciò che l’Europa era sempre stata. Le Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea rivelano che greci e danesi, albanesi e norvegesi, francesi e bulgari, ecc… ebrei, cattolici, ortodossi, protestanti e atei si ispiravano agli stessi valori, anche se appartenenti a famiglie ideologiche differenti.   
L’Unione Europea ha posto la lotta contro i totalitarismi e, specificamente, la memoria della Shoa e della Resistenza  come uno dei suoi fondamenti e prevede una specifica “azione” su questi temi della sua politica culturale e dei suoi finanziamenti.


 A. Parisella durante la cerimonia
di premiazione del concorso dedicato a Ugo Forno.
18.  Il fatto che il sito del Museo non sia particolarmente ricco di materiale  (e risulti non sempre aggiornato) dipende dalla mancanza di risorse ? Penso ad esempio alle magnifiche immagini che sono state scattate durante la cerimonia di premiazione del concorso “Il coraggio di scegliere”  (18-03-13), immagini che si trovano nel sito www.ugoforno.it ,  o a quelle relative alla visita del Capo  dello Stato il 25 aprile di quest’anno e che sono visionabili sul portale del Quirinale .

Il sito del Museo è solo un sito istituzionale che serve a comunicare le informazioni necessarie per accedere al Museo, ai suoi servizi e alle sue attività. Forse in futuro amplieremo un po’ le cose da comunicare, ma restiamo convinti che il rapporto con i documenti storici deve essere anche diretto (direi quasi “tattile”) e non solo virtuale. Non siamo un organismo di propaganda di massa, ma un’istituzione scientifica, didattica e di promozione culturale. La conoscenza storica ha bisogno più di riflessione che di emozione.


19.  Mi perdoni, ma credo che, con maggiori disponibilità finanziarie, si possa fare di meglio. Mi riferisco ad esempio al magnifico portale dello Yad Vashem, che dovrebbe essere preso come modello, per il suo grande rigore scientifico, l'enorme quantità di materiale che mette a disposizione on line  (anche in italiano), per il suo continuo aggiornamento, la facilità di consultazione, la sobria eleganza. Ma torniamo alle domande.
Posto che comunque, chi entra in questo edificio è tenuto ad indossare un abbigliamento adeguato e a mantenere una linea corretta e rispettosa del luogo, è inevitabile che  possano capitare persone  (e penso soprattutto ai bambini e in generale ai giovanissimi)  che, magari senza volerlo e in ragione della loro età, si comportino in modo vivace e comunque non in linea con lo spirito del luogo.  Le è mai capitato di dover riprendere qualche visitatore per un atteggiamento sconveniente e in ogni caso ‘disinvolto’ ? 

Per visitare il Museo non ci sono norme particolari se non quelle della comune correttezza e buona educazione. Tra circa 13.000 giovani visitatori c’è sempre qualche indisciplinato, è normale. Ma quasi sempre si tratta di studenti che non sono stati preparati con studio e spiegazioni dai loro insegnanti. Oppure poco seguiti da insegnati che non sanno tenere la disciplina. E’ accaduto che abbiano scritto una volta Forza Roma e una volta abbiano graffito una svastica su un supporto, ma trovo più grave che una volta le due insegnanti che accompagnavano una classe, l’avessero scaricata a noi e fossero andate al bar, oppure che – altre in altra occasione – rimanessero sui pianerottoli a chiacchierare tra loro (“tanto l’abbiamo visitato un’altra volta”) . Molto più fastidio mi hanno dato, in giornate di grande afflusso, persone che nell’atrio o nella sala dedicata alla strage delle Fosse Ardeatine si erano messe a concionare ripetendo luoghi comuni, oppure a fare comizi di propaganda politica. Ho dovuto minacciare di telefonare al Commissariato di zona o a i Carabinieri, che per fortuna sono poco distanti. Altre volte, ho dovuto subire vere e proprie aggressioni verbali da una visitatrice che mi accusava di voler cancellare la memoria di Pio XII e di un visitatore – ex partigiano ! – che mi accusava di aver tolto di mezzo il manifesto (inesistente !) con il quale si sarebbero invitati i Gappisti dell’azione di Via Rasella a costituirsi ai nazisti per salvare gli ostaggi poi uccisi alle Fosse Ardeatine (“ma io l’ho visto con i  miei occhi e stava proprio qui !”). Ma nel complesso si è trattato al massimo di una decina di episodi in quattordici anni su migliaia di visitatori annui.



20.  Sul manifesto che sarebbe stato affisso dopo l'attentato, in effetti, esiste ancora oggi una vivace polemica, anche se ormai sembra accertato che non esista.                 Ma torniamo al tema della domanda precedente. Al di là di quanto evidenziato prima, non trova che, quando si parla di luoghi di inenarrabili sofferenze come questo, si debba selezionare il pubblico, permettendo l’accesso solo alle persone veramente interessate e in grado di mantenere un comportamento compatibile con l’ambiente ? E inoltre: non ritiene che sia necessario adottare una speciale cautela nel consentire l’accesso alle zone in cui maggiore è stata la violenza dei carnefici e la sofferenza delle vittime ?  Penso ad esempio ai locali dove i prigionieri erano torturati in modo spaventoso e alle celle in cui venivano trascinati dopo essere stati martoriati nel corpo.  Io inorridisco all’idea che ci possano essere visitatori i quali, dopo aver fatto ‘una puntata’  da Mc Donald’s, decidano di dare  ‘un’ occhiatina’ al museo, perché non hanno nient’altro da fare.  E magari si divertano scattando foto e girando filmati, in cui si fanno riprendere  (un po’ come quei primi piani che hanno sullo sfondo il relitto della “Concordia Costa”).  Sono troppo pessimista, oppure anche lei avverte questo pericolo ?  In effetti, mi sembra che lei si sia già preoccupato di  selezionare un po’ il pubblico del museo .

Sono in totale disaccordo con lei. Proprio perché a me a suo tempo fece molto bene visitare il Museo. L’unico limite che mettiamo è quello delle scuole elementari: tuttavia, se gli insegnanti garantiscono che hanno fatto un’adeguata preparazione, facciamo accedere anche classi quinte, che però sono rare, dal momento che – grazie alla Gelmini ministro – la storia contemporanea non si studia più alle elementari.
A parte alcuni indumenti macchiati di sangue o ridotti in brandelli, al Museo non ci sono situazioni raccapriccianti (“non siamo il Museo degli orrori” - ripetiamo a chi vuol vedere attrezzi di tortura  -  “e neppure il Museo criminologico” , ma un Museo storico).
Per alcune considerazioni che fa lei, rifiutiamo l’idea consumistica della “notte dei musei”, anche tenendo conto del fatto che nel palazzo abitano inquilini ottuagenari ed oltre.


21.  Non dubitavo minimamente della filosofia che anima il Museo; forse c'è stato un equivoco.  Tuttavia, perdoni l’insistenza  (e la provocazione), ma vorrei rimanere ancora sul tema della domanda precedente.  David Irving ha molto da farsi perdonare  (in particolare il suo ostentato antisemitismo), ma non crede che la sua invettiva contro l’uso  “mercantilistico”  dei siti in cui maggiormente si è espressa la barbarie nazista, contro il  “mercimonio” dell’ Olocausto, nasconda un minimo di verità ?  Auschwitz, egli sostiene, è diventata una specie di Disneyland del macabro, un Luna Park degli orrori, ad uso e consumo di chi ama le emozioni forti.  Ripeto: Irwing non ha le carte in regola per poter dettar legge, però queste osservazioni, sia pure in modo più sfumato, sono state espresse anche da altri visitatori di quel lager  (ben lontani dal pensiero di Irving).  Cosa si può fare, secondo lei, per impedire la deriva ludica  (o estetizzante, che forse è anche peggio)  di questi siti, l’utilizzo distorto  (mi verrebbe da dire blasfemo)  dei luoghi in cui il delirio di onnipotenza dei nazisti si è manifestato in tutta la sua ferocia ?   E inoltre, con tutto il rispetto per quanti  si sono cimentati in quest’impresa   -da Quasimodo a Daniele Santoro (Sulla strada per Leobschuetz)-  crede che sia possibile tradurre in lirica la violenza dei nazisti e le sofferenze bibliche di milioni di vittime  ?

 Recinzioni di Auschwitz
Posso rispondere che noi non ci prestiamo a operazioni commerciali, dal momento che l’ingresso è gratuito. Siamo stati avvicinati almeno tre volte da esponenti di società che gestiscono musei che ci proponevano – in prospettiva - affari lucrosi per il Museo basati su un marketing di tipo consumistico-spettacolare, ma li abbiamo messi alla porta.
Invece, sono profondamente convinto dell’importanza di intrecciare le ricostruzioni documentali con le testimonianze artistiche, poetiche, visive, cinematografiche,  o musicali che siano. Credo che le poesie di Corrado Govoni (già esaltatore del mito di Mussolini) sul “Carnaio Ardeatino” (dove du ucciso il figlio Aladino) o le liriche di Lia Albertelli, o le musiche di don Morosini o di Gino Marinuzzi jr, ma anche quelle di artisti meno coinvolti direttamente, abbiano una grande forza evocatrice. Marc Bloch ci ha insegnato che le fonti storiche sono costituite da ogni genere di traccia dell’attività umana, e quindi anche quelle artistiche, musicali, cinematografiche, ecc….


22.  Per Etty Hillesum,  “Basterebbe un solo tedesco buono, e questo tedesco meriterebbe di essere difeso, perché grazie a lui non si avrebbe più il diritto di riversare l’odio su un popolo intero”.  Di tedeschi come quelli auspicati dall'intellettuale ebrea, in realtà, ce ne sono stati, anche durante la seconda mondiale: basti pensare al console generale  (e per un certo periodo f.f. di ambasciatore)  a Roma, Friedrich Eithel Moellhausen * ;  o a  Gehrard Kurzbach,  il militare tedesco che pagò con la vita l’aiuto prestato agli ebrei e che Israele ha riconosciuto come  “Giusto tra le nazioni” .  La domanda è: anche a Via Tasso c’è stato almeno un tedesco che si è comportato da essere umano ?   

A proposito del diplomatico Friedrich Eithel Moellhausen le cose non sono tutte così semplici e il giudizio è, quanto meno, controverso.
Tuttavia, il problema è quello che lei pone. Noi parliamo di occupazione e presenza nazista proprio per sottolineare il carattere fortemente ideologico della guerra e dell’occupazione e distinguere il regime dal popolo, che fu la prima vittima del nazismo, che pure scelse con precisi mandati elettorali. Le prime vittime di sterminio furono gli oppositori politici tedeschi del nazismo ed è esistita  quella che il grande leader socialdemocratico e cancelliere tedesco Willy Brand chiamava “altra Germania”, cioè gli oppositori in esilio – come lui – che combatterono per la libertà e la democrazia in Germania. Qualche traccia di piccoli episodi che rivelano “attenzione” nei riguardi dei prigionieri vi sono, ma non sono da enfatizzare. Più importante sarebbe scoprire la vita e il destino dei disertori tedeschi: a Roma si stima che siano stati qualche centinaio, ma studiarli è abbastanza arduo. Anche perché a casa – dopo averli passati per le armi – avrebbero comunicato che erano morti in combattimento.


23.  La visita che il Presidente della Repubblica ha fatto il 25 aprile dello scorso anno va collegata alla mostra su questa importante data, oppure alla volontà   -che personalmente  ritengo encomiabile, attesa l’ignoranza che moltissimi ragazzi rivelano su questi temi-  di ribadire la centralità e l’attualità della Resistenza nella storia dell’Italia contemporanea ?

La visita è una ulteriore manifestazione di considerazione per il Museo da parte di Giorgio Napolitano, che lo aveva visitato come ministro dell’interno e prima come privato cittadino, e quindi lo conosce bene. I riallestimenti nel Museo sono solo l’occasione, ma l’obiettivo mi pare piuttosto il secondo. La visita si inserisce all’interno di un’attività a sostegno del Museo da parte della Direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione del MIUR, proprio per ribadire il legame pedagogico che c’è tra l’insegnamento della storia della Resistenza e la formazione dell’identità democratica. Mi piace qui ricordare, perché la sua figura è esemplarmente circondata da discrezione, che la signora Clio Napolitano fu negli anni '80 del XX secolo protagonista di battaglie per la democrazia scolastica (che sembrano appartenere ad altra epoca storica) per le quali l’insegnamento della Resistenza era un cardine.


24.  Ha mai conosciuto di persona Kappler o qualcuno dei suoi familiari ?

No, mai.


 Giuseppe Cordero Lanza
di Montezemolo
25.  Da questa prigione sono state prelevate alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine. Oltre a Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, a Ferdinando Agnini, a Sabato Martelli Castaldi, a Roberto Lordi, a Giovanni Frignani, a Raffaele Aversa e a Ugo De Carolis, può citare qualche altro nome ?

L’elenco sarebbe troppo lungo, perché da Via Tasso furono prelevate un’ottantina di persone e tra esse – oltre a persone prive di esplicita attività militante – accanto ad esponenti del Fronte militare clandestino della Resistenza (cui lei ha fatto cenno) vi erano anche esponenti del Movimento comunista d’Italia-Bandiera Rossa, del Partito comunista, del Movimento dei cattolici comunisti, del Partito d‘Azione e di tutte le altre formazioni politiche e partigiane.


26.  Parlando delle Fosse Ardeatine, non si può non affrontare l’argomento di Via Rasella.  Posso chiedere quali sono i suoi giudizi  -da storico e da semplice cittadino-  su questo episodio ?  Come lei sa, il figlio di una delle vittime restituì la medaglia d’oro conferita alla memoria del padre quando vide che l’esecutore materiale dell'attentato di Via Rasella era stato, anche lui, insignito di onoreficenza.  Per quanto mi riguarda, io ho già espresso, nella seconda intervista a Mario Avagliano  il mio punto di vista. D'altronde, credo di non essere il solo a pensarla in un certo modo: si veda ad esempio l'intervento di Giovanni Sabbatucci al convegno alla Camera dei Deputati del 2009 per onorare la memoria di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.

Sui sentimenti altrui non mi permetto di giudicare perché non ho alcun titolo. Essi debbono essere rispettati come espressione di persone, ma – nel contempo – la valutazione storico-politica va formulata prescindendo da essi e riferendosi alle condizioni ei soggetti protagonisti egli eventi. Questo se vogliamo comprendere perché le cose siano andate in quel modo e non in un altro. 
Le questioni sono due. La prima riguarda il carattere dell’azione, come atto di guerriglia urbana. Non siamo all’epoca della disfida di Barletta e del confronto corpo a corpo da uomo a uomo, ma a metà del XX secolo durante una guerra e sotto un’occupazione militare che – in tutta Europa - hanno visto recrudescenze di barbarie fino ad allora inimmaginabili. E’ chi opprime che impone a chi viene oppresso il terreno e le modalità dello scontro ed anche le sue durezze e i suoi prezzi di sangue e di dolore. Un elemento di chiarificazione, per comprendere queste cose, me lo recò il film di un grande regista che era stato partigiano a Roma, cioè La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo. Ero studente e avevo conosciuto quegli eventi attraverso la stampa: rividi più volte il film e su di esso riflettei come se fosse la preparazione di un esame. Vi è una forte sproporzione fra chi usa tutti i mezzi di una potente organizzazione statale – anche il carcere, la tortura, la deportazione, l’eliminazione fisica, la schiavitù e la fame – per imporre l’ordine perfetto che pretende di realizzare e chi opera – anche clandestinamente – con i mezzi di cui riesce a disporre per la sopravvivenza nella libertà del proprio popolo. E’ chiaro che il più debole, se dalla sua azione vuole ottenere il risultato più alto dal punto di vista militare, deve colpire il nemico oppressore individuando il suo punto più debole e cercando di recargli il maggior danno possibile. [Mi rendo conto che sto usando un linguaggio non mio e ciò mi reca qualche difficoltà, trattandosi comunque di distruzione di vite umane. ] Sotto questo profilo, dopo numerose altre azioni, a due mesi quasi dallo sbarco di Nettuno e con il fronte che ristagnava, i GAP (gruppi di azione patriottica) non potevano evitare di intensificare lo scontro. E l’azione – nella sua preparazione ed esecuzione (anche nell’evitare, come possibile, il coinvolgimento di civili italiani) – mostrò anzitutto ai nazisti occupanti l’alto livello della capacità offensiva raggiunto e la possibilità di colpire all’interno della zona centrale, che era la più sorvegliata. 


27.  Non trova curioso il fatto che, a tutt’oggi, non esista un sito interamente dedicato a Via Rasella e alle Fosse Ardeatine ?

Che non vi sia un sito ufficiale, forse è meglio. La verità storica non può essere sancita per decreto. Anche perché sulla vicenda – a partire di processi a Kappler e Kesserling – i processi hanno stabilito univocamente la verità dei fatti accertati e invece si continua ad andare dietro a favole e leggende e periodicamente – da parte di certi organi di stampa – a montare campagne scandalistiche e diffamatorie fondate sull’errore e sulla menzogna consapevole.
Altre volte, come nella trasmissione di Pippo Baudo di qualche tempo fa, non si sa bene se ammirare la sfrontatezza dell’ignoranza - che è stata veramente notevole ! - o compatire il declino di chi mostra i segni della senilità senza accorgersi dei suoi inconvenienti.


28.  Mi perdoni, ma credo che proprio in base a quanto ha appena detto un sito  (con i contributi dei maggiori studiosi)  potrebbe rappresentare un punto di riferimento per chiunque voglia affrontare il tema in modo serio  (i faziosi e i lunatici, è chiaro, lo degnerebbero di una sola visita, giusto per denigrarlo).  D'altronde, se le Fosse Ardeatine sono state trasformate in Mausoleo, mi sembrerebbe legittimo che venissero dotate di un portale, allo stesso modo di quanto accade ad esempio per alcuni lager nazisti. Ma senza spostarsi dall'Italia, basti pensare al portale del Museo (che nel 1965 ha ottenuto lo staus di "Monumento nazionale")  relativo alla Risiera di San Sabba
Ma torniamo alle domande. Il Museo ha rapporti di collaborazione con istituti analoghi, italiani e di altri paesi ?

Il Museo intrattiene regolari rapporti con altre istituzioni analoghe sia italiane sia di altri paesi. Inoltre, esso fa parte di un coordinamento internazionale che si chiama Sites of Coscience. Qualcosa di più del nostro “luoghi della memoria”, perché lega il ricordo del passato all’azione nel presente e ai progetti per il futuro, particolarmente per quanto riguarda i diritti umani, che oggi – insieme alla nonviolenza – credo siano il fronte avanzato della cultura della Resistenza e dell’antifascismo.
Per il 70° anniversario della Resistenza il Comitato della Presidenza del Consiglio dei ministri ha creduto di affidare proprio a noi la realizzazione di un Museo diffuso della Resistenza e della Guerra di Liberazione, cioè un portale web che sia di collegamento per gli oltre 160 Musei e gli altri luoghi della memoria sparsi in ogni regione d‘Italia.


29.  Non crede che i giorni di apertura del Museo dovrebbero essere aumentati , per consentire anche a coloro i quali lavorano ma sono interessati al periodo, di potervi accedere con serenità ?

Il problema è costituito dall’orario di lavoro dell’unico custode. Il MIBAC non ci fornisce la seconda unità di personale e senza di lui non è possibile aprire. Tutte le volte che apriamo nei giorni non previsti (ad es. di lunedì nel periodo di massima affluenza delle scuole o i domenica per particolari ricorrenze) lo facciamo grazie al suo lavoro volontario o alla presenza – volontaria anch’essa – mia o del segretario generale o di altro membro del comitato direttivo.


30.  Il destino, a volte, è capriccioso, gioca strani scherzi.  Come considerare               altrimenti la straordinaria coincidenza tra la sua data di nascita  -25 aprile 1945-   e il fatto che lei sia diventato uno dei massimi esperti della Resistenza italiana ?                               
Trovo la cosa, di per se, irrilevante. Una pura coincidenza.


 Un momento della cerimonia relativa al conferimento
a Parisella.del Premio per la Pace 2013.
31.  Il 27 gennaio di quest’anno lei ha ricevuto il Premio internazionale per la Pace e i Diritti Umani ed è stato  nominato “Ambasciatore per la Pace e i Diritti Umani del III Millennio”, rappresentando ovunque l’associazione “Movimento Ambasciatori per la Pace del Movimento Internazionale per la Pace e la Salvaguardia del Creato III Millennio”  della Provincia di Caserta e Regione Campania.                                   Posso chiederle se per lei la pace è un valore universale e che vale per ogni tempo e luogo, da difendere ad ogni costo e di fronte al quale non esistono alternative ?  Non crede anche lei che questo luogo  (Via Tasso)  e tanti altri luoghi in cui i nazisti hanno impresso il loro marchio di assassini, non esisterebbe se Chamberlain non avesse sventolato all’aeroporto di Heathtrow, con stolida sicurezza, quel misero pezzo di carta  (nel vero senso della parola, come emerse in seguito)  ottenuto a Monaco, che secondo lui avrebbe dovuto assicurare la pace all’Europa ?  Non crede, insomma, che in certi casi l’opzione militare sia non solo legittima, ma addirittura doverosa ?

Credo che le cose  e gli eventi vadano valutati nelle circostanze e nei contesti sociali, economici e politici in cui si sono prodotti.
Ciò detto, guardando al presente e al futuro, sono portatore di un’aspirazione e di una convinzione più generale. Che cioè la pace sia l’obiettivo più rivoluzionario ed eversivo che possa essere concepito e che il rifiuto delle guerra di cui all’articolo 10 della Costituzione sia precettivo e non programmatico
Quanto alla pace, credo che andrebbe meglio conosciuto il saggio fondamentale di Luigi Sturzo – uno dei più acuti e penetranti sociologi e politologi del XX secolo – dal titolo “La comunità internazionale e il diritto di guerra”. Due i punti base: il primo è che la guerra è una realtà storica e sociale, che potrebbe pertanto iniziare a scomparire dalle prospettive dell’umanità, come la schiavitù, la pena di morte o la poligamia, se se ne dichiarasse l’illegittimità dalla maggior parte delle nazioni; il secondo – e questo è il vero punctum dolens – la necessità di un’autorità internazionale autonoma e forte anche da un punto di vista militare capace di impedire e reprimere i conflitti fra stati. La realtà storica – particolarmente dopo il 1989 – ha mostrato quanto ciò sia difficile perché legato alle politiche dei paesi più potenti. Ma questo non significa che non bisogna impegnarvici. Non po’ essere una giustificazione – su valori fondamentali – che gli avversari siano troppo forti. E’ anzi una ragione in più per intensificare l’attività di conoscenza e documentazione.
Negli anni ’60 uscì un famoso libro “Rapporto segreto da Iron Mountain sulla desiderabilità della pace” del politologo statunitense Hemann Kahn, che mostrava le implicazioni sistemiche della politica degli armamenti atomici, dando nel contempo argomenti ai sostenitori del disarmo nucleare. Alcuni anni fa – in corrispondenza con l’approvazione in Italia di una delle leggi più avanzate per il controllo legale del commercio delle armi, poi abrogata dalle maggioranze di centrodestra  – il sociologo Fabrizio Battistelli, forse l’esperto italiano più autorevole in materia, pubblicò uno studio dal titolo “Armi: un nuovo modello di sviluppo ?” Esiste un organismo, che credo sia da lui diretto, dal nome “Archivio Disarmo”, che pubblica ogni anno un rapporto al riguardo, ma al quale i media non danno alcun risalto: quindi fanno in modo che non esista. Oggi, l’azione di lobbing delle produttrici di armi e di sistemi per la difesa (elettronica e derivati, trasporti, strumentazioni “civili”, ecc.) si impone anche alle forze politiche e sindacali con il ricatto dell’occupazione.  In un contesto di crisi economica e di tagli finanziari, il governo italiano non è stato capace neppure di dilazionare nel futuro l’acquisto dagli USA dei costosissimi caccia bombardieri F35 e ciò la dice abbastanza lunga … La cancelliera Merkel ha tagliato le spese militari per non toccare scuola, cultura ricerca.
  
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N.B.  L'intervista è stata concessa dal Prof. Parisella qualche tempo fa.  Il ritardo nella pubblicazione è attribuibile a motivi tecnici.