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sabato 14 maggio 2016

Helicopter money: John M.Keynes vs Milton Friedman.


In queste settimane si fa un gran parlare di helicopter money, vale a dire l’ipotesi che le banche centrali regalino soldi ai cittadini senza pretendere nulla in cambio. I rumors in tal senso sono diventati così forti che le stesse banche centrali hanno dovuto smentire o ridimensionare le aspettative di azioni così straordinarie. Per la verità Mario Draghi ha aperto timidamente all’idea, che ha definito “molto interessante” anche se pone problemi legali e implementativi. 
Il motivo per cui si è arrivati a questa ipotesi è che i bassi tassi sui rifinanziamenti alle banche, i tassi negativi sulle riserve e i Quantitative Easing paiono non bastare. Anche negli Stati Uniti, dove la ripresa è stata più significativa e la disoccupazione è scesa al 5%, il tasso di crescita è sensibilmente minore di quello precedente la crisi, l’inflazione è bassa, i salari crescono lentamente (almeno di un punto in meno rispetto a quanto sarebbe necessario per spingere l’inflazione al 2%) e la gente è sempre più insoddisfatta . Il Regno Unito non ha fatto meglio, mentre l’Europa ha fatto molto molto peggio, a causa della stretta fiscale imposta dal 2010 in poi alle periferie dell’Eurozona.
L’helicopter money prende il nome da una provocazione di Milton Friedman secondo cui gettare denaro dagli elicotteri aumenterebbe l’inflazione:
Supponiamo adesso che un giorno un elicottero sorvoli questa comunità e lanci 1000 dollari dal cielo, che, ovviamente, verrebbero frettolosamente raccolti dai membri della comunità. Supponiamo inoltre che tutti siano convinti che questo è un evento unico che non sarà mai più ripetuto. (M.Friedman, The Optimum Quantity of Money, 1969)
Il risultato, secondo Friedman, è che questo aumento della moneta genererebbe un aumento della domanda nominale e quindi inflazione. Tuttavia le ipotesi di Friedman sono alquanto restrittive: la gente non deve risparmiare il denaro gettato dall’elicottero e l’economia deve trovarsi al pieno impiego.
Proprio su queste ipotesi insistono i critici dell’helicopter money: in una situazione di incertezza e di sfiducia, se gettassimo soldi da un elicottero, o più semplicemente se le banche centrali accreditassero una certa somma a tutti i cittadini, nulla impedisce che essi risparmino, se non tutto, una buona parte di quanto ricevuto. Oppure che li usino per ripagare i debiti pregressi, senza stimolare consumi e produzione, ben sapendo che l’evento miracoloso sarebbe unico e irripetibile. Ed anche se una parte di questo denaro fluisse nell’economia, esso potrebbe essere diretto all’acquisto di beni importati (quanto con 1000 euro si comprerebbero un nuovo telefonino o un tablet?).
Anche John Maynard Keynes propose qualcosa di simile, ma solo all’apparenza. Scrive Keynes:
Se il Tesoro si mettesse a riempire di biglietti di banca vecchie bottiglie, le sotterrasse ad una profondità adatta in miniere di carbone abbandonate, e queste fossero riempite poi fino alla superficie con i rifiuti delle città, e si lasciasse all’iniziativa privata, secondo i ben noti princìpi del laissez-faire, di scavar fuori di nuovo i biglietti (…), non dovrebbe più esistere disoccupazione; e, tenendo conto degli effetti secondari, il reddito reale e anche la ricchezza in capitale della collettività diverrebbero probabilmente assai maggiori di quanto sono attualmente. (J.M.Keynes, Teoria generale dell’occupazione dell’interesse della moneta, 1936)
L’analogia è con le miniere d’oro. Qui Keynes non propone un mero stimolo monetario attraverso del denaro regalato al pubblico.  Per seppellire e poi riprendere le banconote, infatti, è richiesto del lavoro. Occorre comprare le bottiglie, infilarci le banconote, portarle nelle miniere, riempirle con i rifiuti. Poi, dopo una gara per assegnare i terreni dove sono seppellite le bottiglie, ogni assegnatario dovrà assumere degli operai e procurarsi le attrezzature necessarie a rinvenirle.
In altre parole, qui le banconote sono solo un pretesto per movimentare le risorse produttive, lavoro e capitale, a differenza del denaro gettato dall’elicottero che non richiede nessun lavoro (almeno per come la vedeva Friedman).
Si potrebbe applicare in qualche modo il consiglio di Keynes? Lo stesso economista inglese suggerisce cosa fare subito dopo il paragrafo citato: “Effettivamente sarebbe più sensato costruire case e simili”. Già, basterebbe usare il denaro, preso a prestito o stampato di fresco, poco importa in una situazione come quella attuale, per finanziare lavori pubblici. 
E’ sintomatico che ci si inventi qualsiasi cosa, persino gettare il denaro dal cielo, pur di evitare di dare allo stato l’occasione di dimostrarsi utile, ad esempio costruendo case, strade, scuole ed ospedali. I trattati europei proibiscono esplicitamente il finanziamento monetario della spesa pubblica, ma la proposta dell’helicopter money non è limitata all’eurozona. Il pregiudizio ideologico “tutto fuorché la spesa pubblica” è così diffuso che sono davvero pochi quelli capaci di sfuggirgli.

Helicopter money: la differenza tra Keynes e Friedman, "Keynes Blog", 10-05-16.

lunedì 2 maggio 2016

Identikit del ladro di libri.

I bravi ladri di libri non lasciano tracce, solo mancanze che alla fine dell’anno saranno contabilizzate come ammanchi di magazzino o differenze inventariali, senza poter essere attribuite con certezza a ladrocinio. La scomparsa dei libri potrebbe essere dovuta a errori negli ordini o a scatoloni smarriti o non registrati o dispersi o trafugati. Un altro caso piuttosto comune è causato, semplicemente, da chi in libreria consulta un libro e poi lo deposita in un altro scaffale impedendo al povero libraio di rintracciarlo. La prova che un furto c’è stato è solo la flagranza del reato: gli unici ladri di libri accertati sono quelli che vengono presi, cioè una piccola parte del totale e comunque non i più abili. Se i ladri di libri sono invisibili, però, è anche perché le librerie – le piccole come le grandi, le indipendenti come le catene – non ci tengono particolarmente a parlarne, per timore che l’ammissione dei furti subiti possa incoraggiare altri ladri all’azione.
In mancanza di dati ufficiali, un’indagine empirica permette di stabilire che in una grande libreria i furti vanno dallo 0,4 per cento – a suo tempo dichiarato da Riccardo Cattaneo, ex direttore generale delle librerie Mondadori, che corrispondevano a 80 mila libri all’anno – fino all’1,5 per cento della giacenza media – dato che si ricava da altre ammissioni non ufficiali. In media viene rubato, insomma, un libro su 100. In una delle tre più grandi librerie italiane la merce che manca ogni anno nell’inventario può arrivare anche a diverse decine di migliaia di euro (a cui però bisogna fare la tara di errori di carico di magazzini e libri dispersi sui banchi). Nelle librerie più piccole l’incidenza dei furti è la stessa: ogni settimana scompaiono in media uno o due libri per un totale di una settantina all’anno in una percentuale che è sempre intorno all’1 per cento. Anche se nelle librerie i ladri sono meno attivi di quelli che frequentano i negozi di vestiti o di occhiali da sole, per dire, che costando di più incoraggiano rischi maggiori, il costo dei furti ricade interamente sul libraio – non su autori ed editori – e costituisce un ulteriore vantaggio competitivo di Amazon, a cui nessuno può rubare, nei confronti delle librerie tradizionali.
Quali libri si rubano di più
Giulio Einaudi era convinto che l’attenzione dei ladri per un libro fosse un segno di quella del pubblico. Si racconta che in casa editrice lasciasse le novità in vista, disponibili al prelievo non autorizzato, proprio per testarne il potenziale di vendita. «Un libro rubato è un libro letto», diceva. Il criterio di Einaudi vale fino a un certo punto. Non è del tutto vero, infatti, che i libri più rubati siano quelli che vendono di più. Sono quelli più di moda e forti nel dare identità a chi li possiede. Però dipende anche dal tipo di librerie e dal tipo di ladro. Alla Libreria Minimum Fax di Roma come alla libreria Verso di Milano – librerie piuttosto piccole e frequentate da una clientela attenta alla qualità – i titoli che vanno di più sono le novità di narrativa di cui è bene sapere se si desidera tenersi informati, ma che magari non si ha una gran voglia di leggere o pagare. Quindi in questo periodo libri come Purity di Jonathan Franzen o La scuola cattolica di Edoardo Albinati. (Anche se sono molto grossi)
Nelle librerie più grandi, per esempio alla Feltrinelli Duomo di Milano, vanno molto i testi universitari e i libri più costosi, specialmente i Meridiani, anche perché si trovano in zone più periferiche e, quindi, meno sorvegliate da vigilantes e telecamere. I libri che costano di più sono quelli più rubati anche in un’altra grande libreria come la Hoepli di Milano – che però ha un’offerta meno generalista di quella delle grandi catene. Quindi, libri di grafica e arte – che sono grandi e difficili da fare sparire – o guide, per esempio stranamente quelle di scacchi, in particolare Scacchi For Dummies, pubblicato proprio da Hoepli, o saggi importanti, come Il tardoantico di Rene Pfeilschifter, Einaudi, di cui sono ancora più stranamente state rubate diverse copie. Rubare libri sembra essere, cioè, un piacere riservato soprattutto agli intenditori, a quelli che Vanni Scheiwiller – l’editore della collana di poesia All’insegna del pesce d’oro – definiva «libridinosi». Una libridine, insomma.
Il ladro di libri più «libridinoso» di tutti i si chiama William Jacques, inglese, studi a Cambridge, soprannominato «Tome Raider», arrestato nel 2002 per avere rubato libri antichi nelle migliori biblioteche d’Inghilterra per un valore complessivo stimato per difetto in 1 milione di sterline (più di 1,2 milioni di euro). Il suo primo colpo clamoroso furono i Principia mathematica di Isaac Newton a cui seguirono il Sidereus Nuncius e iDialoghi di Galileo, e i libri di Keplero, Copernico, Malthus e Adam Smith. Ovviamente in edizione originale. L’ultimo arresto di Jacques risale al 2004, quando fu beccato alla British Library di Londra con una barba finta e gli occhiali da sole. Oggi, dopo qualche anno in galera, è interdetto da tutte le biblioteche del Regno Unito.
Il fascino che esercita il furto tra i feticisti del libro è confermato anche dalle classifiche estere dei libri più rubati (si chiamano best-stolen?). Come quella degli autori più saccheggiati alla libreria Barnes&Noble di Union Square, compilata nel 1999 dal critico e scrittore Ron Rosenbaum sul New York Observer: Martin Amis, Paul Auster, Georges Bataille, William S. Burroughs, Italo Calvino, Raymond Chandler, Michel Foucault, Dashiell Hammett, Jack Kerouac e soprattutto – coerentemente con i personaggi dei suoi libri – Charles Bukowski.
Essere rubati dimostra un desiderio. Qualche anno fa la rivista letteraria inglese Granta basò la propria campagna di abbonamenti proprio sulle 10 ragioni per cui era risultata la rivista più rubata d’Inghilterra.
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Tipologie di ladri
Anche sui ladri le informazioni sono piuttosto empiriche. Dalle interviste ai librai emerge una differenza sostanziale, di genere, tra librerie di catene e librerie indipendenti. Nelle grandi librerie, per esempio alla Feltrinelli Duomo, a rubare – cioè a essere presi – sono soprattutto i maschi, divisibili in due grandi categorie: gli studenti che rubano libri universitari e dicono di averlo fatto per mancanza di soldi, e signori in giacca e cravatta, più inclini a prendersi i libri costosi e a giustificarsi dicendo di credere che si pagasse alla (fantomatica) cassa al piano di sopra. In libreria si aggira anche «il serial killer dei Meridiani», un uomo elegante e molto dotato di aplomb, passato alla storia per essere stato preso con la ventiquattr’ore rigonfia dell’opera omnia del poeta modernista americano Wallace Stevens.
Invece l’impressione dei librai di librerie più piccole – per esempio la Verso di Milano – è che a rubare i libri siano prevalentemente donne di ogni età, forse per la comodità di infilarli in borsa. Un piccolo libraio, dietro garanzia di anonimato, racconta un’apparizione: «Qualche giorno fa è entrata in libreria una ragazza bellissima, mora, alta, stivali, la gonna al ginocchio, e un cappello a larghe tese, hai presente Maria Schneider in Ultimo tango? Non riuscivo a non guardarla, anche volendo, mi veniva da sorriderle, si è fatta un giro in libreria e quando è uscita, mi sono reso conto che si era portata via un paio di libri, non mi ricordo neanche quali, guarda, da tanto ci sono rimasto male, anche perché se me li avesse chiesti probabilmente glieli avrei regalati».
Una parte dei furti ha ragioni più professionali. C’è chi ruba libri anche per rivenderli alle bancarelle o su commissione, il cui vero campionato, però, si gioca nel mercato antiquario. In caso di furto cumulato si rischia fermo e denuncia, mentre di norma la scelta per chi è preso a rubare libri è tra pagare la merce o lasciarla dov’era. Recentemente è accaduto a un uomo alla Feltrinelli di Genova e a uno studente arrestato alla Hoepli con 410 euro di libri universitari, e un’altra decina a casa, probabilmente rubati per essere rivenduti in università. Ma sono casi rari. Rubare libri, oggi, sembra essere soprattutto un’attività ricreativa.
L’età dell’oro del furto di libri è passata. Per quanto sopravviva un residuale feticismo, la quantità di libri pubblicati e i prezzi bassi li hanno resi oggetti meno desiderabili e identitari, rimpiazzati da telefonini e scarpe. Si sa per esempio che a Londra, durante i disordini del 2011, gli unici negozi a non essere saccheggiati furono proprio le librerie (con la sola sessista esclusione di Gay’s The Word a Bloomsbury, specializzata in LGBT). L’ultimo rigurgito di centralità rivoluzionaria del libro probabilmente è testimoniato da Steal this book/Ruba questo libro di Abbie Hoffman, pubblicato nel 1971, in cui si teorizzava il furto di libri come atto politico e rivoluzionario. Ma prima che diventasse un simbolo della controcultura, rubare libri è stata un’attività di piccola criminalità come tante altre, assimilabile al rubare biciclette o portafogli sul tram, proprio perché il furto di libri poteva dare da vivere.
stealthisbookcover
Tecniche per rubare
Il primo segno per cui i librai si mettono in allerta è la presenza di zaini e borse. La cosa non riguarda le donne, ovviamente, che la borsa ce l’hanno quasi sempre. Il secondo sono i movimenti: un cliente che si china è più sospetto di uno che limiti al massimo i movimenti. Tutte le librerie concordano sul fatto che la presenza di sorveglianti diminuisce il numero di furti, ma i sorveglianti hanno un costo che non è necessariamente minore, anzi, di quello dei furti. Anche le telecamere funzionano, ma non si possono piazzare ovunque, e nelle librerie piccole ci stanno proprio male. Sono efficaci anche le bande magnetiche infilate tra le pagine o i codici a barre argentati simili ai bollini Siae che le stanno sostituendo, ma è impossibile inserirle in tutti i libri: una libreria piccola ha 10mila titoli – “referenze” – per circa 15mila libri – “pezzi” –, una grande può arrivare a 70mila per 160mila totali. Per i librai il furto, insomma, rappresenta un rischio di esercizio preventivato da tenere sotto controllo, ma impensabile da azzerare.
Dal lato dei ladri, invece, sopravvive anche un’ottica romantica fondata sull’idea che i libri non siano merci come tutte le altre e che rubarli sia meno grave che rubare in generale. Esiste un libro intitolato How to shoplift books/Come rubare libri dell’artista americano David Horvitz, pubblicato in inglese e italiano da una piccola casa editrice veneziana, che elenca 80 modi per farlo. David Horvitz ha dichiarato al Post: «Immagino un giorno di possedere una libreria di soli libri rubati. Ogni libro conterrà la storia di come è arrivato nella mia libreria speciale».
Alcuni dei metodi concepiti da Horvitz:
– Ruba il libro mentre il sole sorge all’orizzonte.

– Vestiti da poliziotto ed esci dal negozio tenendo il libro.
– Indossa un cappello, una maschera, una maglietta a righe e porta con te un sacco con dipinto il simbolo del dollaro. Metti il libro nel sacco ed esci.
– Lega il libro a un cane ed esci dal negozio insieme al cane.
– Libera un cane selvaggio nel negozio. Esci con il libro nel subbuglio.
– Ruba il libro mentre stai piangendo.
– Esci con il libro in equilibrio sulla testa.
– Esci camminando con il libro legato con un elastico sotto la scarpa.
– Ruba il libro mentre il sole sta tramontando.
– Ruba il libro una pagina per volta da differenti negozi.

(Forse è quello che ha in testa il cosiddetto «killer delle pagine» che da qualche tempo imperversa alla Feltrinelli di Milano strappando libri qua e là, con una certa predilezione per quelli di poesia).
horvitz
Antichi rimedi
Nei tempi andati, quando i libri erano cose preziose e rubarli era un po’ come rubare diamanti, c’era un rimedio radicale: incatenarli. In Europa esistono ancora biblioteche – le più famose sono in Inghilterra, nella cattedrale di Wenchoster, nel Suffolk, e quella di Hereford, vicino a Gloucester –  dove i libri sono assicurati ai tavoli e agli scaffali da pesanti catene. Potrebbe essere un’idea da aggiornare alla modernità: si può immaginare una libreria con un unico libro per tipo disponibile alla consultazione e tutti gli altri custoditi sotto vetro, un po’ come le bottiglie di barolo e champagne nei supermercati. Un accorgimento arredativo che forse li renderebbe più desiderabili.
The Newly Cleaned And Extremely Rare Chained Library At Hereford Cathedral
Biblioteca della cattedrale di Hereford, Inghilterra

Il furto di libri è sempre stato un flagello alquanto diffuso tra i conoscitori, che un tempo erano soprattutto chierici. Papa Pio V, quello santo, che scomunicò Elisabetta I d’Inghilterra e definì l’omosessualità «l’esecrabile vizio libidinoso contro natura», ebbe a che fare anche con l’esecrabile vizio libridinoso: il 14 novembre 1568 emanò una bolla che scomunicava chiunque avesse sottratto un libro ai monasteri. Non è un caso, forse, che fu lui a istituire la «Congregazione per la riforma dell’Indice dei Libri Proibiti», con il compito di aggiornare la lista dei titoli eretici – e degli autori – da non fare leggere ed eventualmente bruciare.
PIOV
San papa Pio V (Antonio Ghislieri) ritratto da El Greco con un librino in mano (The Yorck Project: 10.000 Meisterwerke der Malerei. DVD-ROM, 2002. ISBN 3936122202. Distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH)
La condanna di Pio V non fu sufficiente a scoraggiare i chierici perché un’altra bolla di scomunica fu espostaanche all’Università di Salamanca.
scomunica
Ma i furti non diminuirono. Nel 1752 fu papa Benedetto XIV a riscomunicare i ladri di libri, senza evidentemente eliminare il problema.
I libri ai ladri sono sempre piaciuti, e visto che le bolle papali non sortivano effetti, ci si provò con le maledizioni. Alberto Manguel in Una storia della lettura ne cita una presente nella biblioteca del Monastero San Pedro de las puelles di Barcellona: «A colui che ruba un libro, o lo sottrae senza poi restituirlo: che le sue mani si cangino in serpente, e lo stritolino nelle loro spire. Che egli sia colpito da paralisi, e che tutte le sue membra esplodano. Che si strugga nelle pene invocando la misericordia, e che la sua agonia non cessi fino a che il suo corpo non sarà dissolto. Che i tarli gli rosicchino le viscere, come il verme che mai non muore. E, quando infine arriverà il momento del giudizio, che le fiamme dell’Inferno lo consumino in eterno».
Ma la lotta contro il ladrocinio di libri – come sa chiunque ne abbia prestati senza rivederli mai più – non era appannaggio di biblioteche e istituzioni, era un pericolo avvertito da chiunque ne possedesse. In Notes on Bibliokleptomania (New York, 1944) Lawrence S. Thompson racconta che spesso le maledizioni erano scritte direttamente sul libri dai proprietari medesimi. Questa è stampigliata su un volume di epoca rinascimentale: «Vedi qui scritto il nome del mio padrone: guardati dunque dal rubarmi; perché se lo fai il tuo delitto sarà da me punito senza fallo. Guarda qui sotto la figura di un ladro impiccato; pensaci bene quindi e fermati in tempo, se non vuoi pendere da una forca».
Ma erano cose da Medioevo, appunto.
Giacomo Papi, Chi ruba nelle librerie, "Il Post", 11-04-16.