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sabato 27 dicembre 2014

Criticare il Cremlino equivale a odiare la Russia ?

Le tensioni che si trova ad attraversare l’Europa hanno l’effetto di polarizzare l’opinione pubblica, eccitata da parolieri e opportunisti politici, tribuni della plebe ed economisti tascabili. Da più di un anno ormai il dibattito pubblico si è caratterizzato dal ritorno alle antinomie del secolo scorso, con il mondo diviso tra buoni e cattivi, e con il recupero di definizioni antiche, come “comunismo”, “fascismo” et similia, utilizzate per descrivere realtà affatto diverse.
Per chi fa informazione tutti i giorni, lo scontro con queste dittature del pensiero è inevitabile. E il rischio di soccomberne è grande. Le chiamo “dittature” poiché le armi utilizzate sono quelle della delegittimazione dell’interlocutore, proprie di qualsiasi volontà omologatrice, e perché spesso chi le propaganda non fa che ripetere “sotto dettatura” un copione scritto da altri, imbonitori o tribuni della plebe. Si tratta, insomma, di dittature in franchising.
Alcune di queste ci riguardano da vicino, e ritengo necessario fare chiarezza su quella che è la nostra posizione in merito.
Oggi la catena in franchinsing più diffusa è quella che riguarda la Russia, il suo ruolo nel mondo e in Europa, i suoi diritti e le sue colpe. Così, come avviene su questo giornale, se qualcuno si permette di essere critico verso la politica estera del Cremlino è accusato di antirussismo. Viceversa, se è critico verso gli avversari del Cremlino, è filorusso. A interessarci di più è l’accusa di “anti-russismo” che soffriamo in modo più profondo: ci sono tra i nostri autori alcuni giovani studiosi di russistica, c’è chi è nato russofono prima di trasferirsi in Italia, e c’è chi semplicemente non apprezza che vengano apposte etichette. Quindi lo diciamo apertamente, a scanso di equivoci: la critica verso il putinismo, che certo ci contraddistingue come testata, non è in alcun modo un rifiuto della Russia, della sua cultura, della sua gente, del suo ruolo politico nel mondo. E dirò di più. Il putinismo, dal nostro punto di vista, è stato utile alla Russia finché ha fatto gli interessi del paese.
Essere critici verso il Cremlino, ovvero verso la leadership politica della Russia di oggi, non significa in alcun modo essere “antirussi”, poiché antirussismo è l’atteggiamento di chi rifiuta o stigmatizza la cultura di un popolo – quello russo – che tanto ha dato all’umanità. Nessuno che abbia letto Guerra e Pace può essere antirusso. E qui lo abbiamo letto. Siamo critici verso il putinismo anche perché partiamo da un pregiudizio politico, quello democratico nell’accezione più radicale, quindi contrario alle democrazia simulate, violente, repressive, o semplicemente formali ma che sono foriere di disuguaglianze e discriminazioni. Ecco quindi che facciamo outing, se già non si era capito, della nostra appartenenza. Noi apparteniamo profondamente alla carta costituzionale del nostro paese, paradigma di democrazia o comunque ottimo esempio della stessa. Detto ciò, siamo realisti, e crediamo di dover valutare i fenomeni politici non solo con la nostra lente, ma anche mettendoci nei panni altrui. Ed è per questo che in passato abbiamo ritenuto che il putinismo fosse un fatto positivo per la Russia, malgrado esso non coincida in nulla con il nostro “pregiudizio democratico”. Poiché il pregiudizio non deve accecare ma essere una bussola, un insieme di valori e non un pacchetto all-inclusive di valutazioni buone ad ogni utilizzo.
E dunque sì, il putinismo ha sollevato la Russia dal fango in cui era stata gettata dopo la caduta dell’Urss da parte dei nuovi “partner” occidentali, che hanno favorito liberalizzazioni sfrenate e un capitalismo predatorio a tutto svantaggio della popolazione. La nostra critica è quindi rivolta alla parabola calante del putinismoin cerca di consensi attraverso la guerra (ne abbiamo parlato qui).
Più in generale esistono altre etichette, apposte in modo irriflesso su qualsiasi espressione di dissenso o voce fuori dal coro, che sono il prodotto di ragionamenti settari: essere critici, ad esempio, verso la Russia non significa automaticamente essere a supporto della causa atlantica, o dell’attuale governo di Kiev. La libertà della posizione terza, che si smarca dagli slogan e dalle tifoserie, è quanto ogni cittadino dovrebbe difendere per se stesso e per gli altri. Così come nel caso dell’europeismo – altro elemento che ci contraddistingue – che non è automaticamente un sostegno alle istituzioni di Bruxelles o alle loro politiche economiche. Oggi forse essere europeisti è volere un’Europa diversa, essere quindi critici ma senza mischiarsi alla folta schiera dei “rottamatori”. Al nostro interno esistono opinioni diverse anche in merito a questo tema, tuttavia esse convivono dando luogo a una molteplicità di punti di vista che – per quanto possibile – trovano espressione su questo giornale.
Un giornale che si contraddice, dove potete trovare articoli a favore o contro una data questione. Un giornale che insieme al fatto cerca di dare spazio all’opinione nella convinzione che maggiore è il dibattito interno, e quindi molteplici gli esiti, tanto più grande è la possibilità del lettore di formarsi una opinione propria. Quello che da sempre cerchiamo di fare è di non “consolare”il lettore, cioè di non fargli trovare quello che si aspetta e che lo confermi nella propria visione del mondo. Per quello ci sono l’Unità o laPadania (si citano volutamente due giornali che non ci sono più). Quando questo modo di lavorare funziona, è il lettore che confonde noi proponendoci punti di vista che non avevamo considerato e che ci aiutano a crescere.
Ecco perché riteniamo di dover dire che non siamo “anti” qualcosa, perché è un atteggiamento intellettuale che non ci appartiene e che non crediamo utile alla funzione che vorremmo svolgere. Lasciamo il dovere di essere “anti” a tempi più difficili, che speriamo non vengano mai, nei quali non sarà con l’intelletto che ci si potrà opporre ma con l’azione. Finché siamo in tempo, tuttavia, è meglio ragionare insieme evitando settarismi e facili etichette.