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lunedì 18 giugno 2012

Il tempo della sfida. Israele e Iran ad un passo dalla guerra. Intervista a Giulio Meotti.



di  A. Lalomia


Il programma nucleare iraniano rappresenta una minaccia senza precedenti per Israele, una minaccia che si accompagna ad una lunga serie di discorsi e di comportamenti ostili da parte di Teheran, a partire dalla negazione della Shoah.
A fronte di tale pericolo, la comunità internazionale ha deciso di imporre all’Iran delle sanzioni, che in realtà non gli hanno impedito  -e non gli impediranno-  di proseguire nella costruzione delle atomiche.  A questo punto, per Israele, la scelta sarebbe obbligata: uno strike preventivo  (come già accaduto nel 1982 e nel 2007)  o la catastrofe.  Questa opzione ha ricevuto nuovo impulso dall'ingresso, nella compagine governativa, di Kadima  (v. oltre), una mossa che annulla il ricorso alle elezioni anticipate e che garantirà a Netanyahu la maggioranza assoluta in Parlamento  (94 dei 120 deputati della Knesset).  
La Knesset,
il Parlamento monocamerale di Israele
D'altronde, lo stallo in cui versano i negoziati con l'Iran, fa capire che Teheran non ha alcuna intenzione di rinunciare al progetto di un arsenale atomico.  E non ha intenzione anche perché ha capito perfettamente che diversi leader occidentali  -a partire dai vertici della politica estera comunitaria-  non vogliono rischiare nella difesa di un Paese, Israele, che secondo loro non è poi così importante.  A quanto pare, la svendita di un intero stato nella Conferenza di Monaco del 1938 non è servita a nulla. 
Per discutere di questo scenario ho contattato quello che considero uno dei più competenti e lucidi esperti di Israele e del Medio Oriente, vale a dire Giulio Meotti, autore di Countdown, un prezioso e-book che si può scaricare direttamente dal sito del Fogliodove si occupa appunto di questi temi.
Oltre che sul Foglio, Meotti scrive su diverse e prestigiose testate giornalistiche in lingua inglese, a partire dal WSJ, ed è autore tra l’altro di  Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d'IsraeleLindau 2009 1 un’inchiesta sulle vittime israeliane del terrorismo, da raccomandare vivamente a chi sproloquia contro Israele e a chi crede di sapere tutto su questo Paese.  Il volume, nel 2011, ha vinto il Premio Capalbio, è stato tradotto in vari paesi 2  e  Jewis Ideas Daily  lo ha inserito fra “i migliori libri ebraici del 2010”.  Il Presidente del Parlamento israeliano, Reuven Rivlin, ha dichiarato che si tratta di  “un lavoro impressionante che riempie i vuoti nell’opinione pubblica internazionale su Israele”.
Uno degli aspetti più significativi di Countdown è l’enorme mole di documentazione che Meotti è riuscito a raccogliere, soprattutto attraverso le interviste ad alti esponenti delle IDF, dei servizi segreti, a responsabili ed esperti comunque legati alla sicurezza di Israele  (oltre ovviamente a giornalisti e a studiosi di varie discipline).
Postazione di missili palestinesi
pronti per essere lanciati su Israele
Questa straordinaria trasparenza verso l’esterno, questa disponibilità a fornire notizie e dati anche sensibili rappresentano qualcosa di strabiliante, quando si pensi che Israele vive da decenni sotto l’incubo di attacchi terroristici e di aggressioni militari da parte di paesi che non gli riconoscono neppure il diritto di esistere.
Senza contare che in altre regioni  (a cominciare dall’Italia), sarebbe molto difficile, se non impossibile, anche soltanto avvicinare figure di così alto rango  (soprattutto dei servizi),  che comunque sarebbero vincolate al più rigoroso riserbo.
Vorrei chiudere questa breve introduzione con un auspicio: e cioè che Meotti si sbagli quando afferma che per gli ebrei non c’è più posto in Europa.  Mi auguro vivamente che non sia così, perché altrimenti vorrebbe dire che gli attuali responsabili politici, ancora una volta, non hanno capito nulla del passato.  Se si avverasse la sua profezia, infatti, il nostro continente verrebbe privato di quella linfa vitale che ne ha permesso finora il primato in moltissimi campi.  Costringere gli ebrei ad abbandonare l’Europa equivarrebbe ad un suo brusco declassamento, alla sua emarginazione.  
Spero che i responsabili politici dell’UE  e dei singoli paesi che ne fanno parte se ne rendano conto, altrimenti saranno chiamati a rispondere della loro ignavia  -o, peggio, della loro connivenza con il diffuso antisemitismo che alberga nel continente europeo-  davanti al tribunale della Storia.  
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Note

1  Qui per una recensione particolarmente acuta. 
V. anche Dialogo con Giulio Meotti, di Guido Ceronetti. 
Per altre recensioni altrettanto qualificate, cfr. la scheda del libro sul sito della Casa Editrice Lindau.  V. anche il sito  e  il blog  dell’A. .


2  Negli Stati Uniti, il volume è stato pubblicato per la Encounter Books di New York, con il titolo A New Shoah. The Untold Story of Israel’s Victims of Terrorism .


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 Fonte: Limes
1.  In un' intervista di qualche settimana fa a Tempi , lei ha detto che ha scritto il libro “per preparare i lettori su un attacco che potrebbe avvenire a breve, dall'altra per informarli sulla guerra più lunga della storia del Medio Oriente, mai dichiarata e che sta per arrivare al suo epilogo. Israele nel mondo è molto sola e non ha appoggi salvo gli Usa. Certo i paesi arabi sarebbero molto contenti di questo attacco: si libererebbero di un paese scomodo come l'Iran degli ayatollah senza fare il lavoro sporco.”.  A questo punto sorgono spontanee alcune domande preliminari:

a. Posto che Israele ha il pieno diritto all’autodifesa, ma che Obama non sembra disposto a sostenere uno strike preventivo in un anno cruciale come questo, di elezioni presidenziali, è possibile avviare un’impresa di tale portata senza l’aiuto degli Stati Uniti?  Nell’intervista si ricorda che potrebbero esserci problemi per i rifornimenti in volo degli aerei, così come per le bombe in grado di distruggere il bunker Fardo, che rappresenta il centro nevralgico del programma nucleare iraniano.  D’altronde, anche gli iraniani hanno posto attorno ai loro target avanzati sistemi di difesa antiaerea, a partire dalle batterie di missili antimissili.  Tutto questo costituisce per Israele rischi non indifferenti.  Il punto centrale, comunque, per alcuni esperti, sarebbe la distanza che separa Israele dagli obiettivi iraniani. 

 F 35  (JAF)
Israele ha già agito senza gli Stati Uniti in attacchi preventivi, nel 1981 contro il reattore di Osirak di Saddam Hussein e nel 2007 contro quello siriano. Il problema non è la distanza dai siti iraniani, l'esercito sa il fatto suo, in gioco qui c'è la volontà israeliana di tenere nelle proprie mani la sopravvivenza. Non è detto che questo avvenga, il mondo sta agendo per inibire l’autodeterminazione dello stato ebraico e ipotecare il suo futuro.  È come con la Cecoslovacchia nel 1938.


b.  Dando per scontato il  “no”  del coinvolgimento diretto degli USA, sempre per motivi elettorali, è possibile che Obama metta comunque a disposizione degli aerei con la stella di David non solo le informazioni raccolte con la rete di satelliti puntati sull’Iran  (anche Israele ha i suoi satelliti spia, ma è evidente che quelli americani offrono una maggiore copertura), ma le stesse basi americane nella regione, a partire da quelle nel Golfo Persico, in Iraq e in Afghanistan, o addirittura le portaerei che si trovano nel Mare Arabico e in altre aree dell’Oceano Indiano ?  Un conto è un attacco all’Iran che parta dal territorio israeliano  -attacco che costringerebbe ad entrare nello spazio aereo di paesi arabi e a coprire migliaia di km prima di arrivare sugli obiettivi-  e un altro conto è sferrare l’offensiva da poche centinaia di km dai target.
 Fonte: Limes


Israele può neutralizzare il programma atomico iraniano con i missili Jericho, con i sommergibili acquistati dalla Germania o dal cielo, con i suoi caccia. Un attacco preventivo di Gerusalemme non distruggerebbe del tutto i piani di Teheran, li rimanderebbe per due, tre anni. Ma è comunque tantissimo. Farebbe capire agli ayatollah che non passeranno.

c.  Nel caso in cui Obama rifiutasse anche un sostegno logistico come quello evidenziato al punto “b” , esisterebbe secondo lei la possibilità di un accordo tra Israele e qualche paese arabo del Golfo per ottenere il permesso di utilizzare le basi da cui far decollare i propri aerei ?

Gli stati arabi, specie l’Arabia Saudita, hanno tutto l’interesse che Teheran non si doti dell’atomica. Resta da vedere se vorranno dare una mano agli ebrei, difficile prevedere qualcosa, non faranno nulla apertamente, ma forse segretamente.


d.  Israele dispone di ordigni atomici  (tattici e strategici)  e personalmente non trovo motivi per biasimare tale scelta  (con buona pace di  Günther Grass), considerato che dal momento stesso della sua nascita  (1948)  è in guerra perenne: è l’unico stato al mondo che lotta giorno dopo giorno per la sua stessa sopravvivenza  (lei ricorda che dal 1948 sono caduti su Israele 60.000 missili e altri 200.000 possono essere lanciati contro Tel Aviv). 
 Shimon Peres
La domanda è:  nel caso in cui lo strike preventivo scatenasse una deflagrazione generale nell’area, con aggressioni simultanee verso Gerusalemme da parte di più entità, e gli Stati Uniti si dimostrassero incerti e lenti nel sostenere Israele, questi ordigni verrebbero utilizzati ?  E d’altronde, visto che il sito principale di tutto il progetto atomico iraniano si trova ad oltre 50 m di profondità, mentre le bombe convenzionali non riescono ad andare oltre i 20 m, l’opzione atomica sembrerebbe inevitabile anche in questo caso, come avrebbe fatto capire lo stesso Capo di Stato Shimon Peres lo scorso anno sul Canale 2 della TV israeliana. 

Sì, Israele sarebbe pronto a usare armi atomiche se la sua sopravvivenza fosse in pericolo. Per questo Teheran non deve avere la bomba, sarebbe per loro irresistibile, ci sarebbe davvero il rischio di una conflagrazione nucleare.


      e.  È possibile che gli iraniani non si rendano conto che un attacco nucleare  –ma anche biologico e chimico (NBC)-  contro Israele, ammesso che riesca a colpire gli obiettivi, innescherebbe comunque una risposta immediata sia degli Israeliani che degli Stati Uniti e di altri paesi alleati degli USA ?  Lei riporta le valutazioni di esperti secondo cui l’Iran non è più un avversario razionale, ma è pronto a subire colpi letali, pur di annientare Israele.  L’Iran, insomma, sarebbe diventato ormai un paese suicida e il “Progetto Daniele”, da lei ricordato, dovrebbe far fronte a questa devastante irrazionalità da parte di un intero stato, appunto con un attacco preventivo.  Ma è possibile che non ci sia nessuno, all’interno dell’Iran, in grado di fermare questa folle corsa verso l’autodistruzione ?  Le notizie sui contrasti interni al regime  (p.e.: Khamenei vs Ahmadinejad)  non vanno prese sul serio ?  Al di là di questo, vorrei comunque chiederle se esiste un patto formale in cui gli Stati Uniti si impegnano a schierarsi a fianco di Israele in caso di attacco esterno.

Gli Stati Uniti in generale, non so Obama, saranno al fianco di Israele se attaccato.  Il problema qui è che Israele vorrebbe l’America al suo fianco anche in un attacco preventivo, cosa che non succederà, almeno per adesso. Non con Obama se viene rieletto.

  

2.   Le IDF stanno schierando batterie di missili Patriot nella zona di Haifa.  È una notizia a cui attribuire un significato particolare ?  Tanto più che, come lei ricorda più volte nel libro, Haifa è senz’altro uno degli obiettivi primari della rappresaglia iraniana contro un eventuale strike.  Secondo quanto lei riporta, in caso di conflitto, su Haifa pioveranno 12.000 missili.

Israele sarà travolto dai missili, ma si stimano ‘soltanto’ 500 morti, pochi in generale, tanti per lo stato ebraico. Israele ha i mezzi per superare la bufera. L’unica incognita sono le armi chimiche, i siriani ne sono pieni, potrebbero passarle a Hezbollah; gli iraniani hanno certamente dei gas, specie dopo la guerra con Saddam. Insomma non è chiaro fino a dove si possano spingere i terroristi islamici. 


3.  Lei riferisce che da tempo i servizi segreti israeliani stanno portando avanti una discreta ma sistematica opera di sabotaggio del programma nucleare iraniano e di neutralizzazione di scienziati coinvolti nel programma stesso, ritardandone in modo significativo lo sviluppo.  Come mai non si dà la priorità a questi metodi,  piuttosto che puntare sull’opzione militare, che, ancorché pienamente legittima, sarebbe comunque molto rischiosa anche per Israele, soprattutto senza l’appoggio diretto degli Stati Uniti ?  Come mai il Mossad non aumenta le risorse per l’Iran  (già ora, comunque, non trascurabili, come lei precisa: il 40 % dei fondi) ?  L’intelligence israeliana  -lei lo ricorda opportunamente-  viene considerata tra le più qualificate del mondo, anche se ha pagato un tributo molto alto alla causa  (400 vittime)  e riesce ad infiltrare i propri agenti speciali anche in Iran.  D’altronde, l’ex capo del Mossad, Meir Dagan, 
Meir Dagan
giudicato come il più valido direttore della centrale dopo Isser Harel  (il mitico super-agente che riuscì ad arrestare Eichmann),  si è dichiarato pubblicamente contrario allo strike, perché vuole avere la piena certezza del sostegno USA.  (Per inciso, questo dato conferma ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, che Israele è un grande Paese democratico, in cui anche chi, in altri stati, sarebbe costretto a tacere dalle convenienze o da ordini superiori, può esprimere senza censure le sue idee.)  Eppure, come lei ricorda, Dagan viene ritenuto ancora più duro di Netanyahu.  La domanda è: in che misura le parole di Dagan saranno prese in considerazione, visto che, invece, altri capi dei servizi sembrano insistere sulla necessità di muoversi  al più presto, anche senza l’aiuto degli USA ?

C’è sempre stato un conflitto fra i leader israeliani e il Mossad.  Quando Begin distrusse Osirak aveva contro il servizio di intelligence. È  una vecchia storia, c’è di mezzo la politica spesso.


Benjamin Netanyahu e Obama durante
l'incontro del 5-03-12 alla Casa Bianca
4.  Sempre nell’intervista a  Tempi, lei afferma che “Tra l'attuale amministrazione israeliana, dopo il pasticcio sugli insediamenti, e quella americana c'è un vero e proprio gelo da almeno due anni.”.   Eppure, nell’incontro del 5-03-12 alla Casa Bianca, Obama ha assicurato che gli Stati Uniti sosterranno sempre Israele in materia di sicurezza, in quanto si tratta  “di un obbligo non solo rispetto ai nostri mutui interessi su questo tema, ma anche perché ci basiamo su una condivisione di valori e su un’incredibilmente stretta correlazione fra i nostri rispettivi popoli”.   In quell’occasione, il Presidente Shimon Peres,  avrebbe detto che secondo lui Obama era il presidente più filo-israeliano nell’intera storia delle relazioni tra i due paesi.  Ma a parte queste dichiarazioni  (che potrebbero essere anche di circostanza), non ritiene che i rapporti tra i due paesi si fondino su vincoli ancora molto solidi, grazie anche a quelle personalità (anche non ebraiche)  particolarmente influenti nel mondo americano che Obama non può certo far finta di ignorare ?  D’altronde, malgrado la sua politica a volte un po’ ondivaga, Obama ha autorizzato la vendita di materiale bellico ad Israele.  Se vuole avere i voti della comunità ebraica americana, l’attuale presidente non può certo assumere posizioni contrarie ad Israele.



Una volta rieletto a novembre, Obama non avrà più bisogno degli ebrei. Avremo quindi una amministrazione ancora più lontana da Israele. Per questo Netanyahu teme che dopo novembre la finestra per un attacco si chiuda. Saranno gli Stati Uniti a gestire la questione iraniana. 


5.  Come reagirebbe l’opinione pubblica israeliana ad uno strike preventivo ? Secondo alcuni sondaggi la maggioranza della popolazione lo considera inevitabile.  Può confermare ?  E gli intellettuali ?  E inoltre: si può dire che a livello politico esiste un sostanziale consenso, indipendentemente dal partito di appartenenza ?  Infine: il cinema israeliano ha prodotto altri filmati analoghi a The last day, del regista israeliano Ronen Barany, sulle conseguenze di un attacco nucleare e comunque non convenzionale al Paese ?

La maggioranza degli israeliani vorrebbe uno strike con gli americani, solo un terzo è a favore dell’azione unilaterale di Gerusalemme. Hanno il timore forte di un grande isolamento internazionale. Ma in ogni caso saranno al fianco del loro primo ministro se dovesse decidere per l’attacco.


6.  Lei fornisce un quadro molto dettagliato della sofisticatissima rete di avvistamenti, di sirene (ben 3.000)  e di rifugi che Israele ha predisposto su buona parte del territorio nazionale per evitare al massimo le vittime di un  eventuale attacco iraniano. Solo a Tel Aviv  (dove si trova più del 55 % della popolazione israeliana), si contano 240 rifugi.  
Che grado di sicurezza offrirebbe, in caso di attacco missilistico, questo apparato ?  La stima, che lei fa, di 500 vittime tra la popolazione israeliana, è ragionevole, considerato che, secondo le sue fonti, almeno la metà della popolazione è ancora priva della nuova maschera antigas e che basterebbero 100 g di gas mostarda per fare 500 vittime ?  E inoltre: si svolgono esercitazioni, a livello locale e nazionale, per cercare di preparare il Paese ad un attacco da parte dell’Iran e dei suoi alleati ?  Nelle scuole, sono previsti progetti specifici al riguardo ?

Parte della popolazione non ha la maschera antigas, non si può far fronte a un 100 per cento di protezione, è una guerra che nessun paese nella storia ha mai affrontato, quella in cui ogni casa, ristorante, asilo nido, è preso d’assalto. In parte avvenne già con la seconda intifada. Israele cercherà di pagare il prezzo più basso possibile. 


7.  Contrariamente al blitz del 7 giugno 1981 contro il reattore nucleare iracheno di Osirak  (condotto peraltro, senza neanche aver avvisato Reagan, il che segnò  il rodaggio della ‘dottrina Begin’)  e a quello contro la Siria del 2007, che non produssero particolari reazioni nel mondo arabo  (a parte ovviamente gli slogan di rito), questa volta, un eventuale bombardamento preventivo scatenerebbe la rappresaglia non soltanto dell’Iran, ma di tutto il terrorismo di matrice fondamentalista  (o che comunque usa la religione per nascondere il suo odio antisemita), peraltro alimentato dallo stesso Iran.  Verrebbero colpiti obiettivi ebraici  (ma non solo)  in ogni parte del mondo, a partire ovviamente da Israele.  Cerchiamo di fare qualche calcolo: si stima che la popolazione ebraica, a livello mondiale, sia tra i quattordici e i quindici milioni di unità, di cui circa il 40 %  residente in Israele  (più di tre milioni soltanto a Tel Aviv).  A parte questo Paese, quali sarebbero gli stati più a rischio di attentati terroristici  (del tipo di quello compiuto a Tolosa, ma anche di quello che cercava di attuare Mohamed Jarmoune, il ventenne marocchino arrestato qualche settimana fa dalla Digos a Brescia con l’accusa di voler far saltare in aria la sinagoga di Milano) ?


Non è certo che Hezbollah e Hamas vorranno aprire un altro conflitto con Israele.  Nulla è scritto o certo.  Quello che senz’altro si vedrà è una ondata di antisemitismo nel mondo, uno stato ebraico ancora più solo e isolato, la delegittimazione alle Nazioni Unite, attentati forse nella diaspora. Ma di nuovo, sono solo illazioni.


8.  È realistico pensare al fatto che gli iraniani puntino a scatenare una nuova Intifada per cercare di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale dal loro progetto atomico ?

Gli iraniani hanno ucciso decine di ebrei a Buenos Aires nel 1992 e nel 1994, sono pronti a tutto, tutto.


9.  Nel suo libro lei presenta Netanyahu come una persona quasi ossessionata da un nuovo Olocausto. L’Amalek del XXI secolo sarebbe l’Iran, che tenterà, così come aveva cercato di fare Hitler, di annientare l’intero popolo ebraico. E Netanyahu, mi corregga se sbaglio, vuole essere il nuovo Giosuè che uccide l’Amalek di questo secolo.  Ha fissato anche la data, cioè quest’anno, che per una strano capriccio della Storia, coincide con il 50° anniversario dell’esecuzione di Adolf Eichmann, dopo un processo durato ben otto mesi e un ulteriore periodo di detenzione di più di cinque mesi  (con buona pace di quanti blaterano contro Israele).
Benjamin Netanyahu accoglie
Gilad Shalit dopo la sua liberazione.
Quanti sono, secondo lei, in Israele, a pensarla come il premier ?  In ogni caso, l’attuale primo ministro l’anno scorso ha accettato la richiesta di consegnare un numero altissimo di terroristi detenuti  (alcuni dei quali responsabili di vere e proprie stragi), pur di portare a casa Gilad Shalit.  Segno che è disposto anche a pesanti compromessi, per il bene del suo
popolo.  D’altronde, lo stesso premier ha detto più volte che il problema iraniano si potrebbe considerare risolto, se Teheran bloccasse il progetto e autorizzasse le ispezioni da parte di autorità internazionali.
 Benjamin Netanyahu
con il padre Benzion, illustre medievista


Netanyahu ha una particolare visione che gli deriva dal padre, appena scomparso. Ma la maggioranza del paese lo prende sul serio quando evoca l’olocausto.  Questa volta gli ebrei non si lasceranno mandare come pecore al macello.

10.  I rapporti tra Turchia e Israele, che fino a qualche anno fa sembravano armonici  (tanto che si parlava addirittura di una futura alleanza militare tra i due stati), si sono deteriorati molto, da quando gli islamici sono andati al potere.  Ritiene che un eventuale riavvicinamento tra i due paesi potrebbe far desistere l’Iran nel proseguire il progetto di costruzione delle atomiche ?  Questo, comunque, richiederebbe un cambio al vertice del regime, visto che l’attuale primo ministro Erdogan figura al secondo posto della lista 2011 Top Ten Anti-Israel/Anti-Semitic Slurs  stilata dal Simon Wiesenthal Center.

La Turchia è persa.


11.  Un minuto dopo la notizia dello strike preventivo, l’ONU condannerebbe Israele per quanto ha fatto.  Questo la preoccupa ?

L’ONU già oggi è un’istanza antisemita e del tutto screditata. Non mi preoccupa affatto. 


12.  In un post del 30 marzo 2012 sul suo blog  (Quando finirà il conflitto arabo-israeliano)  lei scrive:  “Il conflitto arabo-israeliano non finirà con i "due stati per due popoli", ovvero con la nascita di uno stato arabo e l'evacuazione di 500mila ebrei che oggi vivono in Giudea e Samaria. Il conflitto si basa sulla guerra del 1948, ovvero sull'esistenza stessa di uno stato ebraico, non sulla guerra del 1967.  L'Olp, che rappresenterebbe l'ala "moderata" dei palestinesi, ha una costituency legata a quella guerra di settant'anni fa. Abu Mazen è nato a Safed, in Galilea. Il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, è nato ad Ashkelon. Sempre da Safed viene Nabil Shaath, il negoziatore. L'ex capo di Hamas, Abdel Rantisi, veniva da Jaffa, a due passi da Tel Aviv. Il conflitto finirà quando gli ebrei decideranno di tornare a Varsavia e ricostruire il ghetto. In caso contrario, si tratterà di "gestire il conflitto".”   Rievocare il ghetto di Varsavia è una scelta molto forte, drammatica direi, perché sappiamo tutti  (a parte i negazionisti …)  com’è finita.  Resta però il senso dell’ultima frase.  Vuol dire che sul problema palestinese non sono possibili ulteriori compromessi, perché altrimenti i palestinesi ne approfitterebbero per recare danni ad Israele ?
 Ariel Sharon
Eppure, in base almeno a quanto si sa, a Gaza parecchi palestinesi si oppongono allo strapotere e alle violenze di Hamas contro di loro. Ciò significa forse che non tutti i palestinesi sono uguali, che almeno con alcuni di loro si può dialogare, si può cercare un accordo.  Non era questa, in fondo,  la tesi di Ariel Sharon, considerato un falco irriducibile e poi convinto della necessità di tentare una qualche forma di conciliazione  con i palestinesi  ‘di buona volontà’  (anche se poi a Gaza le cose sono andate come sono andate) ?  Sono troppo ottimista ?

Il conflitto con i palestinesi non ha soluzione, almeno non ora. Sono due narrative opposte, inconciliabili. Se esiste Israele non può esistere uno stato palestinese a dieci chilometri da Tel Aviv, e viceversa. Si tratta di gestire il conflitto, rendere facile la vita della gente, minimizzare i danni. Politicamente la questione palestinese è il cavallo di Troia usato per distruggere Israele. 


13.  Come si comporterebbe, secondo lei, Ariel Sharon nell’attuale crisi con l’Iran ?

Come Netanyahu.


14.  Nella faccenda della deplorevole  gaffe della signora Ashton, mi ha colpito particolarmente il fatto che l’opposizione israeliana ha espresso giudizi forse ancora più duri di quelli formulati dal governo. Per dire: Tizpi Livni  (l’ex ministro degli esteri e già presidente di Kadima, il partito fondato da Sharon che ha ottenuto la maggioranza relativa alle ultime elezioni politiche israeliane del 2009, sostenitrice della teoria  dei  'due stati’  e di concessioni territoriali ai palestinesi in cambio della pace)  ha chiesto né più né meno le dimissioni dell’Alto Commissario. Come si deve interpretare questa maggiore durezza ?

Tzipi Livni è stata una delle politiche israeliane più ciniche nella recente storia dello stato ebraico.



15.  Malgrado le ‘cadute di stile’ di alcuni rappresentanti UE è favorevole all’adesione di Israele all’Unione ? 

No, l’Europa sarà sempre più balcanizzata, islamizzata, la sua democrazia e habeas corpus finiranno per implodere. Israele non ha ragione per entrare in Europa.


16.  Secondo lei, l’opinione pubblica italiana è sufficientemente informata su Israele e sui pericoli che questo Paese corre da decenni ? 

No, esiste una totale disinformazione che nutre un sempre più spaventoso antisemitismo.


17.  Come giudica la posizione dei partiti politici italiani nei confronti del problema arabo-israeliano, e soprattutto israelo-palestinese ?  Non trova che la questione dello strike preventivo sia praticamente assente dal dibattito politico italiano (tranne qualche rara eccezione) ?

Si va da una generale ignoranza, a qualche spicchio di affetto pro israeliano alla restante militanza palestinese. Israele è un pariah agli occhi della politica occidentale post-Auschwitz.


18.  Come giudica le parole che il premier Monti ha espresso nel viaggio in Medio Oriente, con particolare riguardo al fatto che l’Italia, in accordo con la posizione europea, riconosce i confini del 1967  (prima della guerra dei sei giorni), salvo intese tra le parti,  e alla frase “due stati” che devono vivere in pace tra loro ?  Anche per Obama le frontiere del 1967 rappresentano la base di ogni trattativa per la definizione del problema palestinese.
Mario Monti e Benjamin Nethanyau
(Gerusalemme, 2012)
Mario Monti e Abu Mazen
(Ramallah, 2012)
È una formula stanca e fallita, la linea del 1967 fu definita da Abba Eban ‘i confini di Auschwitz’. Non c’è altro da dire.


19.  Ritiene che attentati terroristici come quello di Tolosa  -e comunque il clima di antisemitismo che si sta facendo sempre più pesante in Europa  -ma anche in altre aree geografiche-  possano aumentare il numero di ingressi in Israele di ebrei che da varie parti del mondo si sentono protetti solo all’interno di questo stato ?

Sì, ci sarà un movimento demografico dall’Europa a Israele e Stati Uniti, l’ebraismo in Europa non ha futuro.


20.  La sua appartenenza alla comunità ebraica  -e soprattutto la sua decisa, brillante e instancabile presa di posizione a favore di Israele-  le hanno causato degli inconvenienti o addirittura dei problemi ?  Lei è già finito su almeno una  ‘lista di proscrizione’  che siti filonazisti e comunque ferocemente antisemiti   (come Stormfront  e  Holywar)  di tanto in tanto stilano, a perenne gloria della loro infamia.  Non trova che questi siti andrebbero oscurati ?

Andrebbero oscurati, sì, ma senza trasformarli in vittime. Sono soltanto odiosi canali di demonizzazione e attacchi personali, la rete è piena di insulti contro di me.


21.  È favorevole all’introduzione in Italia del reato di negazionismo  (già presente in altri paesi) ?

Sì, il negazionismo è una peste.


22.  In alcuni articoli (V. ad esempio qui  e  qui),  lei si è dimostrato particolarmente severo nei confronti delle Chiese cristiane, accennando anche alla lunga serie di episodi antisemiti che hanno caratterizzato i rapporti tra i due mondi.  In un recente servizio,  ha scritto che  ai livelli più alti e influenti della Cristianità, gli ebrei sono tuttora considerati come un gruppo di apostati che non ha diritto a un suo Stato sovrano.  Tuttavia, vorrei ricordare che da anni ormai, quantomeno da parte della Chiesa cattolica  -che è poi quella più importante, all’interno del Cristianesimo-  si sono riconosciuti gli errori del passato e si è data ampia dimostrazione della volontà di approdare a punti di convergenza, d’intesa, di unione.  Non trova che l’alleanza tra cristiani  -e soprattutto cattolici-, da una parte, ed ebrei, dall’altra, sia molto importante  -direi strategica-  per far fronte alle minacce e agli attacchi che in diverse parti del mondo i fedeli di queste due religioni subiscono ad opera del fondamentalismo islamico?  Non crede, insomma, che sia necessario guardare ai punti di contatto, agli elementi in comune, superando diffidenze, rancori e ostilità del passato ?  Cattolici ed ebrei, soprattutto, dovrebbero considerarsi fratelli e come tali collaborare, pur nelle differenze specifiche delle due religioni.  I pregiudizi pre-conciliari albergano ormai soltanto presso il popolino e in qualche ambiente ultra-integralista.  In ogni caso, forse, è bene non dare troppa importanza ad esternazioni di singole figure che rappresentano soltanto una parte minoritaria della Chiesa, e che comunque vanno inquadrate nel contesto generale dell’azione della Chiesa stessa, che è un’azione di conciliazione, di ricerca della concordia, di solidarietà verso gli oppressi.  
Benedetto XVI in visita
al Tempio Maggiore di Roma  (17-01-10)
Come scrive Michael Oren, ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti, in un articolo  del 6 aprile 2012: “Come un tempo vennero espulsi dai paesi arabi 800mila ebrei, così oggi vengono costretti a fuggire i cristiani da terre dove hanno abitato per secoli. L’unico posto in Medio Oriente dove i cristiani non sono in pericolo, ma anzi fioriscono, è Israele. Dalla nascita d’Israele, nel 1948, le comunità cristiane del paese (ortodossi greci e russi, cattolici, armeni e protestanti) sono cresciute di più del 1.000%. I cristiani giocano un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita israeliana, sono presenti in Parlamento, nel Ministero degli esteri, nella Corte Suprema. Sono esentati dal servizio militare di leva, ma migliaia di loro si arruolano come volontari prestando giuramento su un testo del Nuovo Testamento stampato in ebraico.”.   In effetti, mentre nel 1948 i cristiani presenti in Israele erano circa 34.000, ora sono circa 155.000.

La Chiesa cattolica ha una doppia strategia: dialogare con l’ebraismo e attaccare Israele. Non penso che il suo atavico antisemitismo sia finito, forse quello più vetusto, ma c’è davvero tanto antisionismo in Vaticano. Agli occhi della Chiesa, uno stato ebraico forte, sionista, religioso, nazionalista e che controlla i luoghi santi è una bestemmia inaccettabile. Diverso il discorso per le chiese protestanti, molte di loro sono antisioniste, ma in America soprattutto esiste una fitta teologia che vede in Israele una vendetta dello spirito e un inveramento delle profezie bibliche. Per questo l’America, a differenza dell’Europa, è ancora così vicina a Israele.