di A. Lalomia
Il programma nucleare iraniano rappresenta una minaccia senza precedenti per Israele, una minaccia che si accompagna ad una lunga serie di discorsi e di comportamenti ostili da parte di Teheran, a partire dalla negazione della Shoah.
A fronte di tale pericolo, la comunità internazionale ha deciso di imporre all’Iran delle sanzioni, che in realtà non gli hanno impedito -e non gli impediranno- di proseguire nella costruzione delle atomiche. A questo punto, per Israele, la scelta
sarebbe obbligata: uno strike preventivo
(come già accaduto nel 1982 e nel 2007)
o la catastrofe. Questa opzione ha ricevuto nuovo impulso dall'ingresso, nella compagine governativa, di Kadima (v. oltre), una mossa che annulla il ricorso alle elezioni anticipate e che garantirà a Netanyahu la maggioranza assoluta in Parlamento (94 dei 120 deputati della Knesset).
D'altronde, lo stallo in cui versano i negoziati con l'Iran, fa capire che Teheran non ha alcuna intenzione di rinunciare al progetto di un arsenale atomico. E non ha intenzione anche perché ha capito perfettamente che diversi leader occidentali -a partire dai vertici della politica estera comunitaria- non vogliono rischiare nella difesa di un Paese, Israele, che secondo loro non è poi così importante. A quanto pare, la svendita di un intero stato nella Conferenza di Monaco del 1938 non è servita a nulla.
La Knesset, il Parlamento monocamerale di Israele |
Per discutere di questo scenario ho
contattato quello che considero uno dei più competenti e lucidi esperti di
Israele e del Medio Oriente, vale a dire Giulio Meotti, autore di Countdown, un prezioso e-book che si può scaricare direttamente dal sito del Foglio, dove si occupa appunto di questi temi.
Oltre che sul Foglio, Meotti scrive su diverse e prestigiose testate giornalistiche in lingua inglese, a partire
dal WSJ, ed è autore tra l’altro di Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d'Israele, Lindau 2009 1 , un’inchiesta sulle
vittime israeliane del terrorismo, da raccomandare vivamente a chi sproloquia contro Israele e a chi crede di sapere tutto su questo Paese. Il
volume, nel 2011, ha vinto il Premio Capalbio, è stato tradotto in vari paesi 2 e Jewis Ideas Daily lo ha inserito fra “i migliori libri ebraici
del 2010”. Il Presidente del Parlamento israeliano, Reuven
Rivlin, ha dichiarato che si tratta di
“un lavoro impressionante che riempie i vuoti nell’opinione pubblica internazionale su Israele”.
Uno degli aspetti più significativi di Countdown è l’enorme mole di documentazione che Meotti è riuscito a raccogliere, soprattutto attraverso le
interviste ad alti esponenti delle IDF, dei servizi segreti, a
responsabili ed esperti comunque legati alla sicurezza di Israele (oltre
ovviamente a giornalisti e a studiosi di varie discipline).
Postazione di missili palestinesi pronti per essere lanciati su Israele |
Senza contare che in altre regioni (a cominciare dall’Italia), sarebbe molto difficile, se non impossibile, anche soltanto avvicinare figure di così alto rango (soprattutto dei servizi), che comunque sarebbero vincolate al più rigoroso riserbo.
Vorrei chiudere questa breve introduzione con un auspicio: e cioè che Meotti si sbagli quando afferma che
per gli ebrei non c’è più posto in Europa. Mi auguro vivamente che non sia così, perché
altrimenti vorrebbe dire che gli attuali responsabili politici, ancora una volta, non hanno capito nulla del passato. Se si avverasse la sua profezia, infatti, il nostro continente verrebbe privato di
quella linfa vitale che ne ha permesso finora il primato in moltissimi campi. Costringere gli ebrei ad abbandonare l’Europa
equivarrebbe ad un suo brusco declassamento, alla sua emarginazione.
Spero che i responsabili politici
dell’UE e dei singoli paesi che ne fanno parte se ne
rendano conto, altrimenti saranno chiamati a
rispondere della loro ignavia -o,
peggio, della loro connivenza con il diffuso
antisemitismo che alberga nel continente europeo-
davanti al tribunale della Storia.
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1 Qui per una recensione particolarmente acuta.
V. anche Dialogo con Giulio Meotti, di Guido Ceronetti.
Per altre recensioni altrettanto qualificate, cfr. la scheda del libro sul sito della Casa Editrice Lindau. V. anche il sito e il blog dell’A. .
2 Negli Stati Uniti, il volume è stato pubblicato per la Encounter Books di New York, con il titolo A New Shoah. The Untold Story of Israel’s Victims of Terrorism .
2 Negli Stati Uniti, il volume è stato pubblicato per la Encounter Books di New York, con il titolo A New Shoah. The Untold Story of Israel’s Victims of Terrorism .
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Fonte: Limes |
a. Posto
che Israele ha il pieno diritto all’autodifesa, ma che Obama non sembra disposto a sostenere uno strike preventivo in un anno cruciale
come questo, di elezioni presidenziali, è possibile avviare un’impresa di tale
portata senza l’aiuto degli Stati Uniti?
Nell’intervista si ricorda che potrebbero esserci problemi per i
rifornimenti in volo degli aerei, così come per le bombe in grado di distruggere
il bunker Fardo, che rappresenta il centro nevralgico del programma nucleare
iraniano. D’altronde, anche gli iraniani
hanno posto attorno ai loro target avanzati sistemi di difesa antiaerea, a
partire dalle batterie di missili antimissili.
Tutto questo costituisce per Israele rischi non indifferenti. Il punto centrale, comunque, per alcuni
esperti, sarebbe la distanza che separa Israele dagli obiettivi iraniani.
F 35 (JAF) |
b. Dando
per scontato il “no” del coinvolgimento diretto degli USA, sempre per motivi elettorali, è possibile
che Obama metta comunque a disposizione degli aerei con la stella di
David non solo le informazioni raccolte con la rete di satelliti puntati
sull’Iran (anche Israele ha i suoi
satelliti spia, ma è evidente che quelli americani offrono una maggiore copertura),
ma le stesse basi americane nella regione, a partire da quelle nel Golfo Persico, in Iraq e in Afghanistan, o
addirittura le portaerei che si trovano nel Mare Arabico e in altre aree dell’Oceano Indiano
? Un conto è un attacco all’Iran che
parta dal territorio israeliano -attacco
che costringerebbe ad entrare nello spazio aereo di paesi arabi e a coprire
migliaia di km prima di arrivare sugli obiettivi- e un altro conto è sferrare l’offensiva da
poche centinaia di km dai target.
Fonte: Limes |
Israele può neutralizzare
il programma atomico iraniano con i missili Jericho, con i sommergibili
acquistati dalla Germania o dal cielo, con i suoi caccia. Un attacco preventivo
di Gerusalemme non distruggerebbe del tutto i piani di Teheran, li rimanderebbe
per due, tre anni. Ma è comunque tantissimo. Farebbe capire agli ayatollah che
non passeranno.
Gli stati arabi, specie
l’Arabia Saudita, hanno tutto l’interesse che Teheran non si doti dell’atomica.
Resta da vedere se vorranno dare una mano agli ebrei, difficile prevedere
qualcosa, non faranno nulla apertamente, ma forse segretamente.
d. Israele
dispone di ordigni atomici (tattici e
strategici) e personalmente non trovo motivi per biasimare tale scelta (con buona pace di Günther Grass), considerato che dal
momento stesso della sua nascita
(1948) è in guerra perenne: è
l’unico stato al mondo che lotta giorno dopo giorno per la sua stessa sopravvivenza (lei ricorda che dal 1948 sono caduti su Israele 60.000 missili e altri 200.000
possono essere lanciati contro Tel Aviv).
Shimon Peres |
Sì, Israele sarebbe
pronto a usare armi atomiche se la sua sopravvivenza fosse in pericolo. Per
questo Teheran non deve avere la bomba, sarebbe per loro irresistibile, ci
sarebbe davvero il rischio di una conflagrazione nucleare.
e. È possibile che gli iraniani non si rendano
conto che un attacco nucleare –ma anche biologico e chimico (NBC)- contro Israele, ammesso che riesca a colpire gli obiettivi, innescherebbe comunque una risposta immediata sia degli Israeliani che degli Stati Uniti
e di altri paesi alleati degli USA ? Lei riporta le valutazioni di esperti
secondo cui l’Iran non è più un avversario razionale, ma è pronto a
subire colpi letali, pur di annientare Israele.
L’Iran, insomma, sarebbe diventato ormai un paese suicida e il “Progetto Daniele”, da lei ricordato,
dovrebbe far fronte a questa devastante irrazionalità da parte di un intero
stato, appunto con un attacco preventivo.
Ma è possibile che non ci sia nessuno, all’interno dell’Iran, in grado di fermare questa folle corsa
verso l’autodistruzione ? Le notizie sui contrasti interni al
regime (p.e.: Khamenei vs Ahmadinejad) non vanno prese sul serio ? Al di là di questo, vorrei comunque
chiederle se esiste un patto formale in cui gli Stati Uniti si impegnano a
schierarsi a fianco di Israele in caso di attacco esterno.
Gli Stati Uniti in
generale, non so Obama, saranno al fianco di Israele se attaccato. Il problema qui è che
Israele vorrebbe l’America al suo fianco anche in un attacco preventivo, cosa
che non succederà, almeno per adesso. Non con Obama se viene rieletto.
2. Le IDF stanno schierando batterie di missili Patriot nella zona di Haifa. È una notizia a cui attribuire un significato particolare
? Tanto più che, come lei ricorda più
volte nel libro, Haifa è senz’altro uno degli obiettivi primari della
rappresaglia iraniana contro un eventuale strike. Secondo quanto lei riporta, in caso di conflitto, su Haifa pioveranno 12.000
missili.
Israele sarà travolto dai
missili, ma si stimano ‘soltanto’ 500 morti, pochi in generale, tanti per lo
stato ebraico. Israele ha i mezzi per superare la bufera. L’unica incognita
sono le armi chimiche, i siriani ne sono pieni, potrebbero passarle a Hezbollah; gli iraniani hanno
certamente dei gas, specie dopo la guerra con Saddam. Insomma non è chiaro fino a dove
si possano spingere i terroristi islamici.
3. Lei
riferisce che da tempo i servizi segreti israeliani stanno portando avanti una
discreta ma sistematica opera di sabotaggio del programma nucleare iraniano e
di neutralizzazione di scienziati coinvolti nel programma stesso, ritardandone
in modo significativo lo sviluppo. Come
mai non si dà la priorità a questi metodi, piuttosto che puntare sull’opzione militare,
che, ancorché pienamente legittima, sarebbe comunque molto rischiosa anche per
Israele, soprattutto senza l’appoggio diretto degli Stati Uniti ? Come mai il Mossad non aumenta le risorse per l’Iran (già ora, comunque, non trascurabili, come lei precisa: il 40 % dei fondi) ? L’intelligence israeliana -lei lo ricorda opportunamente- viene considerata tra le più qualificate del mondo, anche se
ha pagato un tributo molto alto alla causa (400 vittime)
e riesce ad infiltrare i propri agenti speciali anche in Iran. D’altronde, l’ex capo del Mossad, Meir Dagan,
Meir Dagan |
C’è sempre stato un
conflitto fra i leader israeliani e il Mossad.
Quando Begin distrusse Osirak aveva
contro il servizio di intelligence. È una vecchia storia, c’è di mezzo la politica
spesso.
Benjamin Netanyahu e Obama durante l'incontro del 5-03-12 alla Casa Bianca |
Una volta rieletto a novembre, Obama non avrà più bisogno degli ebrei. Avremo quindi una amministrazione ancora più lontana da Israele. Per questo Netanyahu teme che dopo novembre la finestra per un attacco si chiuda. Saranno gli Stati Uniti a gestire la questione iraniana.
5. Come
reagirebbe l’opinione pubblica israeliana ad uno strike preventivo ? Secondo
alcuni sondaggi la maggioranza della popolazione lo considera inevitabile. Può confermare ? E gli intellettuali ? E inoltre: si può dire che a livello politico
esiste un sostanziale consenso, indipendentemente dal partito di appartenenza ? Infine: il cinema israeliano ha prodotto
altri filmati analoghi a The last day, del regista israeliano Ronen Barany, sulle
conseguenze di un attacco nucleare e comunque non convenzionale al Paese ?
La maggioranza degli
israeliani vorrebbe uno strike con gli americani, solo un terzo è a favore dell’azione
unilaterale di Gerusalemme. Hanno il timore forte di un grande isolamento
internazionale. Ma in ogni caso saranno al fianco del loro primo ministro se dovesse decidere per
l’attacco.
6. Lei
fornisce un quadro molto dettagliato della sofisticatissima rete di avvistamenti, di sirene (ben 3.000) e di rifugi che Israele ha predisposto su
buona parte del territorio nazionale per evitare al massimo le vittime di un
eventuale attacco iraniano. Solo a Tel Aviv (dove si trova più del 55 % della popolazione israeliana), si
contano 240 rifugi.
Che grado di sicurezza offrirebbe, in caso di attacco
missilistico, questo apparato ? La stima, che lei fa, di 500 vittime tra la
popolazione israeliana, è ragionevole, considerato che, secondo le sue fonti, almeno
la metà della popolazione è ancora priva della nuova maschera antigas
e che basterebbero 100 g di gas mostarda per fare 500 vittime ? E inoltre: si svolgono esercitazioni, a livello locale e nazionale, per cercare di
preparare il Paese ad un attacco da parte dell’Iran e dei suoi alleati
? Nelle scuole, sono previsti progetti
specifici al riguardo ?
Parte della popolazione
non ha la maschera antigas, non si può far fronte a un 100 per cento di protezione,
è una guerra che nessun paese nella storia ha mai affrontato, quella in cui
ogni casa, ristorante, asilo nido, è preso d’assalto. In parte avvenne già con la seconda intifada.
Israele cercherà di pagare il prezzo più basso possibile.
7. Contrariamente al blitz del 7 giugno 1981 contro il reattore nucleare iracheno di Osirak (condotto peraltro, senza neanche aver avvisato Reagan, il che segnò il rodaggio della ‘dottrina Begin’) e a quello contro la Siria del 2007, che non produssero particolari reazioni nel mondo arabo (a parte ovviamente gli slogan di rito), questa volta, un eventuale bombardamento preventivo scatenerebbe la rappresaglia non soltanto dell’Iran, ma di tutto il terrorismo di matrice fondamentalista (o che comunque usa la religione per nascondere il suo odio antisemita), peraltro alimentato dallo stesso Iran. Verrebbero colpiti obiettivi ebraici (ma non solo) in ogni parte del mondo, a partire ovviamente da Israele. Cerchiamo di fare qualche calcolo: si stima che la popolazione ebraica, a livello mondiale, sia tra i quattordici e i quindici milioni di unità, di cui circa il 40 % residente in Israele (più di tre milioni soltanto a Tel Aviv). A parte questo Paese, quali sarebbero gli stati più a rischio di attentati terroristici (del tipo di quello compiuto a Tolosa, ma anche di quello che cercava di attuare Mohamed Jarmoune, il ventenne marocchino arrestato qualche settimana fa dalla Digos a Brescia con l’accusa di voler far saltare in aria la sinagoga di Milano) ?
7. Contrariamente al blitz del 7 giugno 1981 contro il reattore nucleare iracheno di Osirak (condotto peraltro, senza neanche aver avvisato Reagan, il che segnò il rodaggio della ‘dottrina Begin’) e a quello contro la Siria del 2007, che non produssero particolari reazioni nel mondo arabo (a parte ovviamente gli slogan di rito), questa volta, un eventuale bombardamento preventivo scatenerebbe la rappresaglia non soltanto dell’Iran, ma di tutto il terrorismo di matrice fondamentalista (o che comunque usa la religione per nascondere il suo odio antisemita), peraltro alimentato dallo stesso Iran. Verrebbero colpiti obiettivi ebraici (ma non solo) in ogni parte del mondo, a partire ovviamente da Israele. Cerchiamo di fare qualche calcolo: si stima che la popolazione ebraica, a livello mondiale, sia tra i quattordici e i quindici milioni di unità, di cui circa il 40 % residente in Israele (più di tre milioni soltanto a Tel Aviv). A parte questo Paese, quali sarebbero gli stati più a rischio di attentati terroristici (del tipo di quello compiuto a Tolosa, ma anche di quello che cercava di attuare Mohamed Jarmoune, il ventenne marocchino arrestato qualche settimana fa dalla Digos a Brescia con l’accusa di voler far saltare in aria la sinagoga di Milano) ?
Non
è certo che Hezbollah e Hamas vorranno aprire un altro conflitto con Israele. Nulla
è scritto o certo. Quello che senz’altro
si vedrà è una ondata di antisemitismo nel
mondo, uno stato ebraico ancora più solo e isolato, la delegittimazione alle Nazioni
Unite, attentati forse nella diaspora. Ma di nuovo, sono solo illazioni.
8. È
realistico pensare al fatto che gli iraniani puntino a scatenare una nuova
Intifada per cercare di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica
internazionale dal loro progetto atomico ?
Gli iraniani hanno ucciso
decine di ebrei a Buenos Aires nel 1992 e nel 1994, sono pronti a tutto, tutto.
9. Nel
suo libro lei presenta Netanyahu come una
persona quasi ossessionata da un nuovo Olocausto. L’Amalek del XXI
secolo sarebbe l’Iran, che tenterà, così come aveva cercato di fare Hitler, di
annientare l’intero popolo ebraico. E Netanyahu, mi corregga se sbaglio, vuole
essere il nuovo Giosuè che uccide l’Amalek di questo secolo. Ha fissato anche la data, cioè quest’anno,
che per una strano capriccio della Storia, coincide con il 50° anniversario
dell’esecuzione di Adolf Eichmann, dopo un processo durato ben otto mesi e un ulteriore periodo di detenzione di più di cinque mesi (con buona pace di quanti blaterano contro Israele).
Benjamin Netanyahu accoglie Gilad Shalit dopo la sua liberazione. |
popolo.
D’altronde, lo stesso premier ha detto più volte che il problema
iraniano si potrebbe considerare risolto, se Teheran bloccasse il progetto e
autorizzasse le ispezioni da parte di autorità internazionali.
Benjamin Netanyahu con il padre Benzion, illustre medievista |
Netanyahu ha una
particolare visione che gli deriva dal padre, appena scomparso. Ma la maggioranza del
paese lo prende sul serio quando evoca l’olocausto. Questa volta gli ebrei
non si lasceranno mandare come pecore al macello.
10.
I rapporti tra Turchia e Israele, che fino a qualche anno fa sembravano
armonici (tanto che si parlava
addirittura di una futura alleanza militare tra i due stati), si sono deteriorati molto, da quando gli
islamici sono andati al potere. Ritiene che un eventuale riavvicinamento tra i due
paesi potrebbe far desistere l’Iran nel proseguire il progetto di costruzione
delle atomiche ? Questo, comunque,
richiederebbe un cambio al vertice del regime, visto che l’attuale primo ministro Erdogan
figura al secondo posto della lista 2011
Top Ten Anti-Israel/Anti-Semitic Slurs stilata
dal Simon Wiesenthal Center.
La Turchia è persa.
11. Un
minuto dopo la notizia dello strike preventivo, l’ONU condannerebbe Israele per
quanto ha fatto. Questo la preoccupa ?
L’ONU già oggi è un’istanza
antisemita e del tutto screditata. Non mi preoccupa affatto.
12. In un post del 30 marzo 2012 sul suo blog (Quando finirà il conflitto arabo-israeliano)
lei scrive: “Il
conflitto arabo-israeliano non finirà con i "due stati per due
popoli", ovvero con la nascita di uno stato arabo e l'evacuazione di
500mila ebrei che oggi vivono in Giudea e Samaria. Il conflitto si basa sulla
guerra del 1948, ovvero sull'esistenza stessa di uno stato ebraico, non sulla
guerra del 1967. L'Olp, che
rappresenterebbe l'ala "moderata" dei palestinesi, ha una costituency
legata a quella guerra di settant'anni fa. Abu Mazen è nato a Safed, in Galilea.
Il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, è nato ad Ashkelon. Sempre da Safed viene
Nabil Shaath, il negoziatore. L'ex capo di Hamas, Abdel Rantisi, veniva da
Jaffa, a due passi da Tel Aviv. Il conflitto finirà quando gli ebrei
decideranno di tornare a Varsavia e ricostruire il ghetto. In caso contrario,
si tratterà di "gestire il conflitto".” Rievocare
il ghetto di Varsavia è una scelta molto forte, drammatica direi, perché
sappiamo tutti (a parte i negazionisti …) com’è finita.
Resta però il senso dell’ultima frase. Vuol dire che sul problema palestinese non
sono possibili ulteriori compromessi, perché altrimenti i palestinesi ne
approfitterebbero per recare danni ad Israele ?
Ariel Sharon |
Il conflitto con i
palestinesi non ha soluzione, almeno non ora. Sono due narrative opposte,
inconciliabili. Se esiste Israele non può esistere uno stato palestinese a
dieci chilometri da Tel Aviv, e viceversa. Si tratta di gestire il conflitto,
rendere facile la vita della gente, minimizzare i danni. Politicamente la
questione palestinese è il cavallo di Troia usato per distruggere Israele.
13. Come
si comporterebbe, secondo lei, Ariel Sharon nell’attuale crisi con l’Iran ?
Come Netanyahu.
14. Nella
faccenda della deplorevole gaffe della signora Ashton, mi ha colpito particolarmente il fatto che l’opposizione israeliana
ha espresso giudizi forse ancora più duri di quelli formulati dal governo. Per
dire: Tizpi Livni (l’ex ministro degli
esteri e già presidente di Kadima, il partito fondato da Sharon che ha ottenuto
la maggioranza relativa alle ultime elezioni politiche israeliane del 2009, sostenitrice della teoria dei 'due stati’ e di concessioni territoriali ai palestinesi in cambio della pace) ha chiesto né più né meno le dimissioni
dell’Alto Commissario. Come si deve interpretare questa maggiore durezza ?
Tzipi Livni è stata una
delle politiche israeliane più ciniche nella recente storia dello stato ebraico.
15. Malgrado
le ‘cadute di stile’ di alcuni rappresentanti UE è favorevole all’adesione di
Israele all’Unione ?
No, l’Europa sarà sempre
più balcanizzata, islamizzata, la sua democrazia e habeas corpus finiranno per
implodere. Israele non ha ragione per entrare in Europa.
16. Secondo lei, l’opinione pubblica italiana è
sufficientemente informata su Israele e sui pericoli che questo Paese corre da
decenni ?
No, esiste una totale
disinformazione che nutre un sempre più spaventoso antisemitismo.
17. Come
giudica la posizione dei partiti politici italiani nei confronti del problema arabo-israeliano, e
soprattutto israelo-palestinese ? Non trova che la questione dello strike
preventivo sia praticamente assente dal dibattito politico italiano
(tranne qualche rara eccezione) ?
Si va da una generale
ignoranza, a qualche spicchio di affetto pro israeliano alla restante militanza
palestinese. Israele è un pariah agli occhi della politica occidentale post-Auschwitz.
18. Come giudica le parole che il premier Monti
ha espresso nel viaggio in Medio Oriente, con particolare riguardo al fatto che
l’Italia, in accordo con la posizione europea, riconosce i confini del 1967 (prima della guerra dei sei giorni), salvo
intese tra le parti, e alla frase “due
stati” che devono vivere in pace tra loro ? Anche per Obama le frontiere del 1967 rappresentano la base di ogni trattativa per la definizione del problema palestinese.
Mario Monti e Benjamin Nethanyau (Gerusalemme, 2012) |
Mario Monti e Abu Mazen (Ramallah, 2012) |
Sì,
ci sarà un movimento demografico dall’Europa a Israele e Stati Uniti, l’ebraismo
in Europa non ha futuro.
20. La
sua appartenenza alla comunità ebraica
-e soprattutto la sua decisa, brillante e instancabile presa di posizione
a favore di Israele- le hanno causato
degli inconvenienti o addirittura dei problemi ? Lei è già finito su almeno una ‘lista di proscrizione’ che siti filonazisti e comunque ferocemente
antisemiti (come Stormfront e Holywar) di tanto in tanto stilano, a perenne gloria della loro infamia. Non
trova che questi siti andrebbero oscurati ?
Andrebbero oscurati, sì,
ma senza trasformarli in vittime. Sono soltanto odiosi canali di demonizzazione
e attacchi personali, la rete è piena di insulti contro di me.
21.
È favorevole all’introduzione in Italia del reato di negazionismo (già presente in altri paesi) ?
Sì, il negazionismo è una
peste.
22. In alcuni articoli (V. ad esempio qui e qui), lei si è dimostrato
particolarmente severo nei confronti delle Chiese cristiane, accennando anche
alla lunga serie di episodi antisemiti che hanno caratterizzato i rapporti tra
i due mondi. In un recente servizio, ha scritto che ai livelli più alti e influenti della
Cristianità, gli ebrei sono tuttora considerati come un gruppo di apostati che
non ha diritto a un suo Stato sovrano. Tuttavia, vorrei ricordare che da anni
ormai, quantomeno da parte della Chiesa cattolica -che è poi quella più importante, all’interno
del Cristianesimo- si sono riconosciuti
gli errori del passato e si è data ampia dimostrazione della volontà di approdare a punti di convergenza, d’intesa, di unione.
Non trova che l’alleanza tra cristiani
-e soprattutto cattolici-, da una parte, ed ebrei, dall’altra, sia molto importante -direi strategica- per far fronte alle minacce e agli attacchi
che in diverse parti del mondo i fedeli di queste due religioni subiscono ad
opera del fondamentalismo islamico? Non
crede, insomma, che sia necessario guardare ai punti di contatto, agli elementi
in comune, superando diffidenze, rancori e ostilità del passato ? Cattolici ed ebrei, soprattutto, dovrebbero
considerarsi fratelli e come tali collaborare, pur nelle differenze specifiche
delle due religioni. I pregiudizi
pre-conciliari albergano ormai soltanto presso il popolino e in qualche
ambiente ultra-integralista. In ogni caso,
forse, è bene non dare troppa importanza ad esternazioni di singole figure che
rappresentano soltanto una parte minoritaria della Chiesa, e che
comunque vanno inquadrate nel contesto generale dell’azione della Chiesa stessa,
che è un’azione di conciliazione, di ricerca della concordia, di solidarietà
verso gli oppressi.
Come scrive Michael Oren, ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti, in un articolo del 6 aprile 2012: “Come un tempo
vennero espulsi dai paesi arabi 800mila ebrei, così oggi vengono costretti a fuggire
i cristiani da terre dove hanno abitato per secoli. L’unico posto in Medio
Oriente dove i cristiani non sono in pericolo, ma anzi fioriscono, è Israele.
Dalla nascita d’Israele, nel 1948, le comunità cristiane del paese (ortodossi
greci e russi, cattolici, armeni e protestanti) sono cresciute di più del
1.000%. I cristiani giocano un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita israeliana, sono presenti in Parlamento, nel Ministero degli esteri, nella
Corte Suprema. Sono esentati dal servizio militare di leva, ma migliaia di loro
si arruolano come volontari prestando giuramento su un testo del Nuovo Testamento
stampato in ebraico.”. In effetti, mentre nel 1948 i cristiani presenti in Israele erano circa 34.000, ora sono circa 155.000.
Benedetto XVI in visita al Tempio Maggiore di Roma (17-01-10) |
La Chiesa cattolica ha una doppia strategia: dialogare con l’ebraismo e attaccare
Israele. Non penso che il suo atavico antisemitismo sia finito, forse quello
più vetusto, ma c’è davvero tanto antisionismo in Vaticano. Agli occhi della Chiesa, uno stato ebraico forte, sionista, religioso, nazionalista e che
controlla i luoghi santi è una bestemmia inaccettabile. Diverso il discorso per
le chiese protestanti, molte di loro sono antisioniste, ma in America
soprattutto esiste una fitta teologia che vede in Israele una vendetta dello
spirito e un inveramento delle profezie bibliche. Per questo l’America, a
differenza dell’Europa, è ancora così vicina a Israele.