Con Decreto del 16 gennaio 2013, il
Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano ha conferito la medaglia
d’oro al merito civile, alla memoria, a Ugo Forno, il dodicenne romano che il 5 giugno 1944 si mise a
capo di un gruppo di patrioti per salvare un ponte sull'Aniene che i guastatori
Il ponte sull'Aniene.
tedeschi
stavano minando.
Ne nacque un durissimo scontro a fuoco,
durante il quale Ugo venne raggiunto da un colpo di mortaio. Il
piccolo eroe romano diventò così l’ultima vittima dell’occupazione tedesca di Roma (settembre
1943 – giugno 1944) .
La decisione del Capo dello Stato è stata
accolta con particolare soddisfazione da quanti, in questi anni, a partire da Felice Cipriani e dall’ANPI, si sono battuti per ricordare il sacrificio di Ugo, un sacrificio che meritava un
adeguato riconoscimento da parte delle istituzioni.
Quiil comunicato del Quirinale
relativo al conferimento della medaglia d'oro, mentre qui si può seguire il lungo e tortuoso iter burocratico che è stato necessario superare per l'assegnazione della medaglia. Attraverso il sito www.ugoforno.it si possono leggere sia la rassegna stampa della cerimonia, che gli elaborati del vincitore del premio e degli altri classificati.
A testimonianza di quanto sia lenta, in
certi ambienti, al di là della retorica ufficiale e delle cerimonie solenni, l’opera di riconoscimento dei valori patriottici,
basterà dire che le FF.SS. hanno apposto, sul ponte
salvato dal ragazzo, una lapide in suo ricordo soltanto nel 2010, cioè dopo sessantasei anni dall’episodio.
La stessa, meritoria iniziativa dell’ex
sindaco Veltroni di creare una piccola area riservata a questa coraggiosa figura nel parco Nemorense,
con una lapide in suo ricordo, è del 2005.
La lapide, peraltro, è stata oggetto di
vandalismo da parte di qualche balordo, che ha ritenuto opportuno far conoscere la
sua miseria intellettiva imbrattandola con lo spray. 1 Per quanto riguarda il mondo della scuola,
a tutt’oggi, solo la SMS “Luigi Settembrini” (frequentata da Ugo fino all'a.s. 1943-4) ha ricordato il ragazzo in modo concreto, dedicandogli nel 2008 l'aula multimediale.
Felice Cipriani
Non migliore la situazione sul piano della pubblicistica: a parte gli articoli (v. oltre e l'area del sito relativa alla documentazione), esiste un solo libro su Ugo, quello di Felice Cipriani, Il ragazzo del ponte, Chillemi 2012. 2
2Cipriani, comunque, aveva già dedicato il volume Roma 1943-1945, Associazione Walter Tobagi, 2009, alla memoria del ragazzo. L'opera contiene anche un testo sul giovanissimo eroe (pp. 205-7) .
La vicenda di Ugo è ricordata anche da Cesare De Simone, Roma città prigioniera, Mursia, Milano 1994 (pp. 173-6) . Di Ugo parla brevemente anche Wikipedia, ma solo nella versione in inglese.
A quasi settant’anni dalla fine della seconda guerra
mondiale, la Resistenza italiana continua a rappresentare motivo di
studio, di riflessione e di dibattito tra gli storici di
professione e tra quanti -a ragione-
ritengono che si tratti di un tema di fondamentale importanza per comprendere la storia dell’Italia contemporanea e terreno da cui trarre elementi da sottoporre agli allievi per la loro crescita culturale, civile ed etica.
Tra i lavori che sono apparsi di recente, quello di Mario
Avagliano, Il partigiano Montezemolo.Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata.(Dalai editore, 2012, pp. 416, € 22,00), si pone senza dubbio come uno dei testi più apprezzabili,
a conferma -oltre che del talento-, del rigore, della passione
civile, della sensibilità, della forte carica etica che animano Avagliano, giornalista
e storico di successo, autore di impareggiabili pagine su aspetti
poco noti del secondo conflitto mondiale1e soprattutto sulla Resistenza.
Mi è sembrato quindi utile intervistare l’A.2sull’opera3; un’opera che, come tutti gli altri suoi libri, ha conquistato subito l’ampio plauso della critica e il pieno consenso del pubblico. Inoltre, ha ricevuto già dei riconoscimenti, a partire da quello, prestigioso, del Premio
Fiuggi 2012 per la Storia, sezione biografie.
Uno dei punti più importanti del volume è rappresentato
dalla strage delle Fosse Ardeatine 4
del 24 marzo 1944 -in cui venne trucidato lo stesso Montezemolo-, strage ordinata da Hitler ed eseguita con teutonica fermezza da Kappler per
vendicarsi dell’attentato compiuto il giorno prima dai GAP in Via
Rasella.
Senza entrare qui nel merito della questione, vorrei
comunque ricordare che Montezemolo, in qualità di capo del Fronte Militare
Clandestino Romano (FMCR)5, aveva vietato,
con un ordine scritto, di compiere attentati contro i tedeschi, in particolare nei grandi centri
urbani, proprio perché era ben consapevole delle reazioni spietate dei tedeschi sulla popolazione civile.
Il Card. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo
Si veda ad esempio l’intervista al figlio, il Cardinale
Andrea Montezemolo, apparsa sull’ "Osservatore Romano" del 27 marzo 2011 e riportata poi sul blog di Avagliano : “[…] Suo padre, nel
ruolo di comandante militare clandestino, aveva chiesto
espressamente di evitare attentati come quello di via Rasella, soprattutto
nelle grandi città. Le rappresaglie, aveva spiegato, si sarebbero
abbattute anche sui civili … -
Il suo ordine scritto era precisamente questo: <<Nelle grandi città la
gravità delle conseguenti rappresaglie impedisce di condurre molto attivamente la
guerriglia>>. Tra le sue priorità c’era la protezione dei civili. Era certo che attentati contro i tedeschi a Roma avrebbero procurato morti
inutili nelle rappresaglie. Ed è
noto che su quell’azione ci siano diverse valutazioni dovute alle prospettive con cui è stata affrontata la resistenza.
[…]”.
A questo punto
sembra lecito porsi una domanda: visto che si era deciso di compiere un
attentato particolarmente clamoroso a Roma, non sarebbe stato meglio scegliere
come obiettivo una sede del comando germanico tristemente famosa
-a partire proprio dalla prigione di Via
Tasso, i cui orrori erano
ben noti-, senza però vittime? In questo
modo, i partigiani
avrebbero potuto dimostrare sia la loro potenza logistica e di attacco,
sia la loro superiorità etica, senza temere che i tedeschi ricorressero
poi alla rappresaglia. Rappresaglia che
inevitabilmente ha fatto
nascere, in una parte almeno dei romani, sentimenti di incomprensione -quando non addirittura
di contrarietà e di rancore- nei confronti dei
GAP e dei loro referenti politici.
Ugo Forno
Vorrei ricordare che l’oblio di cui parla Avagliano
nell’intervista riguarda anche molte altre figure, alcune delle quali forse più
vicine alla mentalità e ai modelli di vita di una certa parte dell’opinione
pubblica. Mi riferisco ad esempio a Ugo Forno, il dodicenne che si oppose, al
costo della propria vita, alla distruzione di un ponte sull’Aniene da parte
dei tedeschi. Sull’argomento, v. Felice Cipriani, Il ragazzo del Ponte e i post di Mario Avagliano Eroe. Il
dodicenne romano che fermò la Wehrmachte Resistenza, al ragazzo-partigiano Ugo Forno la medaglia d'oro al merito civile alla memoria. Cfr. anche il sito www.ugoforno.it . Un magnifico esempio di eroismo da proporre a quella
parte della popolazione studentesca priva di valori autentici e alla
ricerca convulsa di esperienze devastanti. Nel 2008, la S.M.S. "Luigi Settembrini" di Roma ha dedicato l'aula multimediale proprio a questo giovanissimo eroe. La vicenda di questo ragazzo è pienamente in linea con il tema principale di questo post, visto tra l'altro che il padre, Angelo Enea Forno, faceva parte del FMCR.
Su Montezemolo e sulla presentazione del libro, v. tra l’altro il video relativo alla commemorazione del trentesimo anniversario del suo sacrificio e delle Fosse Ardeatine, con un rito religioso celebrato dal figlio, Andrea Montezemolo, presenti la moglie, altri familiari e le massime autorità dello Stato. Montezemolo viene presentato un po' come il rappresentante più illustre, il simbolo quasi degli 80.000 militari italiani caduti nella guerra di liberazione.
Qui la
pagina del Quirinale relativa al conferimento a Montezemolo della medaglia
d’oro al valor militare alla memoria.
Sulla Resistenza
romana, cfr. ad esempio il magnifico filmato prodotto dagli allievi
della classe 3^ L (a.s.
2009-2010) della S.M.S. “G. Belli” di Roma,
nell’ambito del Progetto “Prati della
Memoria. Strade e storie della resistenza”, su singoli
esponenti della Resistenza romana, tra cui Montezemolo. Qui per la visualizzazione della mappa dei luoghi, a ciascuno dei quali
corrisponde una scheda dei patrioti e martiri della libertà.
Chiudo questa introduzione con un auspicio: e
cioè che la biblioteca del Ministero della Difesa acquisisca il libro di Avagliano a cui è
dedicato questo post (ma anche gli altri suoi testi). A tutt'oggi, l'unico
volume in possesso di questa biblioteca che riporti nel titolo il nome di Montezemolo si riferisce aLuca Cordero di Montezemolo.
-----------------------------------------
Note
1Tra i campi d’indagine dell’A. uno
dei più importanti è quello sui prigionieri italiani durante il secondo
conflitto mondiale, un settore per anni poco curato dalla storiografia (soprattutto accademica). Grazie ai suoi preziosi contributi, questo tema ha acquistato una decisa rilevanza. Tra gli ultimi testi, cfr. : Nemici o alleati, comunque prigionieri.
2La
pubblicazione dell’intervista avviene con un po’ di ritardo, per motivi
riconducibili a mie problematiche fisiche.
3 Per un’ampia rassegna delle
recensioni, cfr. il blog e il sito dell’A. .
V. anche i video Il colonnello della Resistenzae quello relativo alla presentazione del libro all'Università E-Campus. Qui e qui altri due video di presentazione del libro. Cfr. anche la seguente intervista a Mario Avagliano. Qui per il resoconto di un'altra presentazione del volume. Oltre al Premio Fiuggi, il libro ha vinto anche il Premio Gen. Div. Amedeo De Cia 2012.
4 Gli esecutori materiali della strage hanno ripetuto più volte che non potevano rifiutarsi di obbedire all'ordine di sparare perché altrimenti avrebbero fatto la fine dei prigionieri. Eppure, a parte quanto evidenziato oltre circa il rifiuto del maggiore Dobbrick, seguito da un analogo diniego del colonnello Hanser (14° armata), vorrei ricordare che il sottotenente Guenter Amonn, interrogato come teste al processo contro Kappler e altri, dichiarò :
"Avrei dovuto sparare ... (ud. del 12.6.1948) ma quando venne alzata la fiaccola e vidi i morti svenni... Rimasi inorridito a quello spettacolo. Un mio compagno mi diede un colpo e sparò per me". Tribunale Militare Territoriale di Roma, sentenza n. 631 del 20-07-1948. Ma è lo stesso Kappler, in definitiva, a smentire la tesi secondo cui chi non rispettava l'ordine sarebbe stato immediatamente giustiziato. Ecco infatti quanto affermò durante il processo contro di lui: "Trovai al mio ritorno che l’Hauptsturmführer Wetjen non aveva ancora sparato il suo colpo. Parlai con lui in una maniera amichevole e entrai insieme con lui nella caverna per sparare un altro colpo al suo fianco insieme con lui." Sentenza n. 631 del 20-07-1948. Wetjen non aveva sparato perché, come confessò a Kappler, quell'atto gli ripugnava. Eppure il suo superiore (cioè Kappler stesso) non solo non lo fece fucilare, ma gli parlò in maniera amichevole e quasi affettuosa. La sentenza citata è molto importante anche perché presenta un ritratto particolarmente incisivo di Kappler : "Egli è il nazista tipico: il suo interrogatorio ed il suo comportamento mettono in rilievo un uomo permeato di quei principi nazisti che, nella guerra, dovevano necessariamente sfociare nella non considerazione della personalità dei nemici e nella spietata subordinazione di tutti gli interessi a quelli della Germania e delle forze armate tedesche. Su questo piano non c'è norma giuridica che possa frenare: il diritto esiste nei rapporti interni dei tedeschi; per le popolazioni nemiche c'è la legge della forza. E' questo il piano sul quale si muovono i nazisti in guerra. Il Kappler poi, che è intransigente, ambizioso e permeato fino all'esasperazione di nazismo, opera con grande libertà d'azione perché vuole essere un operatore di primo piano, non un semplice esecutore di ordini, e rompe gli inciampi che vecchi uomini della Wermacht, educati in base a principi meno spregiudicati, potrebbero eventualmente frapporre.". Sulle deposizioni di Amonn e di altri, v. anche i portali dell'ANPI e del Ministero della Difesa.
Per inciso, dal video La strage delle Fosse Ardeatinecitato sopra, si apprende che almeno una delle vittime non era deceduta subito, ma dopo tre-quattro giorni di agonia. Non è un dettaglio da poco, visto che i responsabili dell'eccidio hanno cercato di attenuare le loro colpe dicendo che il metodo scelto (proiettile alla nuca) era il più adatto per evitare ogni sofferenza al 'condannato'. L'elenco aggiornato delle vittime delle Fosse Ardeatine
si trova anche nel post di Avagliano Fosse Ardeatine. Identificate altre due vittime. La storia del partigiano ebreo Marco Moscati.
A tutt'oggi, rimangono non identificate dieci salme. Accanto, un breve filmato sul 65° anniversario delle Fosse Ardeatine e sul convegno di Montecitorio su Montezemolo del 2009, con la presentazione del Presidente della Camera.
5 In realtà il suo lavoro interessava
anche altre regioni italiane; l'organizzazione raggiunse un organico di 12.000 unità, tra militari e civili. Nei nove mesi di occupazione di Roma da parte dei tedeschi (11 settembre 1943 – 4 giugno 1944),
l’attività di sabotaggio, e comunque di resistenza, assunse un rilievo particolare. Per comprendere l'importanza del lavoro svolto da Montezemolo come capo del FMCR, basterà citare la lettera (v. oltre) ricca di elogi e di gratitudine che il generale Alexander scrisse il 29 luglio 1944 alla moglie Amalia.
Vale la pena ricordare che nel ruolo di assoluta rilevanza svolto nell'ambito della Resistenza, Montezemolo non abdicò mai ai valori cristiani che lo avevano guidato sin da giovane. E che la sua sia stata un'esistenza vissuta all'insegna dei principi cristiani, è dimostrato anche dal fatto che il sito www.santiebeati.it gli ha dedicato una scheda abbastanza dettagliata. Inoltre, Luigi Accattoli lo ha annoverato nella sua opera Nuovi martiri tra i "Martiri della dignità della persona umana" (pag. 168, n. 254).
6Moellhausen appartiene a quella categoria di uomini che, pur occupando ruoli di prestigio nella macchina statale del Terzo Reich, cercò di conservare un’autonomia di pensiero e di azione -mettendo talvolta a repentaglio la carriera, la libertà personale e la vita stessa- e comunque di mantenere fede a quei principi di umanità e di rispetto per la personache Hitler aveva bandito.
Di Moellhausen parlano nei loro libri alcuni autori (soprattutto Robert Katz), ma in modo perlopiù schematico. È ricordato anche, ma senza gli auspicati approfondimenti, in talune puntate del programma "La storia siamo noi", in particolare in La strage delle Fosse Ardeatine, citato sopra.
Ripeto: Moellhausen è una figura su cui varrebbe la pena svolgere studi ad ampio raggio, per la sua attività in difesa degli ebrei e dei civili italiani. Studi che finora non mi pare che ci siano stati. Anzi, a tutt’oggi, neanche i più noti repertori enciclopedici on line (dalla “Treccani” a Wikipedia, quest’ultima né nella versione italiana, né in quella delle maggiori lingue europee) presentano una voce ad hoc. Se ne parla indirettamente, all’interno di biografie di altri personaggi (per esempio: Dollmann, Kesserling e Rahn).
Eppure Moellhausen è un uomo che non rinuncia agli ideali cristiani, pur in un clima di ferocia e di nefandezze. È un uomo, in definitiva, che fa capire come non tutti, tra i tedeschi che contavano, avessero perso la ragione, il senso della realtà e quella propensione alla pietas che nel mondo germanico aveva trovato in passato illustri esponenti. Moellhausen aveva vissuto lungo tempo in Italia e conosceva la nostra lingua al pari del tedesco. Quando Rahn si spostò al Nord, diventò praticamente l'ambasciatore tedesco a Roma presso lo Stato italiano, a Villa Wolkonsky.
Già prima del tentativo presso Kappler di cui parlo oltre, Moellhausen aveva dato prova del suo coraggio e del suo equilibrio. Dopo l’attentato di Via Rasella, di fronte all'intenzione del generale Kurt Maeltzer di far saltare in aria le case di quella via come rappresaglia, gli aveva detto chiaramente che se lo avesse fatto, egli (Moellhausen) sarebbe entrato in uno di quegli immobili e così Maeltzer avrebbe fatto saltare in aria anche il console generale
tedesco a Roma. Maeltzer, rispose in modo arrogante (secondo alcune fonti era ubriaco), intimandogli di non intromettersi in questioni militari; comunque decise di fermare i soldati tedeschi che intanto erano arrivati con l’esplosivo necessario per radere al suolo tutti gli edifici di Via Rasella.
Moellhausen si recò quindi all'Ambasciata tedesca e da lì telefonò al feldmaresciallo Kesserling, comandante delle forze militari tedesche in Sud Europa, l'unico in grado di fermare ulteriori tentativi di rappresaglia di Maeltzer.
Ma ancora prima, e precisamente il 6 ottobre 1943, Moellhausen aveva dimostrato di essere ben diverso da quei suoi connazionali fanatici che credevano ciecamente agli ordini di Hitler. Saputo della decisione di questi di deportare gli ottomila ebrei romani a Mauthausen, informò i vertici del Reich, a partire dal Ministro degli Esteri von Ribbentrop, che sarebbe stato più utile utilizzare quegli ebrei per rafforzare le difese della Capitale contro il nemico. E lo fece in un modo che rischiò di costargli la carriera e forse la libertà personale. Infatti, in un dispaccio a von Ribbentrop usò il termine “liquidazione” (parola tassativamente vietata da Hitler) riferita agli ebrei.
Ma non basta.
Moellhausen aveva preso posizione anche contro le efferatezze della Banda Koch, in accordo con Rahn.
Malgrado la sua ferma contrarietà nei confronti dei crimini del nazismo, grazie al talento e a una capacità di mediazione che ne facevano un diplomatico eccellente, Moellhausen rimase tra gli uomini di fiducia di von Ribbentrop, tanto che svolse, per incarico appunto di questi, il tentativo di armistizio con gli Alleati, tentativo avvenuto a Lisbona nel febbraio del 1945.
Nel 1967 Moellhausen fondò a Varese un'azienda, che in seguito si chiamerà Moellhausen S.p.A. (www.moellhausen.com). e, dopo di lui, sarà diretta dai figli Luca (fino al 2009) e Anthony. La sede attuale è a Vimercate (MB); Tel:+39 03-96856262; Fax:+39 03-96856263.
-----------------------
1. Lei ha già
dedicato, ai caduti della Resistenza, romana
e nazionale, diversi
importanti lavori. Non solo: questa è la
seconda biografia di
illustri militari italiani che sono stati uccisi alle Fosse Ardeatine. La precedente era su Sabato
Martelli Castaldi (Il partigiano Tevere), medaglia d’oro e collaboratore dello stesso Montezemolo. Quest’ultimo fu senz’altro la
più importante figura antifascista trucidata alle Fosse Ardeatine. Tra le vittime del massacro del 24 marzo 1944
ci sono altri militari che hanno collaborato con Montezemolo ? E inoltre:
come si colloca il suo ultimo contributo nella produzione sul fascismo e
sulla seconda guerra mondiale, nonché sulla Resistenza e in particolare su
quella romana ? Quali sono, in sostanza,
gli elementi che ritiene di aver aggiunto al quadro generale che si conosceva ? Ancora: ha scoperto altri documenti di
particolare rilievo, da utilizzare per nuove pubblicazioni ?
Sì, ci sono
altri militari che hanno collaborato con Montezemolo e che sono
stati trucidati dai nazisti alle Fosse Ardeatine. Vorrei
ricordare che Kappler, quando si trattò di compilare l’elenco dei nominativi
che dovevano rappresentare la rappresaglia ordinata personalmente da Hitler per
l’attentato di Via Rasella, scelse prima di tutto i
militari del Fronte Militare Clandestino Romano che erano incarcerati o a Via
Tasso o nel terzo braccio della prigione di Regina Coeli, terzo
braccio che era la sezione di Regina Coeli gestita direttamente dai tedeschi. La scelta di
Kappler va attribuita alla sua convinzione che Montezemolo -e i suoi
collaboratori- fossero i più temibili
nemici della Germania e quindi, dal
suo punto di vista, selezionare prima di tutto gli uomini del FMCR per
la rappresaglia aveva un senso ben preciso.
La divisa di Montezemolo.
Se non sbaglio Kappler aveva anche messo una taglia su
Montezemolo.
Esatto, di due milioni di lire: una somma enorme
all’epoca. D’altra parte,
Kappler non aveva torto a considerare Montezemolo e gli uomini
del FMCR una minaccia per i tedeschi, quando si consideri che il contributo che
i militari del Fronte diedero alla Resistenza romana fu molto rilevante, decisivo
direi, con un pesante riscontro in termine di perdite umane. Basti pensare che a Roma, nei nove mesi
dell’occupazione tedesca della Capitale (settembre 1943-giugno 1944), il Fronte
Militare Clandestino ebbe non meno di 253 caduti, tra militari e civili. Di questi, almeno 70 (su 335 vittime) furono assassinati alle Fosse Ardeatine, con
una modalità (colpo alla nuca tramite
pistola) particolarmente efferata.
Quindi Montezemolo non venne fucilato, come si legge in
alcune fonti (per esempio Wikipedia e sul portale dell'INSMLI).
No, anche Montezemolo fu trucidato con un colpo alla nuca. Questa
modalità venne decisa dallo stesso Kappler, che peraltro partecipò
assieme ad altri ufficiali delle SS alle esecuzioni, anche per dare coraggio
a quei soldati che avrebbero potuto manifestare qualche segno
di incertezza di fronte appunto ad una procedura così inusuale e feroce.
La strage comunque venne compiuta dalle SS, non da
soldati della Wehrmacht: è così ?
Sì, a compiere
il massacro furono le SS.
Ma per tornare
alle vittime della Resistenza romana durante l’occupazione tedesca, vorrei
ricordare che ai 253 caduti citati sopra, vanno aggiunti altri 28 che
furono uccisi tra Forte Bravetta, La Storta e Forte Boccea.
Per il loro
eroismo, i componenti del FMCR sono stati insigniti di un alto numero di decorazioni. Basti pensare che in soli nove mesi di
occupazione tedesca, al FMCR furono assegnate ben 27 medaglie d’oro al valor
militare, 22 medaglie d’argento e 54 medaglie di bronzo.
Ferruccio Parri
Un bilancio
assolutamente straordinario, che testimonia il contributo eccezionale di
Montezemolo e del FMCR alla guerra di liberazione.
Per quanto
riguarda proprio Montezemolo, Ferruccio Parri,
nel Dopoguerra, scrisse che il
riscatto dal pauroso naufragio morale dell’8 settembre era avvenuto attraverso alcune
figure di militari e citò tre nominativi di particolare spessore: Perotti a
Torino, Rossi a Genova e Montezemolo a Roma. Quindi lo stesso Parri, un padre della
Patria, della Repubblica, testimoniò che Montezemolo era stato una delle figure
più importanti della Resistenza
italiana ad opera dei militari.
Malgrado ciò,
nei miei incontri in varie parti d’Italia per presentare il libro, ho
dovuto constatare purtroppo che ben pochi, anche tra gli
adulti, sapevano qualcosa di questo illustre personaggio.
In genere, il suo cognome veniva accostato a quello di Luca Cordero di Montezemolo, già presidente di Confindustria e attuale presidente della Ferrari.
Le decorazioni di Montezemolo.
In realtà, Giuseppe Montezemolo assurge ad esempio, a simbolo, di come, nella storia della Resistenza, l’apporto dei militari e dei moderati alla guerra di liberazione sia stato spesso ignorato o cancellato dalla storiografia. A questi uomini è toccato lo stesso destino che hanno subito per tanto tempo gli internati militari italiani, rimasti nell’ombra per decenni.
La figura di
Montezemolo, quindi, è importante anche perché, con la
conoscenza della sua storia personale, si rimedia ad una ricostruzione della Resistenza che, come ha dichiarato nel suo brillante intervento Carlo Ripa di
Meana, presentando il libro al Museo Storico della
Liberazione di Via Tasso, finora è stata una narrazione parziale di quello che
è veramente accaduto in quei tragici mesi che vanno dal settembre 1943
all’aprile-maggio 1945.
Locandina di una delle tante presentazioni del libro.
E in quest’opera di chiarificazione lei ha apportato un
contributo fondamentale, visto che, se non erro, la sua è la prima
biografia organica su Montezemolo, un testo che colma un vuoto durato per
decenni su questo personaggio.
È così. Recensendo il libro, il collega storico Andrea Rossi,
ha fatto i nomi di Carlo Pisacane, per quanto riguarda il Risorgimento ed
Enrico Toti per la Grande Guerra. Rossi
ha evidenziato il fatto che sarebbe un po’ come se di questi due grandi eroi si fosse parlato
soltanto settant’anni dopo. Un paragone calzante,
che fa capire anche qualcosa delle scelte di una parte almeno dei nostri storici. La stessa cosa vale per Montezemolo.
2. Tra i diversi ruoli che ha ricoperto, anche
prima di diventare un capo della
Resistenza, in quale Montezemolo ha dato il meglio di sé: quello strettamente
militare, di intelligence, politico,
diplomatico (rapporti con gli alleati)
? O che altro ?
Monumento a Giuseppe Dezza
Montezemolo è
un militare che proviene da una famiglia di militari: sia il nonno paterno che
il padre (generale dell’esercito) avevano indossato la divisa. Il nonno materno, Giuseppe Dezza, era un garibaldino
di un certo rilievo. Basti pensare che organizzò un incontro molto importante
tra lo stesso Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Ma in precedenza, parecchi degli antenati del colonnello Montezemolo avevano
partecipato attivamente alla storia militare d’Italia, servendo agli ordini dei Savoia. Si può quindi affermare che già nel DNA di
Montezemolo, nei suoi cromosomi, c’è il patriottismo. Tra l’altro, giovanissimo
studente liceale (quattordici anni) si schierò per l’intervento nella
Grande Guerra e ad appena diciassette anni si arruolò volontario nel corpo
degli alpini. Alla luce di questo
quadro, posso rispondere che Montezemolo è, prima di tutto, un grande militare,
un soldato di prim’ordine, che partecipa a ben quattro guerre: il primo
conflitto mondiale; la guerra di Spagna
dalla parte di Franco; la seconda guerra
mondiale; la guerra di liberazione. E nel corso di questi conflitti riceve un alto
numero di medaglie e di riconoscimenti prestigiosi per meriti bellici, non solo
da parte dello Stato italiano, ma addirittura, per quanto riguarda la seconda guerra mondiale, da parte degli
alleati dell’epoca, cioè della Germania. Montezemolo è un militare con un talento e competenze
decisamente superiori alla media, qualità che gli permisero di avere ai suoi
ordini anche dei generali, il che non sempre veniva accettato serenamente da
questi ultimi. D'altra parte, non mancava certo di doti
politiche e diplomatiche, come ha dimostrato per esempio durante il periodo
della sua guida dell’ FMCR. Queste sue
doti emergono anche dal fatto che riesce a dialogare pure con quei settori del CLN a
maggioranza social-comunista, che peraltro avevano scelto proprio lui -fervente cattolico, monarchico,
anticomunista e per di
più ‘semplice’ colonnello- come interlocutore; non volevano avere a che
fare con i generali. Nel
Dopoguerra Montezemolo avrebbe potuto facilmente dimostrarsi un politico di
prima vaglia, nella nostra Repubblica. Nel
referendum istituzionale (1946) avrebbe scelto la monarchia, anche se in seguito non avrebbe votato Partito
Monarchico. Da buon militare, rimane fedele ai Savoia, anche per tradizioni
familiari, ma non è disposto ad appoggiare formazioni politiche
che, pur rifacendosi ad ideali monarchici, in realtà si presentano agli
elettori con candidati dal passato non sempre limpido e con un programma in cui
non mancano le zone d’ombra.
3. Nelle
innumerevoli recensioni che hanno accompagnato il libro, colpisce soprattutto il
ricorso alla formula “Un eroe dimenticato”
("La Nazione", "Il Giorno", "Il Resto del Carlino", "Pagine
Ebraiche", Blog di Dino Messina sul "Corriere"; per non parlare della stampa locale e di quella web). Secondo lei, si tratta di una
presentazione adeguata, visto che comunque, anche se la bibliografia su di lui non è particolarmente ampia, in
questi anni Montezemolo è stato oggetto (a parte le commemorazioni) di studi e di dibattiti ad alto livello
? La sua biografia è certamente la più
completa che sia apparsa finora sul colonnello partigiano, ma vorrei ricordare, oltre ai testi a stampa precedenti (libri e articoli, e tra questi ultimi,
segnalo almeno i suoi), soltanto il convegno svoltosi alla Camera dei Deputati
il 24 marzo 2009, in occasione del 65°
anniversario del sacrificio di Montezemolo e delle Fosse Ardeatine. Quie quile registrazioni e il video di quanti sono intervenuti al suddetto convegno, aperto da un discorso del Presidente della Camera (v. anche, sopra, il video della nota n. 4).
Roburent (CN): ricordo
di Montezemolo e D'Acquisto.
Del
silenzio su Montezemolo parla poi Paolo Mieli nella risposta ad un lettore . Forse bisognerebbe
chiedersi piuttosto per quale motivo gran parte degli storici accademici non ha
ritenuto di doversi occupare di Montezemolo, malgrado il ruolo decisivo che egli
ha svolto nella Resistenza. A che cosa
si deve attribuire, a suo giudizio, questa ‘amnesia’ ? E
inoltre: ritiene che ci siano altri nomi, nella Resistenza italiana, tenuti
ancora in ombra e comunque non sufficientemente studiati e valorizzati ? Certo, io non
sono il primo ad essermi interessato di Montezemolo. Vorrei ricordare, ad esempio, il pregevole libro
di Sabrina Sgueglia 1 presentato
alla Camera nel 2009 (come ricordo
anch’io nell’Introduzione). Il lavoro di
questa ricercatrice, però, ha avuto diffusione soprattutto nell’ambiente
militare e comunque parla dell’FMCR, non tanto di Montezemolo, della sua vita, del suo pensiero, della sua azione
politica. Effettivamente, come lei
osserva, io sono stato il primo ad aver scritto una biografia completa ed aggiornata
su questo eroe della nostra Resistenza.
Un eroe di cui comunque non si parla ancora a sufficienza. L’amnesia
di cui lei parla, l’oblio e il silenzio che hanno avvolto Montezemolo e
il FMCR, dipendono in primo luogo dal fatto che lui era un moderato e un monarchico, un
personaggio cioè scomodo, non compatibile con gli indirizzi resistenziali
prevalenti. Non bisogna dimenticare che
nel clima di guerra fredda che è durato per decenni, si è imposta nel nostro Paese un’idea
della Resistenza fatta soltanto da comunisti e socialisti e comunque da uomini
di sinistra, con qualche rara presenza di esponenti di altri partiti, ad esempio di quello d’Azione. D’altra
parte, le nostre FF.AA. non vollero (o
non seppero) valorizzare il grande contributo che i militari italiani hanno
dato alla guerra di liberazione. Un
contributo che si è espresso in tanti modi: internati militari, il Corpo Italiano
di Liberazione, i gruppi militari come l’FMCR, vari episodi all’indomani dell’8
settembre (vedi ad esempio il
massacro di Cefalonia). Ma neanche i moderati ebbero interesse a
valorizzare la pagina della Resistenza, anche perché si trattava comunque di
una fase storica che rappresentava un ribaltamento dell’ordine costituito
precedente, mentre i moderati in un certo qual modo si servirono della
continuità dell’apparato statale fascista, pur in un quadro rinnovato alla luce
della Costituzione e delle riforme. Sul
fronte opposto, le sinistre esaltavano soltanto i loro eroi, escludendo quanti appartenevano ad altri
schieramenti politici. Il risultato finale è questo "capolavoro" ambiguo del racconto di una Resistenza 'monca', una Resistenza fatta soltanto dai
partigiani con i fazzoletti rossi e dai gappisti nelle città, mentre la Resistenza
fu molto altro, fu un fenomeno assai più ampio e articolato. Insomma, un’immagine, come si può
intuire, non corrispondente alla realtà. Un personaggio
come Montezemolo, moderato, monarchico, cattolico, anticomunista, non poteva
certo essere ben visto da gran parte della Resistenza. Ma se è vero, come è vero, che la Resistenza
è stata un fenomeno di massa, è legittimo, e doveroso, ricordare che quanti
hanno combattuto per essa non erano -e
non potevano essere- espressione di un
unico pensiero o movimento politico. È
necessario ridare voce e dignità a tutti coloro i quali, indipendentemente
dall’orientamento politico, si sono opposti con le armi, rischiando la loro
vita e quella dei loro cari, alla violenza nazi-fascista per la liberazione dell’Italia. 4. Lei
rappresenta un magnifico esempio di studioso e di autore di saggi di storia
contemporanea che utilizza da anni, per la ricostruzione di periodi storici o della
vita di singoli personaggi, fonti spesso ignorate e comunque giudicate con una
certa sufficienza dagli storici accademici, quelli per i quali valgono
soltanto, o quasi esclusivamente, i documenti d’archivio, e diffidano di tutte le
altre fonti. Questo suo volume, con
interviste a testimoni dell’epoca e la riflessione su libri di memorie,
l’analisi di centinaia di documenti (molti
dei quali inediti o rari e introvabili), saggi, libri e la consultazione degli archivi
familiari -oltre, ovviamente, al lavoro negli archivi ufficiali, nello specifico dello Stato
Maggiore dell’Esercito-, costituisce
una delle tante manifestazioni di tale approccio. Condivido
pienamente la sua impostazione metodologica, perché anch’io sono convinto che
non sempre, all’interno degli archivi, si trovi tutto il materiale per la
realizzazione di un’opera veramente completa e attendibile. Gli archivi costituiscono una parte
fondamentale del lavoro dello storico, certo, ma non devono rappresentare l’unica fonte. L’apporto che possono fornire le testimonianze
(di cui non si trova traccia negli
archivi) di chi ha vissuto in prima
persona determinati eventi e comunque raccolto con fedeltà i ricordi dei presenti,
rappresenta un patrimonio difficilmente sostituibile, uno scrigno prezioso di memorie,
di conoscenze, di emozioni, di calore umano, che può arricchire in modo
determinante qualunque ricostruzione storica. Testimonianze e ricordi assumono infatti spesso il
valore di documenti eccezionali di vita vissuta con una forte carica di coerenza,
di impegno e di sano idealismo, rivelano particolari inediti, destinati
altrimenti a rimanere ignoti, disegnano ritratti psicologici essenziali per la
comprensione del passato. Se così non
fosse, non si capirebbe il perché di
certi progetti varati da tempo, come quello di un archivio di testimonianze
orali dei sopravvissuti alla Shoa
. Nella realizzazione di quest’opera, qual è stato l’incontro che l’ha
maggiormente gratificata sul piano professionale (e anche umano) ?
Sì, anche in
questo volume, che è appunto una biografia, io cerco di seguire un metodo che è
un po’ diverso da quello tradizionale.
In primo luogo, però, documento rigorosamente tutto ciò che scrivo: non
per nulla, la parte finale del volume è costituita da trentanove pagine di
note, che attestano che tutto ciò che scrivo è frutto di una ricostruzione
dettagliata e verificabile e non di una narrazione romanzata. Nelle note si trovano documenti di vario
genere: lettere, diari, testimonianze, precisi riscontri rispetto a quanto
affermo nel testo. La decisione di porre le note alla fine è stata presa di
comune accordo con l’editore, per non appesantire la lettura di chi non è
interessato a questo tipo di approfondimento.
Uno degli elogi che ho più apprezzato è stato quello di Aldo Cazzullo,
il quale, recensendo il libro per il
“Corriere”, ha definito l’opera
“un romanzo non romanzato”. È una
definizione che trovo appropriata, perché non c’è bisogno di romanzare una
storia di per sé così commovente, interessante, intrigante, emozionante. Basta semplicemente raccontarla, far parlare
i protagonisti e chi ha vissuto quei momenti, dar voce ai documenti.
Personalmente sono contrario a romanzare i fatti storici.
Già. Ma
per tornare alla domanda di prima, devo aggiungere che gli incontri più
emozionanti sono stati quelli con i figli di Giuseppe Montezemolo, in particolare Adriana e Andrea, che mi hanno
aiutato molto nella ricostruzione della vita del padre, con grande
disponibilità e dimostrandosi oggettivi e umili. Nella presentazione del libro al Museo della Resistenza
di Roma, il figlio di Montezemolo, il cardinale Andrea, ha detto di aver letto
il volume d’un fiato e di aver rivissuto quei terribili momenti del suo
passato. Una testimonianza che ho
apprezzato particolarmente e che mi ha gratificato molto, perché era mio
intento ricondurre il lettore a quella carica di emozioni, di drammi, di
eroismo, di tragicità, di umanità, che ha caratterizzato quel periodo storico.
5. La vicenda
di Montezemolo, oltre che un mirabile esempio di riscatto dall’oppressione nazi-fascista
e di riaffermazione dell’identità nazionale attraverso il sacrificio della
propria esistenza, rappresenta anche, purtroppo, un esempio di tradimento. Il capo del Fronte Militare Clandestino di
Roma, infatti, venne arrestato il 25 gennaio 1944, imprigionato a Via Tasso,
torturato durante una detenzione di 58 giorni e trucidato alle Fosse Ardeatine
il 24 marzo 1944. All’origine di tutto
questo c’è una delazione. La tesi
secondo cui a tradirlo sia stato un altro monarchico come lui, che avrebbe rivelato il suo nome sotto tortura da
parte dei tedeschi e in cambio sarebbe stato rilasciato, è sicuramente provata o
sono ancora valide altre ipotesi ? Per
esempio, quella che a segnare la fine di Montezemolo sia stata la volontà
dell’ala massimalista del PCI, che non vedeva di buon occhio il fatto che
Montezemolo intrattenesse ottimi rapporti con Giorgio Amendola e altri
esponenti comunisti moderati e inoltre avesse predisposto un piano per assumere
il comando di Roma nel caso di una ritirata dei tedeschi (un piano,
evidentemente, che contrastava con la linea del PCI intransigente).
Tessera di riconoscimento di Montezemolo nel periodo della clandestinità.
E inoltre: che consistenza assunse il fenomeno appunto della delazione
all’interno della Resistenza, soprattutto di quella romana ? E quali erano i motivi più frequenti per i
quali si tradiva ? Tortura ? Ricatto da parte dei nazi-fascisti ? Denaro ? Rancori personali ? O che altro ? Infine : per quale motivo, viene da
chiedersi, quando il generale Quirino Armellini, inviato a Roma dal governo di
Brindisi con l’incarico di
‘sorvegliare’ Montezemolo per
certe sue frequentazioni comuniste (appunto
Amendola e altri esponenti del PCI; in sostanza, Montezemolo era considerato
quasi un reazionario dall’ala massimalista del PCI, mentre il re e alcuni dei
suoi collaboratori diffidavano delle sue frequentazioni con uomini del PCI, sia
pure moderati), chiese allo stesso di scambiare il colonnello con un prigioniero
tedesco di pari rango, Badoglio non fece nulla in tal senso ? Eppure Montezemolo, già segretario di
Badoglio, era in contatto con il medesimo governo del sud e, anzi, agiva in suo nome. Che ruolo ha giocato il re in questa vicenda
del mancato scambio di prigionieri ?
Ancora: i torturatori di Montezemolo erano italiani o tedeschi ? Se
ne conosce l’identità ? Qualcuno di loro
ha scontato con la reclusione i suoi crimini ?
Durante la prigionia di Montezemolo a Via Tasso,
la sua famiglia -anche se era
stata costretta alla clandestinità- e
altri parenti, cercarono di liberarlo.
Il fratello Renato pensò ad un colpo di mano, mentre la cugina il 19
marzo 1944 fu ricevuta in udienza dal Papa.
Può fornire maggiori dettagli su questi due tentativi ? In particolare: in che cosa consisteva il
piano del fratello e quali erano eventualmente i canali che Pio XII si
proponeva di utilizzare per condurre l’impresa ? Ci furono altri tentativi per liberare
Montezemolo (p.e.: contatti con ambasciate di paesi
neutrali, con particolare riguardo alla Svezia e alla Svizzera, per una intermediazione)
?
Sull’arresto di Montezemolo esistono diverse
ipotesi, ma è un terreno su cui
bisogna muoversi con cautela, anche per evitare azioni legali da parte dei parenti degli
interessati. Di sicuro escluderei
l’intervento dell’ala massimalista del PCI, perché il PCI a Roma era compatto,
non esisteva una fronda contro Amendola. Non ritengo convincente la tesi secondo cui i
massimalisti del PCI abbiano voluto far fuori Montezemolo. Armellini provava una certa
invidia nei confronti di Montezemolo
(forse lo odiava), proprio perché Montezemolo era inferiore di
grado. E già questo era un forte
elemento di diffidenza e di rancore; in più, il fatto che Montezemolo fosse considerato dal
CLN un interlocutore privilegiato non era certo gradito ad Armellini. Certamente
la delazione -nei confronti di
Montezemolo ma anche di altri patrioti italiani, spesso denunciati da
infiltrati- ci fu, e purtroppo non va ad onore di una parte della popolazione
italiana, che si piegò (per necessità o
per convinzione) alle logiche del
nazi-fascismo. Questa subordinazione emerge in modo
decisamente pesante dalle modalità dell’arresto. Montezemolo venne infatti arrestato il 25
gennaio 1944, mentre stava uscendo da una riunione clandestina, da poliziotti italiani. Questi stessi poliziotti però, poco dopo, lo
consegnarono alle SS che erano appostate nelle vicinanze. Si tratta, insomma, di una delle tante prove
del collaborazionismo
che ci fu tra gli apparati italiani di repressione e le forze tedesche. I torturatori erano tedeschi, perché il
carcere di Via tasso era nelle mani dei tedeschi. Non se ne conosce l’identità. Effettivamente,
la famiglia di Montezemolo cercò di organizzare un colpo di mano per liberarlo;
il generale Sabato Martelli Castaldi, anche lui detenuto a Via Tasso, fece arrivare ai familiari
di Montezemolo una mappa della prigione. Il PCI cercò di organizzare un
piano per liberare tutti i detenuti, ma all’ultimo momento questo tentativo fu
abbandonato. Il papa tentò di fare qualcosa attraverso il suo braccio
destro, Montini, futuro Paolo VI, ma senza esito, per la forte ostilità di
Kappler verso Montezemolo.
Pio XII tra gli abitanti del quartiere romano di San Lorenzo dopo il bombardamento del luglio 1943.
Altri tentativi, invece, andarono a buon fine, come ad esempio quello di
Giuliano Vassalli, il quale fu liberato grazie al Vaticano. 6.
Come già osservato, Montezemolo figura tra le vittime delle Fosse Ardeatine. Lei ha dedicato alcuni lavori a questo episodio,
comprese interviste a Rosario Bentivegna (v. ad esempio: Roma occupata scelse la Resistenza). Di fatto, anche se Montezemolo era contrario
a questo tipo di azioni, e malgrado la circostanza che la sua struttura,
d’impronta moderata e monarchica, si ponesse in concorrenza con quella dei
GAP, la fornitura delle armi, delle
bombe e soprattutto dell’esplosivo nascosto nel carretto di Rosario Bentivegna,
furono possibili proprio grazie al suo gruppo (l’azione partigiana, comunque,
venne autorizzata da Giorgio Amendola).
Tuttavia, a parte l’aspetto giudiziario
(che ha coinvolto in primo luogo Bentivegna), come sa, il dibattito
sull’episodio nel corso degli anni è stato piuttosto vivace, con giudizi di
esplicito biasimo verso la scelta dei GAP.
Ancora oggi, non mancano coloro i quali sollevano delle obiezioni
sull’opportunità dell’azione partigiana e sul modo di rispondere all’ultimatum
tedesco di consegnare gli esecutori dell’attentato (ammesso che tale ultimatum ci sia stato). In sostanza, le critiche sono riassumibili,
almeno in parte, nei seguenti punti :
a. i
tedeschi avevano avvertito, con una serie di manifesti affissi nella Capitale diverso
tempo prima di Via Rasella, dell’inevitabile rappresaglia in caso di azioni partigiane
contro di loro, indicando già il rapporto di uno a dieci;
b. i soldati
tedeschi periti nell’attentato, appartenenti all’ 11a compagnia del
3° battaglione di polizia militare “SS-Polizei-Regiment
Bozen” (reggimento formato da tre
battaglioni), erano altoatesini (in origine italiani di lingua tedesca, poi
optarono per la cittadinanza germanica, quando i tedeschi annessero al Reich quei
territori), erano perlopiù riservisti adibiti a funzioni di ordinepubblico, non
erano stati impegnati in prima linea (anche
per modesta prestanza fisica: alcuni di loro erano stati dichiarati inabili al
combattimento e ad altre funzioni belliche) e fino ad allora non si erano macchiati di
efferatezze. A conferma della tesi
secondo cui si sarebbe trattato di un obiettivo poco mirato, si cita il fatto
che il comandante del 3°
battaglione, il maggiore Helmut Dobbrick, quando gli venne ordinato di procedere alla rappresaglia, sentiti i
suoi uomini, oppose un netto rifiuto, a cui seguì la denuncia del suo
superiore Kappler al generale Karl Wolff, comandante del reggimento Bozen
(in realtà senza conseguenze per Dobbrick). Se i soldati del "Bozen" fossero stati delle iene, si fa notare, non avrebbero certo
respinto la prospettiva di vendicarsi, tanto più che provenivano da una zona dove
la politica di italianizzazione forzata imposta da Mussolini aveva provocato malcontento
e ostilità tra i germanofoni.
Il laconico comunicato del comando tedesco in cui si dava notizia della scomparsa di Montezemolo.
c. Vittime
dell’attentato furono anche cittadini italiani che passavano per quella via (o nelle immediate vicinanze), del tutto ignari di quanto stava accadendo.
Ancora oggi non si conosce il numero esatto di vittime tra gli italiani,
ma certamente, secondo molti, furono di più di quelle dichiarate ufficialmente.
d. Gli effetti
della deflagrazione furono amplificati dal fatto che i soldati del “Bozen” avevano
addosso delle bombe a mano, che esplosero assieme a loro, producendo tra
l’altro ulteriori danni negli edifici della zona (molti dei quali appartamenti
di civili). I gappisti, si fa notare,
non potevano ignorare questo 'dettaglio', visto che avevano studiato l'attentato per giorni.
e. Una
volta riavutisi dalla sorpresa, i soldati tedeschi superstiti cominciarono a
sparare contro le finestre degli appartamenti di Via Rasella,
perché credevano che l’esplosivo fosse stato lanciato da una di quelle
finestre. Anche questo particolare non poteva essere ignoto agli attentatori.
f. A
fronte della sicura ritorsione tedesca
(in base ai manifesti già citati, e quindi a prescindere dal fatto che l'ultimatum ci sia stato o meno), i
partigiani che parteciparono all’azione non ritennero opportuno presentarsi al
comando tedesco per evitare la vendetta. Quest'ultimo aspetto, forse, è quello più controverso e meriterebbe ulteriori approfondimenti.Secondo lei, se lo avessero fatto, l’eccidio delle
Fosse Ardeatine si sarebbe evitato o non sarebbe cambiato niente ? Su
questo punto ancora oggi esiste una forte divergenza di opinioni, che talvolta
lasciano spazio a giudizi di condanna forse troppo frettolosi e comunque poco
ponderati.
Resta però il fatto che in altre circostanze -per esempio negli episodi di Salvo
D’Acquisto (settembre 1943) e in quello
di Fiesole dell’agosto 1944, dove i tre giovani carabinieri Vittorio Marandola,
Alberto La Rocca e Fulvio Sbarretti, si consegnarono ai tedeschi- questi ultimi si accontentarono del loro
sacrificio, risparmiando la vita di ventidue ostaggi destinati alla fucilazione
nel caso del primo e di dieci vittime scelte tra gli abitanti del luogo per il
secondo. In altre situazioni, invece, i
tedeschi si comportarono in modo decisamente criminale. Valga, a titolo di esempio, il caso di
Vincenzo Giudice: le 72 persone (tra cui diversi bambini) scelte come capro espiatorio per l’uccisione
di un soldato tedesco (uno solo) vennero ugualmente massacrate, malgrado la
sua offerta di sostituire gli ostaggi con la sua vita (16 settembre 1944). (A tutti e quattro gli eroi citati, oltre che a
D’Acquisto, è stata conferita, alla memoria, la medaglia d’oro al valor militare. V. anche la commemorazione
del 2012, del 68° anniversario del sacrificio di Fiesole.) D’altronde, nel 1999 la Corte di
Cassazione ha riconosciuto la legittimità dell’azione di Via Rasella e la
stessa Cassazione, con sentenza del 2007, nel confermare che l’azione dei GAP
andava considerata come un "legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante",ha precisato
che i tedeschi non avevano diffuso alcuna richiesta di consegna agli
autori dell’attentato, per evitare la rappresaglia. Inoltre, la stessa comunità ebraica romana,
come lei ha ricordato sul portale dell’ebraismo italiano, "Moked", in occasione della scomparsa di Rosario Bentivegna,
lo considera un eroe, malgrado il fatto che tra le 335 vittime delle Fosse Ardeatine figurino ben 75 ebrei.
Il dibattito su Via Rasella è ancora in corso, ma
esistono dei punti fermi dai quali non si può prescindere.
Sicuramente
Montezemolo, come lei ricorda, era contrario ad azioni militari contro i
tedeschi nelle città (soprattutto a
Roma) e lo scrisse nelle direttive che
inviava ai gruppi di patrioti che operavano nell’Italia occupata. Il suo timore era proprio quello delle
rappresaglie. Per quanto riguarda i manifesti, vorrei ricordare che non risulta
che i tedeschi abbiano affisso dei manifesti o che ci siano stati annunci
radiofonici per invitare gli autori dell’attentato a consegnarsi. Non esistono documenti al riguardo, né
cartacei né audio.
Circa
i soldati tedeschi periti nell’attentato, vorrei sottolineare che comunque i
militari del reggimento "Bozen" in seguito furono impiegati anche in azioni di
rappresaglia contro i civili. D’altra
parte, i partigiani non sapevano che erano altoatesini. E in ogni caso erano
altoatesini che avevano optato per la cittadinanza tedesca al momento
dell’annessione dell’Alto Adige al Reich.
A loro merito va comunque osservato che, come io scrivo nel libro e come
lei evidenzia, il loro comandante si rifiutò di partecipare alla rappresaglia,
per motivi religiosi. Sulle
vittime italiane dell’attentato, è vero, almeno due italiani perirono a seguito
dell’azione. Comunque, poco prima dell’attentato, i gappisti avevano cercato di
allontanare gli italiani che stavano passando per quella via e in parte ci
riuscirono, stando almeno alle loro testimonianze.
L'ingresso delle Fosse Ardeatine ieri
e oggi.
Sul fatto che gli autori dell’attentato non si siano consegnati ai tedeschi, vorrei
ricordare, oltre a quello che ho detto prima circa l’assenza di annunci stampa
o radiofonici, che la rappresaglia venne organizzata ed eseguita nella massima
segretezza e in tempi strettissimi
(circa 24 ore), per cui nessuno poteva sapere qualcosa prima della
strage. Si seppe qualcosa solo il giorno
dopo, quando l’agenzia Stefani pubblicò l’annuncio dell’attentato e della ritorsione,
annuncio che terminava con la frase
“L’ordine è già stato eseguito”. D’altronde,
non bisogna dimenticare la scelta del sito in cui venne compiuta la
rappresaglia, appunto le Fosse Ardeatine
(un luogo fuori dalla città e molto appartato), nonché le misure
adottate per nascondere l’eccidio, con una serie di esplosioni che dovevano
impedire l’accesso al luogo della strage.
Inoltre, quando, nelle ore successive, i familiari delle vittime si
presentarono a Via Tasso e a Regina Coeli per avere notizia dei loro cari, i
tedeschi celarono il fatto che erano stati uccisi nella rappresaglia. Soltanto
dopo alcuni giorni i familiari ricevettero la scarna comunicazione della
scomparsa dei loro cari. Tutti questi
dati rappresentano prove abbastanza inequivocabili del fatto che i tedeschi
volevano agire in assoluta segretezza e in tempi strettissimi, perché erano ben
consapevoli del crimine che avevano commesso.
Forse è anche per questo che, secondo
alcune fonti, i soldati tedeschi che parteciparono al massacro erano ubriachi 2. D’altra parte,
non tutti i tedeschi si comportarono come belve. Basti pensare ai tentativi portati avanti dal
console generale a Roma Friedrich Eithel Moellhausen per evitare che la rappresaglia assumesse
proporzioni apocalittiche, come quelle che all’inizio aveva fatto capire Hitler
(distruzione di un intero quartiere con
tutti i suoi abitanti; uccisione di almeno 50 italiani per ogni tedesco perito
nell’attentato). Come disse a Kappler in
un ultimo, disperato tentativo per evitare la strage: “Non ho autorità per
intervenire. Ma sono venuto per supplicare di non consegnare al plotone di
esecuzione degli innocenti, per scongiurare di riflettere bene sulla tremenda
responsabilità che implica questa rappresaglia, davanti agli uomini e
soprattutto davanti a Dio”.
In ogni caso, i comandi tedeschi presero
tutte le precauzioni per impedire che si sapesse qualcosa. L'esempio di Salvo D’acquisto non è particolarmente indicativo, perché lui era presente
ai fatti e quindi conosceva perfettamente le intenzioni dei tedeschi.
D’altronde,
come lei fa notare, anche la giustizia italiana ha riconosciuto che l’atto di
Via Rasella andava considerato come una legittima azione di guerra.
Si può discutere sull’utilità o meno
dell’atto, ma vorrei ricordare che, ad esempio, le radio alleate magnificarono subito
l’azione, un giudizio che legittimava l’attentato e dava coraggio e impulso a
tutti i gruppi partigiani che operavano in Italia. D'altro canto, sull'altro piatto della bilancia, ci sono le 335 vittime della rappresaglia.
La lettera del generale Alexander alla moglie di Montezemolo.
7. Tra le tante
recensioni, spicca senz’altro quella dell’ "Osservatore Romano" del 25 aprile 2012. Non capita spesso che il quotidiano ufficiale
della Chiesa si occupi della Resistenza.
A cosa attribuisce questa speciale attenzione, mostrata per di più in un
giorno particolarmente carico di significati storici ed etici (il 25 aprile, appunto) ?
L’"Osservatore Romano" ha dimostrato più
volte attenzione per gli ebrei e la Resistenza, come ho potuto rilevare nel
corso degli anni. Non bisogna
dimenticare che Montezemolo era un fervente cattolico, oltre che un patriota.
8. Per molti
anni in Italia la storiografia e il dibattito sulla Resistenza hanno praticamente ignorato -e comunque mantenuto ai margini- i contributi alla liberazione da parte di movimenti politici
moderati e in ogni caso
non di sinistra, nonché la partecipazione all’epopea resistenziale di esponenti
delle forze armate, a meno che non manifestassero simpatie per la
sinistra. Ritiene che oggi la
situazione sia mutata, oppure il
cammino da fare è ancora lungo ?
Federico Orlando
I
militari, anche se hanno dato un grande contributo alla lotta di liberazione,
affrontando con grande coraggio e dignità il loro destino di martiri, compaiono
in prima fila tra gli esclusi, come ha ricordato Federico Orlando su Europa del 25 aprile 2012. Non contribuisce a rimuovere la convinzione
che in alcuni ambienti di sinistra non amino molto parlare di certi argomenti,
il fatto che il suo libro sia
stato recensito da un numero relativamente modesto di giornali dichiaratamente
di sinistra.
Qualcosa è cambiato, ma c’è ancora parecchio cammino da fare. Basti pensare che qualcuno ha trovato scorretto l’accostamento di Montezemolo alla Resistenza, anche nel titolo, perché -in base agli schemi tradizionali- un militare non si schiera per una parte, per una fazione, ma per l’intero paese. Il titolo è sembrato inopportuno, eccessivo, quasi che definire partigiano un ufficiale fosse un insulto o qualcosa del genere. Sicuramente lo stesso Montezemolo preferiva dichiararsi un patriota, piuttosto che un partigiano, proprio perché, con questa seconda definizione, soprattutto in quel periodo si indicava una connotazione politica ben precisa. Io e la Casa Editrice abbiamo scelto il titolo con un pizzico di provocazione, ma anche, e soprattutto, con l’obiettivo di superare, una buona volta, quelle contrapposizioni tra partigiani che potremmo definire ‘classici’ da una parte e militari, internati militari, moderati, dall’altra. Negli ultimi tempi il clima è un po’ cambiato, grazie anche a Ciampi e a Napolitano. Per non parlare dell’intensa attività svolta dall’ANPI, della quale faccio parte a livello direttivo, per far conoscere in tutta Italia le diverse anime della Resistenza -compreso proprio Montezemolo- con pubblicazioni, conferenze, convegni, mostre, incontri nelle scuole. Spero che la Resistenza venga considerata un memoria collettiva e un valore comune di tutto il paese, non solo di uno schiarimento.
9.
Come già accaduto per altri suoi lavori precedenti, il libro -accolto in modo decisamente favorevole, a
tratti entusiastico, dalla critica- ha
esaurito la prima edizione nel giro di poche settimane, e la seconda, a quanto pare, è in fase di esaurimento. A cosa attribuisce soprattutto il successo nelle vendite, abbastanza eccezionale
direi (oltretutto in tempi di crisi
economica), visto che si tratta della biografia di un militare sconosciuto alla
stragrande maggioranza degli Italiani ?
Forse al richiamo di quel cognome e alla sua inevitabile associazione con
quello di Luca Cordero di Montezemolo ? E
inoltre: quali sono state le reazioni dei Montezemolo (a partire dal più noto, Luca Cordero) al libro ?
E quali, invece, quelle degli ambienti militari italiani ? I commenti più
numerosi che ho ricevuto a proposito di questo libro, sia per e-mail che su
Facebook, mettono in evidenza soprattutto la forte emozione che ha suscitato
nei lettori, grazie anche alla sua leggibilità, malgrado la ricostruzione
rigorosa dei fatti.
Per le reazioni della famiglia
Montezemolo, mi ricollego a quanto ho già detto.
Sabato Martelli Castaldi
10.
In base alle convenzioni internazionali, gli infermi e i malati non
potevano essere giustiziati. Eppure,
Montezemolo giunse alle Fosse Ardeatine con i segni evidenti delle torture che gli erano state inflitte nella
prigione di Via Tasso. Esistono altri
casi come lui ?
Sì, purtroppo,
oltre a Montezemolo, arrivarono alle Fosse Ardeatine dopo le efferate sevizie a
cui erano stati sottoposti, altri militari, tra cui il generale Sabato Martelli
Castaldi. Molte delle vittime furono
portati alle Fosse Ardeatine dopo le torture che avevano subito a Via Tasso.
11.
Per i suoi crimini, Kappler è stato denunciato da diversi
familiari delle sue vittime. Le risulta
che anche la famiglia Montezemolo si sia associata a tali denunce ? E
inoltre: la Germania ha risarcito i familiari delle sue vittime, oppure, anche
in questa circostanza, si è comportata come si comporta sempre più spesso (v. per esempio: L'archiviazione della strage di S. Anna di Stazzema : " È un atto grave e inaudito.").
Sicuramente alcuni
esponenti della famiglia Montezemolo hanno assistito ai processi, ma non so se si siano costituiti
contro Kappler. È un aspetto della
questione che dovrei approfondire.
12.
È stato scritto che “Il libro dovrebbe diventare obbligatorio in
tutte le scuole di formazione militare, dalla Nunziatella ed il Morosini alle Accademie
militari che formanola creme de la creme dei Corpi della Difesa. Perché ne
esce il ritratto di un uomo "vero", dai sentimenti di fedeltà alla
Patria ed alla famiglia che commuovono ed esaltano. E quasi fanno dire: ma
allora non è solo frutto della fantasia da romanzo il comportamento coerente e
fiero di chi fa il proprio dovere fino alle estreme conseguenze!” (La biografia di un eroe dimenticato della Resistenza).Ha avuto modo di presentare il libro in queste sedi o è stato almeno
contattato dalle stesse ?
Per il momento il
volume è stato presentato al Museo Storico della Guardia di Finanza.
Presentazione dell'opera presso E-Campus.
13. Ci sono
state presentazioni dell’opera nelle scuole superiori ? E inoltre: le risulta che il libro sia stato
già acquistato dalle biblioteche scolastiche ?
Sì, ci sono state presentazioni nelle scuole superiori e anche nelle università, sia pubbliche che private; E-Campus ha deciso tra l'altro di adottarlo. Diverse biblioteche scolastiche e altre
biblioteche, sia pubbliche che private
-come si evince da una ricerca attraverso il sistema OPAC SBN- hanno acquisito il volume. Le biblioteche scolastiche, comunque, in genere non sono censite dall'OPAC.
14. Montezemolo si è prodigato moltissimo per
salvare centinaia di ebrei italiani dalla ferocia nazista (tra l’altro, riuscì
ad ottenere documenti falsi e salvacondotti per tanti ebrei sfuggiti al
rastrellamento del ghetto di Roma compiuto dalle SS il 16 ottobre 1943). Le risulta che Israele gli abbia conferito un
particolare riconoscimento (quale, ad
esempio, quello attribuito a Giorgio Perlasca, “Giusto tra le Nazioni” e cittadino onorario d’Israele) ? No, per il momento
Israele non gli ha conferito alcun riconoscimento.
Avagliano alla premiazione del Fiuggi Storia 2012.
15.
La sua opera è stata pubblicata da una Casa Editricedi tutto
rispetto, ma non così importante come le ‘star’
del panorama editoriale italiano
(Mondadori, Rizzoli, Einaudi, Feltrinelli, Garzanti). Si è trattato di una sua scelta precisa? In ogni caso, mi sembra significativo che lei
abbia vinto il Premio Fiuggi Storia 2012 accanto a prodotti delle maggiori case
editrici, nello specifico Rizzoli (Gigi
Di Fiore) e Mondadori (Franco
Forte).
Per quanto riguarda la
Einaudi, posso dire che nel 2012 era già uscito, presso questa stessa Casa
Editrice, un altro mio libro,Voci dal lager , per cui mi sembrava quasi
inevitabile non proporre un altro testo nel medesimo anno.
Sedi dell' ICS "Giuseppe Montezemolo" (Roma).
16. In Italia non mancano vie, altri luoghi o
strutture dedicati ai martiri delle Fosse Ardeatine. Esistono anche vie, piazze o monumenti in
onore di singoli personaggi
? Certamente non mancano vie intitolate ad
esponenti del fascismo, sia pure minore, come ad esempio Cornelio di Marzio,
uno dei cento firmatari delle leggi razziali, né monumenti, come quello costruito con il contributo
della Regione Lazio (quindi con denaro pubblico) a Rodolfo Graziani, giudicato
anche in sede internazionale criminale di guerra. Esistono, nel
nostro Paese, monumenti o, per esempio, altre scuole, oltre all’ ICS "Giuseppe Montezemolo" di Roma, in memoria di Montezemolo? Peraltro, suscita una certa sorpresa apprendere
che l’attuale sede della Corte dei Conti a Roma, in Via Baiamonti 25, in
origine fosse una caserma intitolata proprio al Col.
Giuseppe di Montezemolo, il cui nome adesso non compare più all'esterno.
Sì, ci sono testimonianze in diverse
città italiane, anche se sono poco valorizzate.
Una delle caratteristiche dei martiri delle Fosse Ardeatine è quella
che -forzando i termini- rappresentano un po’ ‘la Nazionale della Resistenza’, una
‘Nazionale’ composta da appartenenti a tutte le classi sociali e schieramenti politici
e di ogni parte d’Italia, che “giocò” per ridarci la libertà ed opporsi all’occupazione
nazista e alla restaurazione del fascismo. In una parola, per tornare a dire,
come fece Montezemolo prima di essere ucciso, “Viva l’Italia!”.
2 Secondo altre fonti, invece, l'ordine di ubriacarsi a quanti avevano partecipato all'eccidio sarebbe stato impartito (sempre da Kappler) dopo la strage, per dimenticare quello che avevano fatto.