Cerca nel blog

mercoledì 31 maggio 2017

Chi difende, oggi, gli interessi dei giovani in Italia ?


Nell’estate del 2007 il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa era in cerca di alleati in vista di una complicata battaglia politica sulla riforma delle pensioni. La sinistra radicale, che appoggiava il suo governo, chiedeva l’abolizione dello “scalone Maroni” – un brusco aumento dell’età pensionabile – che avrebbe significato una spesa aggiuntiva per le pensioni di miliardi di euro l’anno. Secondo Padoa-Schioppa, invece, lo Stato spendeva già troppo per i suoi cittadini più anziani e così facendo aveva finito con il trascurare le nuove generazioni. È la famosa “questione generazionale”: gli anziani sono il pezzo di popolazione in assoluto meno toccato dalla crisi economica di questi anni e possiedono una ricchezza sbilanciata e in continuo aumento rispetto a quella dei più giovani, che invece continua a ridursi.
Quando arrivò il momento di trattare con partiti, associazioni e sindacati, Padoa-Schioppa decise che accanto ai rappresentanti dei pensionati avrebbe ascoltato anche quelli dei giovani, con l’idea che avrebbe trovato in loro un alleato. Ma trovare chi difendesse gli interessi delle nuove generazioni non fu facile. Padoa-Schioppa chiese aiuto a Tito Boeri, allora professore dell’Università Bocconi. Boeri gli consigliò di interpellare i rappresentanti degli universitari e quelli del Forum nazionale dei giovani, un’organizzazione non molto conosciuta che raggruppa le principali associazioni giovanili, da quelle cattoliche a quelle dei partiti. L’incontro si svolse il 9 luglio 2007 e Padoa-Schioppa rimase deluso. L’intervento dei ragazzi del Forum Giovani non fu particolarmente incisivo e la storia ne ha oramai perso il ricordo. Le trattative furono vinte dagli anziani, tanto per cambiare, e i pensionati ricevettero decine di miliardi di euro grazie all’abolizione dello “scalone Maroni”. Dieci anni dopo quell’incontro, la questione generazionale è persino più attuale di prima: anni e anni in cui lo Stato ha privilegiato ulteriori interventi di spesa sulle pensioni a quelli sui contratti precari e la mobilità sociale, per esempio, hanno contribuito a creare la situazione certificata dall’ISTAT nel suo ultimo rapporto: i più giovani in Italia sono il gruppo sociale più qualificato (dopo i manager) e allo stesso tempo il più povero.

E quindi rimane la domanda: chi è che oggi rappresenta gli interessi dei giovani in Italia, ammesso che ci sia? E cosa è riuscito a ottenere fino a oggi? Tutti i partiti e i sindacati dicono naturalmente di “essere dalla parte dei giovani” (dirlo è gratis, d’altra parte), ma i primi a cui pensare in questo caso sono quei movimenti che hanno nella rappresentanza politica dei giovani la stessa ragione della loro esistenza. Il luogo dove sembra più ovvio cominciare a cercare la risposta è quindi all’interno dei partiti politici e nelle loro organizzazioni giovanili.
I Giovani Democratici

Tranne il Movimento 5 Stelle, tutti i partiti italiani hanno un’organizzazione giovanile: e nessuna è estesa e consolidata come i Giovani Democratici, la giovanile del Partito Democratico. I GD hanno 27 mila iscritti distribuiti in decine di coordinamenti regionali e provinciali. Sono molto attivi su tutto il territorio nazionale, dove realizzano corsi di formazione, incontri e iniziative politiche, culturali e altre attività.

Dall’esterno i GD appaiono come un gruppo compatto, dove gli scontri che dividono il resto del partito sono molto meno sentiti. «Da noi le correnti entrano, ma in maniera periferica», ha detto al Post il segretario nazionale Matteo Zunino: «Siamo un po’ come il villaggio di Asterix e Obelix, non perché siamo monolitici o perché applichiamo il centralismo democratico, ma perché abbiamo sempre avuto la capacità di essere autonomi». Zunino, che alle ultime primarie nazionali ha appoggiato Matteo Renzi, siede nel coordinamento della giovanile accanto a ragazzi come Caterina Conti, che ha appoggiato Andrea Orlando e recentemente è stata scelta dal segretario Matteo Renzi tra i venti “Millennials” nominati nella direzione nazionale del partito per aiutarlo a recuperare consenso tra i più giovani. «Difficilmente nella giovanile ci sono scissioni come nel resto del partito», ha detto al Post Conti: «La pluralità è il nostro vero valore».
Questa “unità” dei GD si vede anche nei risultati degli ultimi congressi, in cui il principale candidato segretario ha sempre ottenuto percentuali intorno all’80 per cento. L’ultimo si è svolto nel marzo 2016 e Zunino ha vinto con l’83 per cento dei voti. Il giorno della sua proclamazione tennero un discorso celebratorio per Zunino sia il segretario Matteo Renzi che il suo rivale, il leader della minoranza Roberto Speranza, oggi uscito dal partito in seguito a una scissione e diventato segretario di MDP.
Se per alcuni questa compattezza è una risorsa, per altri è il principale problema dei Giovani Democratici. L’organizzazione è spesso accusata di essere un luogo dove gli scontri vengono ricomposti e il dibattito interno viene irregimentato sulla base della forza relativa di ciascuna corrente del partito. È un’accusa che ha mosso per esempio Dario Costantino, rivale di Zunino all’ultimo congresso. «Mi sono candidato perché rifiutavo l’idea che si potesse fare un congresso unitario secondo una logica di accordo tra componenti», racconta oggi al Post. Pochi giorni prima del voto Costantino si ritirò, accusando l’organizzazione di aver adottato modalità di voto scorrette. Per persone come Costantino, che alle ultime primarie ha appoggiato Michele Emiliano, la giovanile dovrebbe essere un pungolo per il partito, in grado di sollevare un conflitto quando è in disaccordo sulle scelte dei compagni più anziani. Per Zunino, invece, il ruolo dei GD è dare una rappresentanza istituzionale alle istanze dei più giovani senza entrare in costante conflitto con il partito, soprattutto in un momento in cui si trova al governo.
«Fu uno scontro politico tra due idee diverse», racconta oggi Caterina Conti, ricordando i giorni del congresso giovanile del 2016: «Fare un’organizzazione giovanile di un partito al governo o continuare a essere una bandiera di protesta nelle piazze». La vittoria della linea più vicina al governo ha fatto sì che i GD non abbiano fatto grandi proteste contro le scelte del governo di destinare imponenti risorse alla spesa pensionistica. Anche la politica dei “bonus” attuata dal governo è stata accettata in maniera piuttosto acritica, nonostante le voci contrarie di tanti esperti ed economisti. La loro idea è che rinunciando ad alcune battaglie se ne possano vincere altre: per esempio l’approvazione del Jobs Act autonomi, un provvedimento che garantisce maggiori tutele ai lavoratori indipendenti, tra cui ci sono moltissimi giovani, e che è arrivata poche settimane fa dopo quattro anni di difficili trattative.
Il rischio di questa scelta, però, è annacquare il potenziale critico dell’organizzazione giovanile e farlo proprio su un tema in cui il resto del partito – i cui elettori attuali sono piuttosto anziani – ha spesso bisogno di essere stimolato. Le dieci proposte di legge che i GD chiedono al partito di introdurre sembrano risentire di questo effetto: non si parla di pensioni e spesa sociale, le richieste sul mondo del lavoro sono abbastanza vaghe e la lista contiene anche proposte che sembrano piuttosto distanti dalla “questione generazionale”, come tassare il carbone e dare il voto agli stranieri. Oggi il principale obiettivo dei GD è inserire un emendamento alla nuova legge elettorale per consentire il voto agli studenti fuori sede. Gli stessi dirigenti ammettono che sarà una battaglia difficile.
Infine c’è un problema connaturato all’esistenza stessa di un’organizzazione giovanile di partito: tiene i giovani fuori dal partito che conta, quello dei “grandi”, finendo per farli pesare molto meno. Per i GD, poi, si è giovani fino ai 29 anni: un’età in cui si può già essere padri e madri, imprenditori, sindaci, parlamentari della Repubblica, eppure militare fuori dal partito dei “grandi”.
Il Movimento 5 Stelle

Secondo le analisi il Movimento 5 Stelle è il partito più votato da chi ha meno di 35 anni, eppure non ha una giovanile e non vuole averne una: «Fare una giovanile non è una cosa che al momento abbiamo preso in considerazione», ha spiegato al Post Silvia Chimenti, deputata del Movimento 5 Stelle: «Già oggi il Movimento 5 Stelle vede al suo interno una prevalenza di giovani e giovanissimi, sia tra i militanti che tra gli eletti all’interno delle istituzioni». Chimenti ha ragione: il Movimento 5 Stelle è il gruppo parlamentare con l’età più bassa di tutto il Parlamento e i suoi elettori sono altrettanto giovani. Secondo uno studio de LaVoce.info, alle elezioni politiche del 2013 il partito di Grillo ha ottenuto quasi un voto su due nella fascia 18-24 anni, mentre il PD ha faticato a ottenerne il 30 per cento. Un altro studio, realizzato dal Centro italiano studi elettorali dell’Università Luiss, mostra che alle ultime amministrative in città come Roma e Palermo il Movimento 5 Stelle ha ottenuto tra il doppio e il quadruplo del voto giovanile rispetto al PD.


Questo successo probabilmente non si deve tanto a programmi e proposte specifiche quanto alla capacità di raccogliere e rappresentare la frustrazione di una generazione. «L’Italia è un paese impantanato a causa della resistenza di troppe forze politico-economiche rispetto a un cambiamento che metterebbe in discussione la loro posizione dominante», spiega Chimenti: «A subire principalmente le conseguenze di questa situazione sono i giovani. Il Movimento per molti aspetti è nato e cresciuto proprio perché è stato in grado di convogliare questa ansia di partecipazione e di protagonismo che altrove non veniva più accolta». Il successo tra i giovani di una formazione radicale come il Movimento 5 Stelle non è un fenomeno unico in Europa. Le recenti elezioni in Francia hanno messo in mostra come una buona parte dei consensi del Front National sia arrivato proprio dai più giovani, la stessa fascia d’età in cui il presidente Emmanuel Macron ha fatto fatica a conquistare consensi.
Per quanto riguarda le proposte a favore dei giovani, il Movimento 5 Stelle punta principalmente sul reddito di cittadinanza, un sussidio che il Movimento promette di erogare a tutti coloro che si trovano senza lavoro e che accettano di iscriversi alle liste di collocamento. «Il reddito di cittadinanza non è una molla che attutisce una caduta, ma che spinge verso l’alto e dà gli strumenti al giovane per tornare competitivo. Proprio come accade, per esempio, nei modelli scandinavi», spiega Chimenti. Ma le coperture economiche che il Movimento ha proposto per finanziare il reddito di cittadinanza sono, al momento, come minimo incerte e in alcuni punti contraddittorie. Il Movimento, per esempio, propone di vietare il cumulo contributivo, cioè impedire a chi ha versato contributi come lavoratore autonomo e, successivamente, come lavoratore dipendente di mettere insieme le due tipologie di contributi, una situazione nella quale si trovano molto spesso proprio i più giovani.
Proporre il reddito di cittadinanza riscuote successo in particolare nel sud Italia, dove la disoccupazione giovanile raggiunge anche il 50 per cento. Nelle zone più ricche e sviluppate del paese, invece, il Movimento ha ancora molte difficoltà a replicare il successo che ottiene tra i giovani nelle aree più disagiate. Alle ultime elezioni amministrative nella città di Milano, per esempio, il Movimento 5 Stelle è riuscito a conquistare appena il 13 per cento del voto giovanile, soltanto il 3 per cento in più del suo risultato generale. Il candidato del PD Giuseppe Sala è stato invece votato dal 44 per cento dei giovani, di nuovo tre punti in più del suo voto tra tutti gli elettori. Sembra una situazione che rispecchia quella della Germania, dove anche grazie a una situazione economica stabile e in crescita il candidato che riscuote il maggior consenso tra i giovani continua a essere la centrista Angela Merkel.
Il centrodestra

In teoria il centrodestra dovrebbe essere un’area politica molto sensibile ai temi che potenzialmente toccano i giovani più da vicino: dalla riduzione della spesa pubblica per le pensioni a una maggior mobilità nel mercato del lavoro per favorire nuovi ingressi. Eppure il centrodestra italiano nel suo recente passato ha preferito sposare posizioni generalmente stataliste, e le organizzazioni giovanili del centrodestra sono quelle con la storia più turbolenta e che hanno dimostrato la minore capacità di influenzare i partiti di cui fanno parte. Il loro breve momento di gloria è iniziato probabilmente nel 2009 ed è durato pochi anni, lo stesso arco di vita del Popolo della Libertà e della sua giovanile, la Giovane Italia.


«La Giovane Italia era un movimento che funzionava», racconta al Post Elisa Serafini, ex dirigente della Giovane Italia e oggi candidata al consiglio comunale di Genova con una lista civica che appoggia il candidato di centrodestra: «Funzionava perché era organizzata: fondeva insieme la tradizione “militante” di coloro che provenivano da AN e lo spirito e le idee liberali di quelli che arrivavano da Forza Italia. Era un movimento giovanile ogm». Per molti militanti la Giovane Italia ha rappresentato l’inizio della carriera politica. La più famosa è probabilmente Giorgia Meloni, la prima presidente della Giovane Italia e oggi leader di Fratelli d’Italia. Ma sono molti quelli che hanno iniziato una carriera politica locale partendo proprio dalla giovanile del PdL.
Con la crisi del governo Berlusconi nel 2011 e poi con la fine del PdL e il ritorno a Forza Italia nel 2013, la giovanile del partito iniziò una rapida fase di decadenza. La Giovane Italia si divise e gran parte dei dirigenti più preparati, che proveniva da AN, formò Gioventù Nazionale, la giovanile di Fratelli d’Italia, che oggi è un movimento piccolo ma solido e strutturato. Forza Italia formò Forza Italia Giovani, ma senza più quell’apporto organizzativo il movimento esaurì rapidamente le sue energie. Oggi il suo sito internet è abbandonato così come la sua pagina Facebook. Soltanto alcuni movimenti locali, come quello di Milano, mantengono un po’ di vitalità. «Il mondo moderato ha problemi di organizzazione e non solo a livello giovanile», spiega Serafini: «Mancano soldi e mancano le strutture. La sinistra da questo punto di vista fa una politica più professionale, nel bene e nel male».
Una pletora di associazioni spesso effimere è nata e morta nello spazio di pochi mesi, nel tentativo di insediarsi nell’area lasciata scoperta dalla crisi della giovanile. Dall’associazione Azzurra Libertà dei fratelli Zappacosta (che l’anno scorso hanno annunciato il loro divorzio da Forza Italia) al Blu-Lab fondato da alcuni studenti romani, passando per l’Accademia di Forza Italia per arrivare infine ai “casting” organizzati da Silvio Berlusconi nella villa di Arcore per selezionare nuovi leader e che sono consistiti sostanzialmente in sfilate di giovani aspiranti leader scelti dai dirigenti locali del partito. «La verità», dice Serafini, «è che oggi i giovani del centrodestra non hanno nessuna casa politica: né giovanile né nazionale».
I Giovani Padani

Il Movimento Giovani Padani è la formazione giovanile della Lega Nord ed è una delle più vitali e combattive della politica italiana. Può contare su circa quattromila iscritti, su una struttura estesa in tutto il Nord Italia e parte del Centro, capace di prendere posizioni autonome rispetto a quelle del resto del partito. Apparentemente il loro programma è simile a quello dei Lega nazionale: e quindi i Giovani Padani sono favorevoli alla campagna per l’abolizione della legge Fornero sulle pensioni, portata avanti dal loro segretario Matteo Salvini. Di questa proposta i Giovani Padani sottolineano i vantaggi che, secondo loro, potrebbe portare alle nuove generazioni: «Per noi l’abolizione della legge Fornero significa liberare posti di lavoro per i giovani», dice Andrea Zanelli, responsabile comunicazione del movimento, sulla base dell’idea che mandare più gente in pensione liberi posti di lavoro per i giovani (secondo gli economisti, non è un meccanismo che funziona sul medio-lungo termine, ma potrebbe avere effetti sul breve termine). Sui temi più complessi i Giovani Padani sembrano più incerti. Per esempio il movimento non ha un’opinione definitiva sull’articolo 18, che tutela i lavoratori dai licenziamenti illegittimi. Ce l’ha invece su una questione storica per la Lega Nord: l’autonomia da Roma. «Per i giovani sarebbe un vantaggio trattenere le tasse sul territorio dove vengono raccolte», spiega Zanelli.


La cosiddetta “questione settentrionale” è stata al centro dell’ultimo congresso della Lega Nord. Salvini era favorevole a un progetto di Lega nazionale, che lasciasse in secondo piano il problema storico dell’autonomia del nord; il suo avversario, Gianni Fava, assessore all’Agricoltura della Lombardia, appoggiato da Roberto Maroni, era invece per un ritorno alle origini, riportando al centro del programma del partito la questione settentrionale. I Giovani Padani hanno appoggiato Salvini e oggi rivendicano il loro contributo: «Siamo stati fondamentali nell’ultimo congresso. Ci siamo schierati per Matteo Salvini e un nostro rappresentante era presente in ognuno dei seggi dove si è votato». I Giovani Padani criticano Maroni e Fava: «Non vogliamo che la battaglia per l’autonomia sia strumentalizzata dalla vecchia guardia», dice Zanelli, ma sulla questione settentrionale hanno in realtà posizioni simili e distanti da quelle di Salvini. «L’autonomia», sottolinea Zanelli, «è una battaglia che stiamo portando avanti soprattutto noi come Movimento Giovani Padani. La segreteria federale sta portando avanti altri progetti nazionali».
Oggi i Giovani Padani sottolineano con forza la loro importanza. «I Giovani Padani contano moltissimo nel partito», dice Zanelli, ricordando che lo stesso Salvini proviene dai Giovani Padani e che il movimento esprime decine di amministratori locali. Ma per quanto importanti, fanno capire che avrebbero voglia di essere ascoltati e contare di più: «Oggi auspichiamo qualche posizione in più all’interno del partito». Sono tra i pochi, tra tutte le giovanili, a parlare in maniera così diretta.