Donald Trump e i suoi colleghi populisti e nazionalisti in Europa vengono dipinti spesso come una minaccia per la democrazia. I loro sostenitori sostengono invece che politici dell’establishment e tecnocrati siano una minaccia addirittura più grande perché sono servi dei poteri forti. È possibile, quindi, che la democrazia nelle forme in cui oggi viene applicata negli Stati Uniti e in Europa sia una minaccia per se stessa? Ci sono prove che dimostrano che potrebbe essere così.
Dopo aver rassicurato i miei lettori americani del fatto che il rifiuto di Trump di dire che accetterà i risultati delle elezioni presidenziali non segna la fine della tradizione democratica statunitense, ho ricevuto alcune email in cui mi veniva chiesto se secondo me la democrazia americana può sopravvivere a Hillary Clinton. Le persone che mi hanno scritto – membri della comunità finanziaria – l’hanno definita una corrotta, una bugiarda patologica e una perpetratrice della “politica da repubblica della banane“. Comprendo questi punti di vista: fare un lavoro di verifica delle cose che Clinton dice e tenere il conto delle sue omissioni e delle volte in cui elude una domanda può essere sfiancante quanto cercare dei brandelli di verità e di buon senso nella retorica provocatoria di Trump. Davanti alla scelta tra due candidati imperfetti, si potrebbe pensare che molte persone si stiano chiedendo se per loro la democrazia funziona ancora. In effetti, sta succedendo.
A luglio Roberto Stefan Foa, uno dei principali ricercatori di World Values Survey, un ambizioso progetto sociologico che si propone di descrivere le opinioni sul mondo delle persone a livello globale e tracciarne l’evoluzione, ha pubblicato uno studio condotto insieme al politologo di Harvard Yascha Mounk che evidenzia la disillusione nei confronti della democrazia da parte dei giovani, utilizzando delle risposte al World Values Survey. Lo studio mostra come gli americani nati negli anni Ottanta credano meno al valore della democrazia rispetto alle generazioni precedenti. Anche i giovani europei stanno perdendo fiducia nella democrazia, seppure in modo meno accentuato.
Oltre due terzi dei giovani americani non considera essenziale vivere in un paese governato democraticamente. Circa il 25 per cento di loro considera il sistema politico democratico un modo «sbagliato» o «molto sbagliato» di amministrare un paese. Il sostegno alle alternative autoritarie, nel frattempo, sta aumentando. Nel 1996 solo un americano su 16 definiva positiva la prospettiva che fosse l’esercito a governare il paese. Nel 2014 erano diventati uno ogni sei. Oggi solo il 19 per cento dei giovani americani sostiene che non sarebbe legittimo che l’esercito prendesse il potere nel caso in cui il governo si dimostrasse incompetente o incapace. Un numero sempre maggiore di giovani è favorevole a «un leader forte che non si deve preoccupare del Parlamento e delle elezioni» e a un governo composto da «esperti» piuttosto che da politici.
Foa e Mounk si sono resi conto di come i loro dati sembrassero controintuitivi, ma tutte le tendenze che hanno individuato nei risultati del loro studio andavano in direzione autoritaria e anti-democratica. I ricercatori si sono chiesti se, nonostante sembri più stabile che mai, la democrazia non stia in realtà attraversando una fase di «deconsolidamento», simile al modo in cui crollarono inaspettatamente i regimi comunisti nell’Europa orientale. Secondo Foa e Mounk il cambiamento nella visione del mondo delle persone potrebbe mettere in discussione la conclusione del professore della New York University Adam Przeworski, che viene citata spesso, secondo cui non è mai successo che una democrazia con un reddito pro capite medio annuo di 6mila dollari (riferiti al valore del dollaro nel 1985) cadesse. Foa e Mounk hanno scritto:
I dati non mostrano assolutamente che la maggiore inclinazione dei cittadini a criticare dei particolari governi sia dovuta all’aumento delle loro aspettative nei confronti della democrazia, ma indicano la presenza di una profonda tensione nel cuore della politica contemporanea. Nonostante sia diventata l’unica forma di governo ampiamente considerata legittima, la democrazia non ha più la fiducia di molti cittadini, che non la ritengono più in grado di soddisfare le loro esigenze più urgenti e le loro preferenze. La visione ottimistica secondo cui questo calo della fiducia rispecchi semplicemente una flessione momentanea non è altro che una supposizione in chiave positiva fondata in parte sulla riluttanza a mettere in discussione la tanto celebrata stabilità delle democrazie ricche.
Come cittadino russo ho molti aneddoti che dimostrano che i ricercatori hanno ragione. Il presidente russo Vladimir Putin governa con metodi autoritari e con l’aiuto di tecnocrati non eletti. In Russia questa combinazione si è dimostrata più popolare dei tentativi di formare un governo democratico tramite elezioni eque e pluralismo degli anni Novanta, che furono visti come un inutile carnevale. Pochi russi sentono la mancanza della competizione politica, e nonostante i giovani siano le persone a cui Putin piace meno, recenti sondaggi mostrano che circa il 78 per cento dei russi tra i 25 e i 34 anni sostiene l’attuale presidente.
Non è detto che sia stato il passato totalitario del paese a rendere la Russia così ricettiva nei confronti di Putin, dopo un decennio di esperimenti democratici: potrebbe essere anche successo per via dell’aumento della fiducia nei confronti di esperti e leader forti. L’anno scorso un gruppo di funzionari pubblici georgiani è andato in Ucraina per aiutare il paese a svincolarsi dal suo retaggio sovietico e adottare riforme liberali. Tra di loro c’erano alcune delle persone che avevano trasformato la Georgia dopo la Rivoluzione delle rose guidata nel 2003 dall’allora presidente Mikhail Saakashvili (che oggi fa il governatore regionale in Ucraina). Quando ho chiesto loro come valutavano le loro possibilità di successo in Ucraina, queste persone si sono lamentate dell’eccessivo potere del Parlamento ucraino e della presenza di troppe forze politiche e interessi particolari che cercavano di influenzarli in qualsiasi modo. In Georgia, hanno raccontato, Saakashvili era riuscito a proteggerli da interferenze di questo tipo, e speravano che fosse possibile anche in Ucraina. La maggior parte di queste persone non lavora più nel governo ucraino, dal momento che non sono riusciti a cambiare granché le cose. La democrazia anarchica e rumorosa dell’Ucraina è risultata essere ingestibile per questi tecnocrati profondamente anti-sovietici, come anche per molti dei loro colleghi ucraini che avevano provato a introdurre delle riforme dopo la rivoluzione ucraina del 2014.
La democrazia non è abbastanza meritocratica per la generazione di Facebook, che idolatra capitalisti del settore tecnologico e star dei social network. Nessuno dei loro eroi è stato eletto. La democrazia genera persone come Trump e Clinton, e non come Mark Zuckerberg o Elon Musk. Oggi i sostenitori della democrazia pura sono contrari ai tecnocrati, come l’ex ministro della Giustizia britannico Michael Gove, molto favorevole a Brexit, secondo cui i cittadini del Regno Unito «sono stufi degli esperti». I giovani credono che arrivare dal mondo della politica non sia l’unico modo in cui un leader talentuoso può avere successo. I miliardari del settore tecnologico rafforzano questa intuizione cercando di aggirare i governi nella loro lotta alla malattie (Zuckerberg) e nei preparativi per colonizzare Marte (Musk). Un mondo governato da queste persone, pur benintenzionate, non sarebbe democratico, nonostante il loro sostegno arrivi dal basso.
Occupandomi della campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane ho visto molte cose che sembrano contraddire gli avvertimenti cupi di Foa e Mounk. Il movimento di Bernie Sanders, che resiste nonostante la sconfitta di Sanders contro Clinton alle primarie del Partito Democratico, ha convinto molti giovani del fatto che la politica tradizionale può essere usata per perseguire i loro obiettivi. Queste generazioni più giovani seguono un leader forte, e molta della campagna elettorale che fanno avviene al di fuori del classico sistema elettorale, ma non sembrano attirate dall’autoritarismo e da un governo di “esperti”. Il movimento di Sanders è uno dei motivi per cui i dati evidenziati da Foa e Mounk non dovrebbero portare e previsioni apocalittiche sul futuro della democrazia. Un’altra ragione è che in Europa la democrazia non sta perdendo popolarità come negli Stati Uniti, un fatto che potrebbe essere dovuto alle differenze in termini di cultura politica e norme elettorali: i sistemi multipartitici europei sono più aperti e inclusivi, e garantiscono la rappresentanza di un numero di persone maggiore.
Per rianimare la fiducia nella democrazia negli Stati Uniti forse basterebbe riformare i sistemi elettorali in modo che siano più inclusivi e meritocratici, e spostare l’attenzione dalla personalità dei candidati e dalla loro vita privata alle proposte politiche e ai temi. I cambiamenti alle norme necessari perché questo avvenga non devono essere particolarmente drastici: per migliorare le cose basterebbe adottare il cosiddetto “voto alternativo” (“ranked-choice voting” o “ranked voting system“, in inglese). Se i giovani si sentissero rappresentati da persone intelligenti, in grado di capire le loro esigenze e con le competenze necessarie a soddisfarle, potrebbero iniziare a vedere più di buon occhio la politica. Lo stesso vale per le generazioni più vecchie: neanche loro sono immuni all’irritazione provocata dalle violente battaglie elettorali come quella di quest’anno.
Leonid Bershidsky-Bloomberg, I giovani non credono più nella democrazia?, "Il Post", 6-11-16.