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lunedì 14 aprile 2014

Storica sentenza della Cassazione.

                                                                                                     
Spesso i genitori delle ultime generazioni non usano mezzi termini: un voto negativo o una punizione inflitta ai loro figli viene interpretata come un’offesa. Non pensano che quasi sempre sono la normale conseguenza di una preparazione inadeguata o un mezzo di correzione di comportamenti sbagliati. A volte, rari casi, fortunatamente, passano anche alle vie di fatto. Spesso si presentano davanti ai prof dei figli con aria di sfida. E arrivano a minacciare o insultare gli insegnanti, rei di aver osato a giudicare in modo negativo i figli.
Ora, però, faranno bene a stare attenti. Per la Cassazione (sentenza 15367 della V sezione penale) quando si lasciano andare parole offensiva nei confronti dei docenti, dei pubblici ufficiali in servizio, rischiano di andare sotto processo per ingiuria - con eventualità di pena detentiva - anziché cavarsela con una multa del giudice di pace.
La Suprema Corte ha infatti annullato senza rinvio la sentenza di non luogo a procedere, per il reato di ingiuria, emessa dal giudice di pace di Cecina (Grosseto) in favore di Maria Bruna C., madre di un'allieva della scuola media 'Fattori' di Rosignano-Solvay che aveva usato parole pesanti nei confronti di una insegnante della figlia durante un incontro, a scuola, sul rendimento negli studi della ragazzina.
I supremi giudici, pur non rendendo note le parole offensive rivolte all'insegnante e per le quali il giudice di pace aveva ritenuto di non procedere hanno trasmesso tutti gli atti alla Procura di Livorno accogliendo il ricorso del pg di Firenze contro il proscioglimento della mamma. Secondo la Procura, in casi del genere, si configura non la semplice ingiuria ma il più grave reato di offesa a pubblico ufficiale.
"Erroneamente", per la Suprema Corte, il giudice di pace aveva chiuso un occhio sull'ingiuria e aveva archiviato la vicenda: il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, dopo l'abrogazione, è stato infatti "reintrodotto" nel 2009 con alcune modifiche. Con una serie di precisazioni. Primo: "l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di più persone", poi "deve essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico". Infine, "deve avvenire in un momento nel quale il pubblico ufficiale compie un atto di ufficio nell'esercizio, o causa dell'esercizio, delle sue funzioni".
E queste condizioni furono attuate nella scuola ‘Fattori’: tanto è vero che le parole offensive pronunciate dalla mamma contro la prof. 'volarono' "nei locali scolastici, in modo tale da essere percepite da più persone".
Gli 'ermellini' hanno tenuto a precisare che la discussione tra mamma e prof. riguardava "questioni scolastiche" e non vicende di tipo "personali". E siccome "l'insegnante di scuola media è un pubblico ufficiale, e l'esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi", offenderlo durante l’orario di ricevimento diventa a tutti gli effetti un reato.

  
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Come spesso accade, è dovuta intervenire la Cassazione per dare lo stop a un fenomeno che si stava pericolosamente allargando: quello degli insulti agli insegnanti da parte dei genitori degli allievi. Una mamma di Rosignano Solvay, in provincia di Livorno, dovrà subire un processo e rispondere dell’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale dopo aver insultato l’insegnante della figlia della scuola media “Fattori”. 
La mamma era stata “graziata” dal giudice di Pace di Cecina che, nell’aprile del 2012, aveva sentenziato di “non doversi procedere” per il reato di ingiuria. Sembrava che la cosa fosse finita lì, ma la Procura generale di Firenze ha impugnato la decisione del giudice di Pace e ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che era stata male interpretata la legge. 
Dal 2009, infatti, è stato reintrodotto il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, per un certo tempo depenalizzato. È questo reato che dovrà rispondere la mamma. La Cassazione, nella sentenza 15367, ha infatti sostenuto che le “ingiurie vennero pronunciate nei locali scolastici, in modo tale da essere percepite da più persone”. Inoltre l’insegnante di scuola media - sostiene la Suprema Corte - è pubblico ufficiale e l’esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende “alle connesse attività preparatorie contestuali e successive, compresi gli incontri con i genitori degli allievi”.