Condannata, bandita, cancellata dal dizionario del «politically correct», ma ancora utilizzata in maniera dilagante. E’ la cosiddetta «N-word» ovvero la parola «negro», termine con il quale si indicano, sovente in senso dispregiativo, persone con la pelle scura, per lo più nella fattispecie statunitense, di origine afro-americana. E per questo considerata offensiva, quindi meritevole di essere bandita dal linguaggio abituale. Dapprima prima per un diffuso senso civico di rispetto, poi sulla base di leggi e regole condivise dalla società civile in tutte le sue manifestazioni, come quelle sportive. La Nfl, la lega di football americano, sta ad esempio conducendo una crociata contro l’uso della parola «nigger», in campo e non, da parte dei suoi atleti, tanto da sanzionarli con multe e squalifiche.
Il punto però, osserva il Washington Post, è che nonostante tutto la parola «nigger», o la sua derivazione in slang «nigga», è utilizzata in maniera sempre più dilaganti nel linguaggio di tutti i giorni. E non solo in quello da strada, ma anche in quello del Web. Un esempio su tutti, suggerisce il quotidiano della capitale, è Twitter, dove la parola «nigga» viene utilizzata almeno 500 mila volte al giorno, secondo quanto rilevato dalla società di ricerche Topsy.com. Per capirci, altre due termini come «bro», per brother (fratello), e dude (tipo), due dei termini utilizzati con lo stesso significati di «nigga» tra i ragazzi sotto i 35 anni, ricorrono sul social network ogni giorno «solo» 300 mila e 200 mila volte.
Per moltissimi giovani la «N-word» è una sorta di intercalare, ne più ne meno di una virgola. «E’ parte integrante del mio gergo, è una parola che uso ogni giorno», afferma l’attore Tehran Von Ghasri, 34 enne di origini afro-americane e iraniane. «I’m a nigga addict», dice, ovvero «sono dipendente dalla parola negro». Il punto è che per il buon senso comune, rimane un epiteto violento, un insulto, una forma lessicale discriminante e per questo da combattere ed sradicare dal vocabolario del comune parlare. C’è chi fa le dovute distinzioni, in primis si deve vedere chi la pronuncia, perché spesso sono gli stessi neri che si chiamano fra loro «nigger» o «nigga», specie in certi contesti giovanili o di ghetto, un modo di esaltare con l’orgoglio l’essere «negro».
Certo è che se a pronunciare la parola è un non nero le cose cambiano. C’è invece chi fa una distinzione tra «nigger» e «nigga», termine il primi considerato dispregiativo, mentre il secondo affettuoso. Tuttavia c’è chi considera tale distinzione troppo semplicistica e pericolosa, perché rischia di sdoganare un termine «tossico». C’è infine chi ritiene che anche chiamarla «n-word» è altrettanto offensivo perché significa celare dietro a un perbenismo lessicale il medesimo significato. Tutto ciò comporta che vietare l’uso della parola «negro» potrebbe essere un buon proposito in teoria, ma non attuabile nella realtà per il vasto uso che ancora se ne fa, in tutte le sue sfaccettature. «E ancor peggio - chiosa il Washington Post - il divieto solleva implicitamente un altro interrogativo, ovvero chi ha esattamente il diritto di bandire tale parola?».
Francesco Semprini, "Negro", la parola più bandita e più usata, "La Stampa", 12-11-14.