Ragazzi e adulti degli anni Ottanta, ma quanto eravate distratti: vi svegliavate la mattina e vi rallegravate della luce del giorno, vi godevate la bella stagione e le belle compagnie, la sera la birra con gli amici e in auto il rock di Bruce Springsteen, oppure al cinema con la ragazza a emozionarvi per le immagini e i dialoghi di Blade Runner. E non immaginavate che ogni mattina e ogni notte alcuni milioni di uomini in armi sparsi sul continente europeo dalla Norvegia alla Turchia e separati da un confine invisibile sull’acqua e nell’aria, ma visibilissimo nei reticolati e nei campi minati che attraversavano migliaia di km di territorio, tenevano il dito sul grilletto delle loro armi personali, o sul pulsante del missile del loro aereo da combattimento, o sulla leva di accensione di migliaia di carri armati, aerei, sommergibili pronti a scatenare una guerra lampo che solo con una bella dose di fortuna non sarebbe diventata atomica.
La Nazionale di calcio vinceva il suo terzo mondiale dopo 44 anni di astinenza e nella Juventus giocavano Boniek e Platini; l’Italia cominciava a uscire dal tunnel del terrorismo brigatista e l’astro di Bettino Craxi già brillava intenso; Ronald Reagan cambiava la faccia dell’America all’interno e all’esterno e Giovanni Paolo II trasmetteva energia a tutta la Chiesa con viaggi apostolici che toccavano tutti i paesi del mondo. Ma sopra a tutto ciò pendeva come una spada di Damocle la Guerra fredda, detta così perché le forze armate di Nato e Patto di Varsavia si affrontavano in perfetto assetto di combattimento ma senza sparare un colpo.
Decine di volte tuttavia furono sul punto di farlo. Più volte fudato l’allarme rosso reale, non da esercitazione. Ma sempre rientrò dopo un’ora o due. Uno scenario più estremo lo racconta in forma romanzata l’avvincente libro Assalto all’Europa, opera di Flavio Babini, colonnello dell’aviazione militare in pensione, già comandante del 101° gruppo, 8° stormo, presso la base di Cervia e poi effettivo del quartier generale supremo della Nato a Mons in Belgio per alcuni anni. Uomo che vanta oltre 2 mila ore di volo sul caccia bombardiere ricognitore G 91 Y. «Che la Guerra fredda sia finita senza passare per un conflitto convenzionale o atomico su larga scala, è semplicemente un miracolo, soprattutto se pensiamo a quello che è successo invece nei Balcani e poi in Libia e in Siria», afferma convinto il pilota Babini.
«Nel 1984 il rapporto di forze era enormemente sbilanciato in favore del Patto di Varsavia, e pochi degli euromissili destinati a bilanciarlo erano stati installati. Se l’Unione Sovietica e i suoi alleati avessero attaccato allora l’Europa occidentale con un conflitto convenzionale, in dieci giorni avrebbero vinto la guerra. Potevano rendere inoffensivi i dispositivi nucleari europei e contare sul fatto che gli Usa, non essendo direttamente attaccati, non avrebbero risposto con l’atomica. Io sono moralmente certo che ci ha salvato la consacrazione della Russia, insieme al mondo intero, al cuore immacolato di Maria che papa Giovanni Paolo II compì il 25 marzo 1984. Dopo di allora gli avvenimenti hanno conosciuto un’accelerazione: un anno dopo Mikhail Gorbaciov era segretario del Pcus, e sette anni dopo il Patto di Varsavia e l’Unione Sovietica erano sciolti; avvenimenti che nel 1984 non si potevano immaginare nemmeno lontanamente».
L’interpretazione soprannaturale degli avvenimenti fa capolino nel quindicesimo dei 20 capitoli del libro, e accompagna il lettore fino alla fine del racconto, cui seguono due appendici cronologiche: una che va dal 13 maggio 1984 fino alla fine della Guerra fredda e oltre, e una che racconta la resistenza della Polonia, cioè il paese di Giovanni Paolo II, al regime comunista. La trama del romanzo è presto detta: il 13 maggio 1984 le forze del Patto di Varsavia si apprestano a dare l’assalto all’Europa occidentale e meridionale, ma all’ultimo istante un imprevisto fa saltare i piani dello stato maggiore sovietico, avallati dal presidente Konstantin Cernenko: un deposito strategico di armi e missili destinati alla Flotta dell’Artico, che avrebbe dovuto tagliare la strada ai rifornimenti dall’America del Nord all’Europa aggredita da Mosca, esplode rovinosamente. L’operazione è annullata.
I capitoli descrivono quattro scenari: la riunione della Direzione Strategica del Comitato di Difesa sovietico in un bunker del Cremlino, il briefing di ufficiali e piloti della base dell’aeronautica miliare a Cervia, i preparativi dei piloti italiani e quelli di un pilota russo di stanza in Ungheria. La trama allude a un fatto storicamente accertato: il 13 maggio 1984 accadde veramente un grave incidente negli arsenali della base di Severomorsk nella penisola di Kola, talmente grave che per quattro giorni si succedettero esplosioni che distrussero due terzi dei missili antiaerei e antinavali della Flotta dell’Artico.
I meriti del romanzo – il terzo a uscire dalla penna di Flavio Babini, e che come i precedenti ruota attorno a vicende riguardanti i piloti del 101° gruppo di Cervia – sono soprattutto tre. Anzitutto il realismo dei dialoghi fra militari, ufficiali, dirigenti dei servizi segreti, leader politici; tutte le questioni militari e strategiche sono illustrate minuziosamente, una miniera di informazioni rigorosamente verificate e tecnicamente precise vengono fornite al lettore, che non si annoia mai della pignoleria dei dettagli perché ha l’impressione di trovarsi lui stesso nel bel mezzo del briefing del Cremlino o di quello presso la base dell’aeronautica militare italiana.
Il secondo merito sono le dettagliate cronologie che aprono e chiudono il libro e le note ai venti capitoli, che confermano pagina dopo pagina la verosimiglianza della trama del romanzo. Il terzo merito è rappresentato dalle “chicche” di cui il racconto è disseminato: fatti, notizie, cifre e richiami storici che anche il lettore più esperto della materia può non avere mai incontrato prima o può aver dimenticato. Chi ricorda che il 18 giugno 1982, tredici mesi appena dopo l’attentato di Mehmet Ali Agca contro il Papa in piazza San Pietro, una terrorista tedesca nata in Polonia proveniente da Bucarest venne bloccata a Fiumicino con 5 kg di T-4 Semtex cecoslovacco, cioè una quantità di esplosivo in grado di attivare un ordigno 12 volte più potente di quello esploso alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980?
Chi sa che in caso di guerra a tutto campo l’aviazione del Patto di Varsavia sarebbe stata in grado di effettuare 10 mila incursioni al giorno? Chi ha memoria del fatto che il 15 agosto del 1920, festività dell’Assunzione, Benedetto XV raccomandò la recita del Rosario da parte dei cristiani di tutto il mondo per propiziare, grazie alla protezione della Madonna, la vittoria militare della Polonia che stava combattendo contro l’Unione Sovietica di Lenin? Chi sa che nel gennaio 1943 gli alpini inviati in Russia seppero rompere l’accerchiamento delle truppe corazzate sovietiche vincendo 11 battaglie in dieci giorni?
Molto asciutto quando fa esporre ai generali sovietici le loro argomentazioni di tattica militare e quando lascia emergere la loro intransigenza politica, Babini cambia completamente registro quando si tratta di esponenti del mondo dell’aeronautica militare: allora si ha l’impressione che i piloti dei caccia dei due schieramenti nemici siano in realtà fratelli che solo gli accidenti della politica e della storia hanno separato, uomini che pensano in modo simile e che sentono le cose con lo stesso cuore. Quando il capo di Stato maggiore della Difesa aerea dell’Urss generale Koldunov dice che nella battaglia che sta per iniziare «tutti gli stormi della Difesa della Nato sono destinati al completo sacrificio», Cernenko ribatte ironico: «Compagno Koldunov, da come ne parla ne sembra dispiaciuto». Al che il generale, personaggio storico reale che ha vinto da pilota durante la Seconda Guerra mondiale 46 combattimenti aerei abbattendo l’avversario, controreplica: «La passione per il volo ci unisce e nessun pilota, sia a Est che a Ovest, è animato dal gusto di uccidere! Solchiamo i cieli con i nostri aerei e siamo pronti ad affrontare venti e tempeste, oppure a duellare all’ultimo sangue, se c’è una guerra da combattere. Conosco personalmente molti dei nostri piloti e tutti decolleranno pronti a sacrificarsi e a colpire il nemico, ma ritengo che uccidere non sia un’azione di cui vantarsi… nonostante le medaglie di cui ci si può fregiare».
Non è un caso se il libro è dedicato, oltre che a san Giovanni Paolo II «che, ponendo le premesse per la liberazione della Polonia, ha contribuito in modo determinante alla caduta del comunismo in Europa e alla fine del confronto militare fra Est e Ovest», anche «alle centinaia di piloti della Nato e del Patto di Varsavia deceduti in servizio durante i quarant’anni di Guerra Fredda».
Se i cuori dei piloti nemici sono vicini, le visioni del mondo contrapposte sono incarnate da Cernenko e dal cappellano della base di Cervia, don Primo. Ragiona il presidente sovietico: «Il confronto è unicamente fra il Patto di Varsavia e la Nato. Dio e il Papa non c’entrano in questa partita. Tutto è nelle nostre mani e noi siamo i padroni assoluti del nostro destino!». Invece don Primo spiega così la sua certezza che l’attacco comunista non ci sarà: «La mia certezza viene dal fatto che Dio c’è. E ama gli uomini come un padre e una madre amano i propri figli! E ho anche un’assoluta fiducia nell’azione protettrice e mediatrice della Madre del nostro Redentore».
Rodolfo Casadei, "Assalto all'Europa." Se una guerra atomica non ci ha distrutti è un miracolo, "Tempi", 6-12-18.