La parola catarsi è di origine greca: κάϑαρσις voleva dire “purificazione”, e il verbo (καϑαίρω) da cui il sostantivo è disceso significava “purificare”. La purificazione toccò il corpo e l’anima, come per i pitagorici, e fu allora una decontaminazione e un’elevazione morale (ascesi) rese possibili dallo svolgimento di un rito, oppure interessò la sola anima, come per Platone e Aristotele. Il primo fu nemico della poesia tragica, perché riteneva che allontanasse dalla verità e dalla conoscenza, il secondo ne esaltò le proprietà “terapeutiche”.
Per Aristotele la catarsi era la purificazione dalle proprie passioni di chi assisteva alla rappresentazione di una tragedia, poiché l’arte drammatica era per lui imitatrice della realtà e, riproducendone fatti gravi, sanguinosi o luttuosi, li “sublimava” in un sentimento di pietà e di terrore insieme, ponendo in qualche modo rimedio alle angosce quotidiane. Nell’estetica crociana la purificazione catartica sarebbe passata attraverso la poesia in significato più ampio (per i pitagorici, invece era stata fondamentale la musica): la catarsi, nella visione di Croce, era il momento più alto dell’intuizione poetica.
In ambito psicanalitico e psicoterapeutico, infine, la catarsi è la liberazione da un trauma o un conflitto interiore (o da una qualunque altra analoga forma di disagio), un’evacuazione che si attua facendo riaffiorare alla mente del paziente ciò che ha prodotto quel conflitto o quel trauma.
È interessante notare la presenza, nelle diverse scuole che hanno tentato di cogliere il valore più profondo del concetto di catarsi aristotelica, di tutte e tre le componenti di significato indicate: etica, medica, estetica. Il termine κάϑαρσις, in un’interpretazione molto comune, sarebbe un grecismo della medicina, e ciò porterebbe a ritenere che la catarsi, nel liberare dalle passioni, funzionasse come una “medicina omeopatica” (Nazzareno Luigi Todarello, Le arti della scena. Lo spettacolo teatrale in Occidente da Eschilo al trionfo dell’opera, Novi Ligure (AL), Latorre, 2006, p. 57). Per numerosi altri, che ne hanno rilevato piuttosto il carattere morale, la catarsi è da intendersi come «una via verso la moderazione più che una espulsione della passionalità intesa come malattia» (ibid.). Altri ancora hanno optato per una soluzione filosofica, pensando agli effetti conoscitivi prodotti da uno “scatto” intellettuale:
Lo spettatore reagisce non all’eccesso di emozione ma all’armonia finale della tragedia in cui i vari elementi contrastanti si armonizzano in un[‘]unità superiore (ibid.).
Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.
Il nuovo libro di Massimo Arcangeli, “La solitudine del punto esclamativo“, è uscito il primo giugno per il Saggiatore.
Massimo Arcangeli, Cosa vuol dire catarsi, "Il Post", 16-06-17.