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giovedì 22 giugno 2017

Il fascino discreto dei vecchi socialisti sui giovani elettori.


C’è un apparente paradosso nella politica internazionale degli ultimi anni: i candidati più giovani e innovativi sembrano avere difficoltà a ottenere il voto degli elettori più giovani. In Francia il nuovo presidente Emmanuel Macron, 39 anni, è stato votato soprattutto dagli elettori anziani, mentre i giovani hanno scelto i suoi avversari più radicali oppure hanno preferito restare a casa. In Italia Matteo Renzi, che ha costruito la sua ascesa politica sulla giovane età e sulla necessità di ricambio nella classi dirigenti, oggi attira soprattutto il voto di anziani e pensionati: secondo i sondaggi alle ultime primarie del PD la maggior parte degli elettori tra i 18 e i 24 anni ha preferito i suoi due sfidanti.
Ai nuovi e brillanti leader del centrosinistra, i giovani elettori sembrano preferire i “vecchi socialisti”, come ha scritto la giornalista e attivista Sarah Leonard sul New York Times. Bernie Sanders, che alle primarie americane del 2016 ha ottenuto tra i giovani più voti di Hillary Clinton e Donald Trump messi insieme, ha 75 anni. Il leader laburista inglese Jeremy Corbyn di anni ne ha 65 e, grazie al voto dei giovani, ha recuperato quasi 20 punti di distacco nei sondaggi e alle ultime elezioni è riuscito a impedire che il Partito Conservatore ottenesse la maggioranza dei seggi. In Francia il candidato di estrema sinistra, Jean-Luc Mélenchon, è quasi arrivato al ballottaggio grazie a un improvviso afflusso di voti provenienti dalle giovani generazioni.

Sanders, Corbyn e Mélenchon sono politici molto diversi, che hanno raccolto voti in contesti e con risultati differenti, ma sono uniti dal bacino trasversale dal quale sono riusciti a pescare. Come ha scritto il sito Vox: «Questi tre candidati non provengono dallo stesso partito, né portano avanti le stesse politiche, ma il ruolo che hanno avuto durante le elezioni nei loro rispettivi paesi è difficile da ignorare: il loro supporto è arrivato soprattutto da una generazione giovane che si sente tagliata fuori dalle principali correnti politiche mainstream».
Secondo Leonard, la principale ragione del successo dei “vecchi socialisti” è, prima ancora che un loro merito, una colpa dei loro più moderati compagni di area politica: cioè appunto la sinistra mainstream. Negli ultimi vent’anni, scrive Leonard, la sinistra ha fallito il suo compito storico: proteggere la parte più debole della società, formata dai lavoratori e, in particolare, dai più giovani. I ragazzi nati tra gli anni Ottanta e Novanta sono la prima generazione dal Dopoguerra a oggi che guadagna meno, è meno occupata e più indebitata dei propri genitori. In alcuni paesi, come l’Italia, lo sbilanciamento della ricchezza a favore dei più anziani è particolarmente evidente, ma è un fenomeno comune in tutto l’Occidente. I giovani hanno lavori più precari e meno pagati dei loro genitori, comprano meno case, si sposano e hanno figli sempre più tardi.
Quando gran parte di questi giovani si è affacciata alla politica, la sinistra europea e americana era dominata quasi ovunque da una corrente centrista. Era la cosiddetta “terza via” creata da Tony Blair, con cui il leader del Partito Laburista spostò verso destra il programma economico del suo partito. Blair ottenne spettacolari successi elettorali e fu imitato in tutta Europa. È un paradosso soltanto apparente che tutte le principali riforme del lavoro dell’ultimo quindicennio, quelle che hanno reso il lavoro più flessibile e precario in tutto il continente, siano quasi sempre state introdotte proprio dalla sinistra.
I giovani non sono stati tra i gruppi sociali che hanno goduto di queste innovazioni. Inoltre sono la prima generazione che non ha vissuto con lo spauracchio del comunismo: hanno un nuovo atteggiamento nei confronti di teorie economiche che fino a trent’anni fa erano considerate una rischiosa antitesi alla democrazia liberale. «Dopo la fine della Guerra fredda, il sistema capitalistico ci ha tradito», scrive oggi Leonard: «Le persone della mia età – ho 29 anni – oggi hanno bisogno di una robusta piattaforma di sinistra». Corbyn, Sanders e Mélenchon sono uniti da un’idea di sinistra antecedente alla svolta di Blair. Delusi dalla piega che hanno preso gli eventi negli ultimi anni, tanti elettori giovani – non tutti, certo – vogliono ritornare a quell’idea di sinistra, che promette di avere di nuovo a cuore i loro interessi.
Ma cosa significa in pratica? Già nel 2014 David Frum, giornalista conservatore anti-Trump ed ex collaboratore di George W. Bush, scriveva su The Atlantic: «Tutti i seri studi sull’attitudine politica degli elettori under 30 mostrano che sono il gruppo sociale più a favore dello Stato dai tempi della Grande Depressione». Oggi i giovani sono in maggioranza per la sanità e l’istruzione pubblica, per un governo che spenda di più e che si occupi di più dei suoi cittadini (ma non è sorprendente che, mano a mano che salgono nella piramide dei guadagni, anche i giovani divengano sempre meno favorevoli a pagare più tasse).
Gli opinionisti conservatori spesso si domandano come sia possibile che i giovani possano essere favorevoli a dottrine economiche che hanno dimostrato di essere incapaci di produrre benessere e crescita economica nel lungo termine. Queste critiche, però, spesso ignorano il fatto che le giovani generazioni non sono radicali come si potrebbe pensare: quello che chiedono non è un ritorno ai tempi dell’Unione Sovietica. Sono finiti i tempi in cui i giovani universitari occidentali credevano fosse una buona idea importare in Occidente modelli comunisti da Cina, Cuba e Russia: e di sicuro, a differenza dei giovani di mezzo secolo fa, quelli di oggi non sembrano disposti a ricorrere alla lotta armata per raggiungere i loro obiettivi.
I giovani di oggi sembrano in realtà ben più moderati: secondo un sondaggio del 2014, soltanto il 32 per cento dei giovani americani è favorevole a “un’economia gestita dal governo”, la definizione di economia socialista, mentre il 64 per cento preferisce un’economia libera di mercato, una percentuale non troppo diversa da quella dei più anziani. La domanda che i giovani di oggi sembrano farsi è molto più limitata: il libero mercato è sufficiente a garantire loro benessere e sicurezza sociale? Oppure lo Stato dovrebbe avere un ruolo più importante nel correggere le storture a cui hanno assistito negli ultimi anni?
Il modello che molti sembrano avere in mente non è quello dei paesi del blocco comunista, ma piuttosto quello delle socialdemocrazie del nord Europa. «Nel Ventesimo secolo la battaglia tra la libera impresa e il socialismo è già stata vinta dalla libera impresa», scriveva un anno fa la giornalista Emily Ekins sul Washington Post: «Il dibattito di oggi è se modelli di welfare sociale come quelli adottati in Scandinavia (che sono ancora “in beta-test” visto che non sono in giro da molto) siano sostenibili e trasferibili in altre nazioni».
La crisi della sinistra, scrive Leonard, è anche dovuta alle difficoltà dei Blair e dei Clinton di comprendere questi problemi: una difficoltà che oggi è sentita anche in Italia, non solo a sinistra. Nell’ultimo decennio, una volta arrivati al voto, i giovani non si sono trovati con molte opzioni tra le quali scegliere. La loro unica scelta è spesso stata una sinistra riformista che sul ruolo dello Stato, sul welfare e sull’istruzione non diceva cose poi molto diverse dalla destra. Quando si sono trovati davanti leader come Corbyn o Sanders, che negli anni sono sempre rimasti fedeli agli ideali più classici della sinistra storica, hanno avuto pochi dubbi su chi avrebbero scelto. Il successo di questi politici tra i giovani, scrive Leonard, «non è una questione di carisma: ha le sue radici nei loro programmi».
Davide Maria De Luca, Giovani elettori e vecchi socialisti, "Il Post", 22-06-17.