Il primo febbraio 1976 moriva a Monaco il premio Nobel per la fisica Werner Karl Heisenberg, «il primo ad avere una mentalità quantistica» e la capacità di «immaginare un mondo subatomico, astratto e impossibile da visualizzare»: queste e molte altre cose si sono dette sul padre del principio di indeterminazione (uno dei pilastri concettuali della meccanica quantistica, che egli enunciò nel 1927), poco invece si sa di cosa accadde veramente quando, durante la Seconda guerra mondiale, si trovò davanti a un dilemma morale, scappare dalla Germania (come Einstein) o rimanere nonostante il regime nazista?
«Lasciare la Germania gli sembrava vigliaccheria, sia nei confronti della sua famiglia, sia dei giovani fisici che voleva proteggere dalle grinfie del regime», scrive Francesco Agnoli, nel suo L’uomo che poteva costruire la bomba (Edizioni Gondolin, 80 pagine, 8 euro), che ripercorrendo la vita e il pensiero del grande fisico risponde al dibattito da tempo acceso tra gli storici sulla possibilità di un’atomica tedesca che avrebbe permesso a Hitler di vincere la guerra.
Genio poliedrico, amante della filosofia di Platone più che di Democrito, di san Tommaso più che di Cartesio, all’avvento del nazismo, nel 1933, anno in cui riceve il Nobel, Heisenberg ha almeno tre grosse colpe: «Le sue amicizie con scienziati ebrei; la sua difesa della “fisica ebraica”; il suo pessimo rapporto con Lenard e Stark, che gli hanno chiesto una presa di posizione a favore di Hitler, cui ha opposto un netto rifiuto». Oltreché amico di Einstein e sostenitore della relatività, bollata dai nazisti come aberrazione della mente ebraica, Heisenberg difende infatti gli ebrei scacciati dalle università tedesche, arrivando a proporre l’ebrea Lise Meitner per il Nobel per la fisica.
Nel 1938 viene arrestato dalla Gestapo. «Non ci resta che aspettare il momento in cui sia possibile fare qualcosa – dirà nei mesi sotto indagine –. Nel frattempo cerchiamo di tenere in ordine gli angoli oscuri in cui siamo costretti a vivere». Heisenberg ha infatti una moglie e sette figli: per lui fuggire equivale a disertare, occorre qualcuno che prepari il domani.
Nel 1942 è chiamato a dirigere il programma nucleare tedesco: la Germania ha bisogno di lui, ma il fisico riesce a demotivare il gerarca Albert Speer e a convincerlo a rinunciare al progetto della bomba atomica, limitando la ricerca alla sola costruzione di un reattore. Scrive Agnoli, leggendo i resoconti di Speer: «Perché Heisenberg tergiversa? Secondo alcuni – che chiameremo per comodità “innocentisti” – per prendere tempo e continuare così la sua strisciante opposizione al regime; secondo altri – che chiameremo “colpevolisti” e che arrivano talora persino all’assurdo di accusarlo di essere filo-nazista – unicamente perché ritiene impossibile, impraticabile la realizzazione della bomba, non solo da parte dei tedeschi, ma anche dei loro nemici».
Più logico, sostiene Agnoli, che Heisenberg fosse esitante sia sulla possibilità che qualcuno realizzasse l’atomica in tempi ragionevoli, sia sulla moralità di una tale azione, infine, essendo anche un fiero anticomunista, sulla possibilità di collaborare con il suo paese, in funzione antisovietica. Una tentazione che tuttavia non diventa mai dominante: dopo l’attentato a Pearl Harbor Heisenberg rafforza il suo atteggiamento antinazista, ben rintracciabile nella frequentazione della Società del mercoledì e nell’atteggiamento filo-americano dimostrato durante l’arresto a Farm Hall.
Nell’aprile del 1945, mentre fugge da Hechingen, dove si lavora al reattore nucleare, Heisenberg viene infatti arrestato con altri nove fisici tedeschi dagli americani, e condotto in una residenza nella campagna inglese, dove rimarrà per sei mesi: è qui che il 6 agosto 1945 gli scienziati apprendono il lancio dell’atomica su Hiroshima e ne discutono animatamente. Proprio da questi colloqui, spiati attraverso microfoni e trascritti, emerge l’operato di Heisenberg, che dimostra tra le altre cose «di essere l’unico “a essere perfettamente in grado di ‘progettare’, sia pure mentalmente, un’atomica”, e di non aver mai messo prima “a parte di questa sua competenza neppure gli amici e i collaboratori”».
In molti hanno creduto alla sua azione contro il nazismo: nel 1973 lo scienziato riceve dall’Accademia Cattolica di Baviera il premio “Romano Guardini” dedicato al teologo che ispirò i ragazzi della Rosa Bianca. Fu allora che, ricordando come la scienza possa «essere usata per elaborare armi con la più atroce capacità distruttiva», Heisenberg volle citare la vita «pervasa completamente, in ogni istante, dalla lotta per la verità religiosa» dei personaggi di Dostojevskij: «Dove non ci sono più immagini guida a indicare il cammino, insieme alla scala di valori scompare anche il senso del nostro agire e soffrire, e alla fine restano solo negazione e disperazione. La religione è dunque la base dell’etica, e l’etica è il presupposto della vita».
Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) e fa parte della serie “Idee per respirare”
C. Giojelli, La guerra silenziosa di Heisenberg, il fisico tedesco che boicottò l’atomica di Hitler, "Tempi", 24-07-16.