Farhad Manjoo, giornalista ed esperto di tecnologia delNew York Times, ha scritto un articolo per ricordare il futurologo Alvin Toffler, morto il 27 giugno 2016, e riflettere sul modo in cui le novità – dalla nascita dello Stato Islamico al pilota automatico delle Tesla – colgono impreparate le persone. Secondo Manjoo, dagli anni Ottanta in poi non si è più investito nel fare previsioni e per questa ragione siamo sensibili al cosiddetto “shock del futuro”, dal nome del più famoso libro di Toffler, Future Shock, pubblicato nel 1970 (in italiano con il titolo Lo choc del futuro): le crisi globali e locali sarebbero dovute all’incapacità di affrontare i cambiamenti rapidi degli ultimi anni.
Manjoo pensa soprattutto al modo in cui i social network stanno cambiando la vita delle persone, dal modo di fare e leggere i giornali, al rapporto tra cittadini e politica, fino alle possibilità organizzative e di comunicazione che danno alle organizzazioni terroristiche. Al fatto che esistono molte diseguaglianze nel mondo dovute alle differenze nell’accesso alla tecnologia, e a come i governi debbano avere a che fare con le grandi aziende tecnologiche (come Google e Facebook, per esempio) per questioni che riguardano i diritti dei cittadini, tra le altre cose.
Secondo Manjoo, le persone hanno smesso di fare piani per il futuro: «Non è semplice shock del futuro: è che ora siamo ciechi rispetto al futuro». Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta l’atteggiamento generale nei confronti del futuro era diverso. Manjoo spiega che il governo degli Stati Uniti finanziava istituti di ricerca dedicati a fare previsioni sui progressi tecnologici, sulla geopolitica e sugli armamenti: l’opinione dei cosiddetti futurologhi era tenuta in considerazione sia dai capi di stato e di governo sia dal mondo degli affari. Per via della Guerra fredda, era molto importante per i governi riuscire a farsi un’idea di cosa sarebbe accaduto in futuro. Nel 1972 il governo degli Stati Uniti fondò addirittura un ufficio il cui compito era studiare gli effetti a lungo termine di alcune leggi, l’Office of Technology Assessment.
Negli anni Ottanta, però, la futurologia ha perso il valore che le era stato assegnato fino a quel momento, anche perché sempre più persone hanno cominciato a spacciarsi per studiosi del campo delle previsioni mentre in realtà stavano solo cercando di vendere qualcosa. Per questo tendiamo ad associare la futurologia alla fantascienza e a discorsi new age in cui non c’è nulla di scientifico: anche il nome in italiano non aiuta, ricorda cose tipo “astrologia”, mentre in inglese si usa “futurism“. L’Office of Technology Assessment fu chiuso nel 1995. Paradossalmente, tra l’altro, i progressi tecnologici sono accelerati da quando la futurologia ha smesso di essere considerata una cosa seria: proprio per questo, secondo Manjoo, dovrebbe esserci un dibattito serio su come avvengono i cambiamenti nei prodotti tecnologici, nel software e nelle biotecnologie.
La fine delle previsioni, "Il Post", 23-07-16.