Sulla fortissima selezione nelle prove scritte del maxi-concorso per entrare nella scuola ha scritto ieri un ampio intervento Gian Antonio Stella, basandosi su uno studio di “Tuttoscuola”. L’articolo affastella, in modo non sempre logico, tutta una serie di temi e considerazioni (alcune condivisibili, altre molto meno), ma il problema di gran lunga più serio che si pone al mondo della scuola, e in primo luogo al governo e al parlamento, è racchiuso in alcune citazioni tratte dall’analisi di “Tuttoscuola”. Secondo la quale dalle prove scritte emerge “una scarsa capacità di comunicazione scritta, in termini di pertinenza, chiarezza e sequenza logica e una carenza nell’elaborare un testo in modo organico e compiuto”, al punto che alcuni commissari si sono chiesti “se si trattasse di candidati stranieri che non padroneggiavano bene la nostra lingua, salvo poi verificare che erano italianissimi». Inoltre dai testi dei candidati “si ricava anche un campionario di risposte incomplete, errori e veri e propri strafalcioni, che sorprendono in maniera più acuta per il tipo di concorso in questione, ovvero una selezione tra chi si candida a insegnare alle nuove generazioni». Sembra di rileggere le ripetute e inascoltate lamentele di tanti docenti universitari inorriditi dagli scritti dei loro studenti e persino dei loro laureandi per le macroscopiche carenze nelle “competenze di base”.
Non c’è però da meravigliarsene. Dato che, come riferisce “Tuttoscuola”, l’età media dei candidati è di 37-38 anni, questo significa che una buona parte di loro ha frequentato le elementari e le medie dagli anni ’70 in poi, quando cioè si stavano già dispiegando sugli apprendimenti gli effetti delle pedagogie permissive, egualitariste e puerocentriche a oltranza. Col sostegno di non pochi “esperti” si abbandonavano quasi del tutto lo studio della grammatica, la correzione degli errori (per non demotivare i bambini; e comunque mai con la matita rossa!), l’esercizio della calligrafia, vissuto da molti come “repressivo” della spontaneità infantile, le poesie a memoria, le date della storia, i nomi della geografia. Per non parlare della condanna della bocciatura anche come extrema ratio utile a sostenere impegno e serietà nello studio. Una scuola, insomma, sempre meno esigente sul “profitto”, mentre contestualmente veniva messa sotto accusa la disciplina e si squalificavano le sanzioni come retaggio di un passato autoritario anche per comportamenti gravemente incivili. Si tratta però di una tolleranza che non ha pregiudicato solo la formazione umana e civica di milioni di ragazzi, ma anche l’apprendimento stesso che può avvenire solo in un clima di attenzione e di concentrazione. E questo vale a maggior ragione per gli allievi socialmente svantaggiati.
Nonostante un simile contesto politico-culturale, in questi decenni moltissimi insegnanti hanno cercato di difendere, potremmo quasi dire a mani nude, i valori dell’impegno, del merito, della responsabilità, nonché l’importanza di acquisire sicure competenze di base. Sarebbe ora che diventassero questi i cardini di una nuova politica scolastica. (GR)
Nonostante un simile contesto politico-culturale, in questi decenni moltissimi insegnanti hanno cercato di difendere, potremmo quasi dire a mani nude, i valori dell’impegno, del merito, della responsabilità, nonché l’importanza di acquisire sicure competenze di base. Sarebbe ora che diventassero questi i cardini di una nuova politica scolastica. (GR)