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martedì 3 gennaio 2012

Contro la privatizzazione dei corsi di italiano all'estero.




di  A. Lalomia

Da anni, ormai, sono a favore di una politica di liberalizzazioni in settori anche importanti della nostra economia, per  affrancarla dalla cappa dei monopoli invadenti e dello statalismo parassitario che lo ha oppresso per decenni  (frustrando le legittime ambizioni dei cervelli che sono stati costretti ad espatriare)  e per consentire al Paese di far fronte agli obblighi che la finanza internazionale  -e la sciagurata adozione dell'Euro-  richiedono  (ma forse bisognerebbe scrivere "ci impongono").
Ritengo però che esistano comparti in cui lo Stato non possa e non debba abdicare alla sua leadership.
Uno di questi settori è quello dell'istruzione, in cui la presenza pubblica deve senz'altro essere tallonata dalle iniziative dei privati  -inserendosi in un regime di concorrenza leale ma serrata, per offrire servizi sempre migliori agli utenti-   ma deve continuare a conservare un ruolo strategico, di primaria importanza.  E questo soprattutto per impedire che la scuola si trasformi in una specie di azienda, dove la preoccupazione maggiore diventa l'accumulo di competenze professionali finalizzate all'immediato, al profitto, dimenticando il profilo educativo, pedagogico, di affinamento della personalità dell'allievo, di costruzione della sua coscienza etica, che l'istituzione scolastica deve porsi.  La scuola pubblica, naturalmente, può e deve anche pensare alle logiche di mercato, ma tale finalità non deve sovrapporsi agli altri compiti che ho appena esposto.
Ecco perché mi sento di sottoporre ai lettori del blog l'appello rivolto al Ministro degli Affari Esteri di non procedere alla privatizzazione dei corsi di lingua e cultura italiana all'estero, una proposta avanzata dal Sen. Claudio Micheloni   e  dall'On. Franco Narducci, entrambi del PD  (e la circostanza non può non sollevare un notevole stupore, anche se la  FLCGIL ha preso duramente posizione sul tema).
Un appello che forse non cadrà nel vuoto, visto l'impegno che il ministro Terzi ha dimostrato in passato nella meritoria opera di valorizzazione e diffusione della nostra lingua e della nostra cultura nei paesi in cui ha prestato servizio come ambasciatore, e soprattutto negli Stati Uniti .  Da persona sensibile a questi e ad altri temi  (a partire dal rispetto dei diritti umani),  il ministro potrebbe senz’altro accogliere l’invito e promuovere le idee per vitalizzare, in un regime in cui venga lasciato un doveroso spazio ai privati  (sempre per garantire, appunto, la concorrenza), un settore che dovrebbe proiettare nel mondo l’immagine dell’Italia e in grado di rispondere in modo concreto all'enorme domanda di apprendimento della nostra lingua in diverse aree geografiche.
Contro la mercificazione del sapere, della conoscenza come mezzo spregiudicato e senza scrupoli di profitto e di arricchimento, soprattutto in un Paese come l’Italia dove manca una vera e propria cultura d’azienda a livello nazionale (le eccezioni riguardano le PMI, malgrado siano le più colpite dalla crisi economica), l’iniziativa mi sembra inserirsi egregiamente in un contesto di buone pratiche che dovrebbero essere sempre più diffuse.
Qui la pagina del MAE sulle scuole italiane all'estero.
Qui, invece, la testimonianza di una docente di lingua italiana in California che lamenta la scarsa attenzione del nostro Paese nel sostenere la cultura nazionale all'estero.