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sabato 10 dicembre 2011

Elogio della meritocrazia.

di A. Lalomia
Vorrei segnalare ai lettori del blog l'articolo di Giuseppe Provenzano pubblicato oggi sul "Riformista".
Finalmente parole chiare, da una certa parte del mondo politico, sui risultati catastrofici che hanno prodotto teorie  (pseudo)pedagogiche considerate oro colato fino a pochi anni fa e che sono state utilizzate da personaggi senza scrupoli per i loro affari personali.
Senza arrivare agli eccessi di Crown Woods, il college inglese dove gli studenti più meritevoli si distinguono dagli altri sia per l'abbigliamento che per l'edificio in cui studiano, credo che si arrivato il momento di riportare serietà e selezione all'interno delle scuole, offrendo a tutti pari opportunità, ma senza transigere su principi non negoziabili e soprattutto sul valore della condotta.
Riporto solo un paio di brani dell'articolo.
"Nel declino dei “bravi a scuola” è il declino dell’Italia. E ci sono aspetti strutturali: un’economia sempre meno competitiva, con scarso contenuto di innovazione e conoscenza, sottoutilizza o spreca il “capitale umano”, e non solo contribuisce all’impoverimento collettivo ma scoraggia l’investimento formativo. Il declino dei tassi di iscrizione all’università ne è la più preoccupante testimonianza, così come il rischio che a minori aspettative di benessere, per le nuovissime generazioni, si affianchi ora una minore quantità e peggiore qualità di sapere.
È difficile non cogliere un disegno perverso nella devastazione di una scuola pubblica che pure non riusciva a garantire pieno sviluppo delle capacità e promozione dei talenti, in cui il successo formativo è ancora largamente determinato dal retroterra socio-economico e familiare.

Essere “bravi a scuola”, investire in sapere e conoscenza, non serviva più in un’Italia a debole economia e pessima burocrazia, dove i concorsi pubblici erano finiti e si affollavano come un tempo le anticamere dei favori e delle raccomandazioni. Altri erano i modelli di affermazione sociale, e i “bravi a scuola” nella vita potevano essere perdenti.
Molti tendevano a diventare allora solo secchioni, un po’ sfigati e incattiviti, che dal primo banco guardavano gli altri con disprezzo e rancore: e non passavano il compito. Ma agli altri ormai non importava più: nella vita avrebbe vinto uno di loro. [...]  Tornasse davvero il tempo dei “bravi a scuola” sarebbe un gran bene per l’Italia post-berlusconiana. Non siano solo secchioni, però, solerti nello svolgere il solito compito: gravare su quelli per cui la vita è già grave, per dire. I “bravi a scuola” diventano i migliori, per intelligenza delle cose e forza morale, solo se si sforzano di trovare strade nuove, solo facendosi prossimi ai più deboli: i più fragili, i più imperfetti, persino i più vili e i più opportunisti. La buona politica è passione per la zona grigia, per quelli che non si salvano da soli, per i banchi della terza fila. È persino disponibilità generosa a passare i compiti, qualche volta, all’onesto copiare come esempio ed emancipazione. È la sinistra, quella che le lacrime di una professoressa ricordano appena vagamente."