3. L’art.
3 della predetta legge dispone che “Per il funzionamento del Museo è inscritto nello
stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, a decorrere dall’esercizio
finanziario 1956-57, un contributo annuo di
un milione.”.
A quanto ammonta l’ultimo bilancio del Museo e quali sono le sue fonti di finanziamento (a
parte i contributi volontari) ?
Se permette, non scendo
nei particolari. Oggi il contributo statale (MIBAC e/o MIUR) copre circa metà
di un bilancio che oscilla tra 100.000 €
e 120.000 €. La restante parte è coperta per un po’ più di metà dai
contributi delle amministrazioni locali e da una quota consistente pari a un
po’ più del 20% da sottoscrizioni e da contributi per le guide nelle visite
scolastiche. È un bilancio di pura sopravvivenza, stante la crescita continua
dei costi fissi (utenze e servizi, condominio, imposte, impianti di sicurezza,
pulizie, manutenzione, ecc…) : in tempi di crisi, ha scritto in un suo
documento la sezione italiana dell’ICOM (organismo internazionale dei musei), non si tratta di spese correnti ma di investimenti, che servono a garantire
l’integrità dei patrimoni e la loro trasmissione alle generazioni
successive. Ma ci sarebbe bisogno di
investimenti nel rinnovamento delle strutture e degli allestimenti, anche con
nuove tecnologie, e questo diventa proibitivo. Il Museo raggiunge standard
elevati come servizio pubblico grazie unicamente al lavoro dei volontari e
delle volontarie.
4. Lei
è stato eletto presidente del Museo nel 2001 e da allora riconfermato tre volte; l’ultimo
mandato è del 28 aprile 2011 e scade il 27 aprile 2014. Quali contributi ritiene di
aver apportato al Museo durante questo lungo periodo e
quali progetti ha in cantiere ?
Non
sono stato eletto, ma nominato/designato dal Ministro in carica del MIBAC, cioè
su un mandato fiduciario, da governi di diverso colore. Il primo contributo è
stato quello di garantire l’esistenza del Museo. Per ben tre volte, due per
ragioni politico-amministrative (lo scioglimento di enti considerati inutili)
ed una per ragioni finanziarie: abbiamo dovuto combattere contro ministri di
peso politico notevole, come Calderoli, Brunetta e Tremonti e il loro modo
“disinvolto” di amministrare (cioè basato su automatismi burocratici, più che
su conoscenza reale delle cose). Abbiamo vinto perché a nostra difesa si sono
schierate personalità autorevoli della cultura, come l’ex presidente delle
Corte costituzionale Giuliano Vassalli, Moni Ovadia, Dacia Maraini, e altri:
accanto a loro, compatte, le associazioni ANPI, FIAP, FIVL, APC, ANPPIA, ANED,
ANEI e istituzioni ebraiche italiane e internazionali, ma soprattutto la
società civile, il popolo dei fax e delle e-mail, scuole, centri anziani,
centri sociali, associazioni di italiani all’estero, ecc… Furono bloccate
perché intasate persino caselle di posta elettronica di ministeri …. Per il
2011 – nel momento in cui a noi e al presidente Napolitano veniva assegnato un
premio per la pace e i diritti umani - dovemmo addirittura annunciare che non
avremmo potuto aprire il Museo per mancanza di fondi adeguati. Il secondo
impegno –che è merito di collaboratori e collaboratrici– è stato lo sviluppo
del servizio di visite guidate: chi ci ha preceduto, cioè i direttori prof.
Arrigo Paladini e prof. ssa Elvira Sabbatini Paladini, anche per il fascino che
avevano le loro figure di protagonisti, negli anni 1980-2000 avevano operato il
primo grande balzo, giungendo a 7000-8000 presenze; noi abbiamo sviluppato il
secondo, giungendo ad una media di 13.000 circa, con punte di 15.000. Il terzo
è una maggiore presenza a livello comunicativo: l’intestazione della fermata
della Metro A, Manzoni-Museo della Liberazione; la presenza su alcune
importanti guide in inglese e francese (e perfino in giapponese) e su una guida dei luoghi delle memorie
ebraiche; la presenza sul Portale dei Memoriali del grande Memoriale della Shoah
di Berlino e l’’inserimento nel coordinamento internazionale Sites of the Conscience.
Il quarto è l’accrescimento delle collezioni, con un grande incremento della
biblioteca (anche con donazioni) e dei
fondi archivistici, lo sviluppo della mediateca, la realizzazione di cataloghi
e database per gli studiosi. Il quinto è la realizzazione di importanti mostre
e di eventi culturali anche di natura teatrale e musicale. Il sesto la
redazione di oltre mille schede biografiche dei detenuti di Via Tasso (circa il
50%), dei quali intorno a 300 donne. Ultimo, ma non meno importante, il
riallestimento appena iniziato con l’inaugurazione del primo cantiere di lavori
il 25 aprile con intervento del presidente Giorgio Napolitano e delle più alte
cariche della Repubblica.
5.
Come mai è stato scelto, come sede del Museo, proprio lo stabile di Via Tasso,
lo stesso utilizzato da Kappler, durante l’occupazione tedesca di
Roma (settembre 1943-giugno
1944), come suo quartier generale e come prigione per i detenuti politici ?
|
La sede del Museo della Liberazione di Via Tasso. |
Fu la principessa Josepha Ruspoli
Savorgnan-di-Brazzà, la cui famiglia aveva affittato l’intero immobile
all’ambasciata tedesca, che donò allo
Stato il primo nucleo di quattro appartamenti perché vi fosse allestito il
Museo storico della Lotta di Liberazione. Altre unità immobiliari sono state in
seguito acquistate dallo Stato con il concorso di Regione Lazio, Provincia di
Roma e Comune di Roma. Vi fu chi vide nella donazione una sorta di
“riparazione”, dal momento che tra i membri della famiglia non mancavano i
collaborazionisti.
6.
Quali sono i documenti più importanti che custodisce il Museo ?
Innanzitutto, la propria struttura edilizia e i propri muri con le
finestre murate, le grate sulle porte, le bocche di lupo, le scritte dei
prigionieri graffite sulle pareti. Moni
Ovadia nel 1999 fu al Museo nel corso delle grande manifestazione di
solidarietà contro l’attentato che lo aveva colpito (oltre 3000 visitatori in
un giorno, 1 romano su 1000 !) e dopo
averlo visitato piangendo disse: “E’ uno dei luoghi più importanti della memoria
europea della lotta al nazismo, come la casa di Anne Frank o il campo di
Auschwitz”. Tra i cimeli esposti,
indubbiamente importanti sono quelli ritrovati sui caduti delle Fosse
Ardeatine. Poi ci sono i giornali clandestini, i volantini e i manifesti di
guerra. Un Museo non è solo ciò che espone, ma anche ciò che conserva nella sua
biblioteca e nei suoi archivi: dagli opuscoli clandestini di propaganda alle
prime edizioni di memorie uscite dopo la Liberazione, a documenti sulla vita
delle formazioni partigiane e dei partiti, ad un piccolo nucleo di schede
carcerarie ed altri documenti (in tedesco) scampati alla distruzione da parte
dei nazisti. Poi vi sono alcuni fondi archivistici molto ricchi: la carte del
questore Giuseppe Dosi, quelle dell’avv. Giannetto Barrera, quelle del
giornalista, scrittore e deputato Siverio Corvisieri e le numerose posizioni
personali –a partire da quella di Arrigo Paladini e a quella di Mario
Fiorentini- che con documenti, diari, fotografie, interviste e testimonianze, testimoniano
aspetti della vita di caduti, di partigiani e di gente comune.
7. È
possibile che nella loro fuga i tedeschi abbiano portato via parte della documentazione che conservavano qui e
che tale documentazione si trovi oggi in Germania ?
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4 giugno 1944: il fumo esce dal carcere di Via Tasso, dopo la fuga dei tedeschi. |
Le SS distrussero una
parte degli archivi incendiandoli: vi sono fotografie del 4 giugno 1944 di Via
Tasso con piccoli fuochi, resti di più grossi falò; il resto lo fecero popolani
e sfollati che avevano invaso uffici e celle. Un funzionario di polizia, Giuseppe
Dosi, salvò parte degli archivi e ora le carte sono in gran parte al Museo. Altre
ne consegnò alle autorità italiane. Ma credo che – cosa del tutto consueta – le
cose più importanti le SS se le portarono dietro al momento della fuga. Non mi meraviglierei che queste carte, oltre
che dagli archivi tedeschi, possano uscire fuori da quelli delle potenze
alleate.
8. In questo luogo i tedeschi hanno sempre condotto
le loro azioni da soli, oppure sono stati coadiuvati da italiani e da personale
di altri paesi ?
Quasi certamente vi erano
austriaci e sudtirolesi che inizialmente svolgevano il ruolo di custodi e
piantoni non armati tra le celle, poi sostituiti negli ultimi mesi dalle SS
armate. Quanto agli italiani, sappiamo che tra le carte consegnate dal questore
Dosi alle autorità italiane vi era anche un elenco di collaborazionisti. Dopo
la Liberazione, apparvero sui giornali articoli di denuncia contro questa o
l’altra persona, ma ogni notizia al riguardo, oggi, è illazione. In qualche caso vi furono processi in cui
alcuni vennero condannati e altri assolti Tuttavia, va ricordato che un
dirigente militare e non solo politico comunista della Resistenza, come Giorgio Amendola, ha scritto che a Roma,
nei confronti con Parigi, delazione e collaborazionismo ebbero una dimensione
ed un’efficacia minore. Il col.
Kappler, nella sua deposizione al processo, escluse in maniera più categorica
che nell’esecuzione della strage delle Fosse Ardeatine fossero stati impiegati
anche italiani.
9. Esiste un data-base di tutti
coloro i quali -tedeschi ed
eventualmente italiani e di
altri paesi- hanno operato in questo
luogo ? Credo che uno strumento del genere sarebbe molto importante, anche per capire la reale germanicità del personale: penso ad
esempio agli austriaci e soprattutto agli
altoatesini (molti di questi ultimi
furono costretti ad
arruolarsi nella Wehrmacht, anche se piuttosto avanti con gli anni e malgrado avessero
già svolto il servizio militare nelle FF.AA. italiane).
Nelle sue ricerche per
ricostruire l’organizzazione istituzionale del comando di polizia e del
carcere, la dott. Alessia Glielmi, responsabile degli archivi del Museo, grazie
alle carte Dosi, è riuscita a ricostruire l’elenco del personale di Via Tasso e
relativi gradi militari. Poi sarà la volta di quello che è ricostruibile
dell’organigramma degli uffici, cosa non facile perché ruotavano negli
incarichi. Ancora più difficile sarà avere informazioni personali dagli archivi
militari tedeschi o da quelli che conservano la carte del NSDAP (partito
nazista) da cui le SS dipendevano.
10. È stato
possibile procedere penalmente, dopo la guerra, contro coloro i quali si sono macchiati in
questo luogo di crimini ? In caso
affermativo, sono state emesse delle condanne ? Posto
che ormai è molto improbabile che qualcuno di questi aguzzini sia ancora vivo, è stato mai contattato dai loro
familiari ?
Esiste ormai un palchetto
di biblioteca di libri dedicati ai processi e ai mancati processi nei riguardi
dei criminali nazisti in Italia. Così è stato anche per Kappler
trasferito dagli Alleati alle autorità italiane nel 1947, e processato a Roma da un tribunale
militare fu condannato all'ergastolo ed a 15 anni aggiuntivi
per l'estorsione dell'oro degli ebrei romani. Dopo che ne era stato mutato lo
status da detenuto a prigioniero di guerra, fu ricoverato per cattive
condizioni di salute all’Ospedale militare Celio di Roma, da dove fuggì in
circostanze mai pienamente chiarite la notte di ferragosto del 1977. Nel marzo 1998, la Corte d'appello militare condannò all'ergastolo Erich Priebke, insieme all'altro ex membro
delle SS Karl Hass. La sentenza è stata confermata nel novembre dello stesso anno dalla Corte di
Cassazione,. A causa dell’età avanzata, sia a Priebke
che ad Hass fu concessa la detenzione domiciliare. Karl Hass è deceduto nel
2004 ed Erich Priebke è scomparso a più di 100 anni. Ricordiamo che anche il
feldmaresciallo Albert Kesselring fu
condannato a morte il nel 1946 da un tribunale alleato per crimini di
guerra e per la strage delle Fosse Ardeatine, ma la pena fu commutata
nell’ergastolo. Scarcerato nel 1952 per motivi di salute, in Germania
partecipò alle attività di gruppi neonazisti bavaresi. Morì d’infarto nel 1960.
Nessuno dei familiari ci ha mai contattato.
Invece, fino ad una decina di anni fa, nei giorni precedenti l’anniversario
della strage delle Ardeatine, veniva al Museo in incognito il figlio – ormai in
età avanzata – di altro esponente delle SS, per poi recarsi – in espiazione –
alla cerimonia ufficiale di commemorazione.
11. Esiste un data-base di tutti coloro i quali
sono stati detenuti, anche per
un breve periodo, in questo luogo ?
Sì, ed è una delle nostre realizzazioni delle quali andiamo orgogliosi. Forse la ricerca doveva essere svolta prima, ma fu una delle mie preoccupazioni appena divenuto presidente del Museo. Come accennato, le dottoresse Alessia Glielmi e Giovanna Montani hanno portato a termine la redazione di oltre mille schede biografiche dei detenuti di Via Tasso (circa il 50% dei detenuti stimati), dei quali circa 300 donne. A disposizione avevamo poche schede carcerarie di Via Tasso, ma molte schede e un registro di Regina Coeli, dove c’erano i dati e la scritta “proveniente da Via Tasso” oppure “destinato a Via Tasso”, c’erano poi le memorie dei singoli detenuti, che elencavano i loro compagni di prigionia, quindi si trattava di giocare al domino: abbiamo fatto interagire questi dati con quelli di altri archivi ed elenchi, come quelli dei caduti, dei partigiani riconosciuti, delle lapidi commemorative, ecc… A volte sono stati i familiari, che sono venuti per cercare notizie e ci hanno permesso di completare le schede con i dati in loro possesso. Questo rapporto di scambio con i familiari e, più in generale, con i cittadini è un dato caratteristico e permanente nella vita del Museo.
12. Il Museo è visitato anche da scolaresche tedesche
? E inoltre: le strutture scolastiche tedesche vi hanno mai
contattato per ricevere informazioni e materiale documentario ?
Ogni anno, tra fine
settembre e inizi di novembre (è quello il periodo dedicato ai viaggi
d’istruzione: che non chiamano gite scolastiche) vengono studenti e docenti delle scuole
tedesche di Roma e anche un numero crescente di scuole tedesche di Germania.
Contrariamente a quello che si possa immaginare, sono molto interessati e
preparati: durante il periodo del cancellierato di Helmuth Kohl sono stati
adottati provvedimenti per l’aggiornamento obbligatorio (da noi è facoltativo)
per docenti di qualsiasi disciplina con visite ai Lager di ogni tipo e a musei
e luoghi di memoria del nazismo. Esiste una apposita fondazione che si chiama Topografia
del terrore, preposta a promuovere visite, sopralluoghi e iniziative nei
singoli luoghi e veri e propri tour: insegnanti e operatori culturali vengono
messi in relazione con studiosi di prim’ordine e possono poi operare come
mediatori di cultura con gli studenti e i fruitori delle attività culturali. Così,
più che con la previsione di reati d’opinione, si combattono il revisionismo e
il negazionismo.
Le richieste di informazioni e documentazioni sono all’ordine del
giorno. Il grande memoriale dell’Olocausto di Berlino ha realizzato il Portale
dei memoriali e noi abbiamo l’onore di essere stato il primo luogo italiano ad esservi
inserito. Vengono dei visitatori che hanno stampato da quel sito le pagine che
ci riguardano e che sono le stesse – in tedesco e in
inglese - che abbiamo linkato sul nostro sito www.museoliberazione.it.
13. Le
autorità tedesche e i politici di quel Paese hanno mai visitato il
Museo ?
Non so se è avvenuto
prima. Durante la mia presidenza no. Vi fu un contatto alcuni anni fa per la
visita di una delegazione ufficiale del settore cultura, ma poi non venne più a
Roma.
14. La Germania ha mai concesso finanziamenti a
questa struttura ?
Certamente nessuno di noi
li ha richiesti, né li richiederà. Se li concedessero, ringrazieremmo.
15.
Tra gli stranieri che ogni anno visitano questo Museo, qual è la
percentuale dei tedeschi ?
Non sono in grado di fare numeri, ma il
loro numero è tra i più alti. Forse il
gruppo nazionale più numeroso. Dopo quanto ho detto non deve stupire. Stupisce
invece la quasi totale assenza di francesi …
16.
L’importanza del Museo è legata anche al fatto che custodisce materiale sui molteplici aspetti della Resistenza.
Vogliamo cercare di indicare, sia pure sommariamente (e con specifico riguardo al contesto romano),
le varie anime di questo movimento
e la sua consistenza numerica ?
In primo luogo, occorre prendere coscienza
dell’esistenza di una lotta armata e di una lotta non armata, di una lotta
popolare e quasi spontanea e di una lotta politica e militare organizzata: due
aspetti non isolati tra loro, ma che si intrecciano quasi sempre. Ad esempio, diverse decine di case religiose
o di luoghi direttamente dipendenti dalla Santa Sede, non hanno ospitato
soltanto ebrei, ma ogni genere di ricercati, militari sbandati e clandestini,
ricercati politici anche socialisti e comunisti, partigiani talora con le loro
armi, piloti alleati i cui aerei erano stati abbattuti o prigionieri di guerra
alleati fuggiti dai campi di prigionia dopo l’8 settembre, ecc… In altri casi
si è trattato di famiglie, di reti di solidarietà più o meno vaste tra
operatori sanitari, impiegati pubblici e talora agenti di polizia. E’
impossibile quantificare, ma certamente si tratta di una base piuttosto vasta,
sulla quale poggiava l’attività politica e militare e la lotta partigiana.
Poi,
importantissimo a Roma fino a febbraio 1944, il Fronte militare clandestino
della Resistenza, guidato dal col. Giuseppe Cordero di Montezemolo, la cui
consistenza era di circa 14.000 persone (ma si tenga presente che circa 2500
Carabinieri vennero deportati in Germania il 7 ottobre 1943), costituito dai militari passati in
clandestinità, ai quali dai comandi italiani era vietato compiere azioni militari,
ma che dovevano compiere atti di sabotaggio e antisabotaggio e di raccolta e
trasmissione via radiotelegrafo di informazioni politiche e militari. Nel
dopoguerra si polemizzò perché si diceva che nessuno li aveva visti, ma le
cifre dei caduti e degli imprigionati sono eloquenti.
La Resistenza politica e militare
organizzata dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (Democratico del
lavoro, Democratico cristiano, Liberale, d’Azione, Socialista di unità
proletaria e Comunista) e a quelli che
ne erano fuori (Movimento comunista d‘Italia-Bandiera rossa, Movimento
cristiano-sociale, Movimento dei cattolici comunisti, Partito repubblicano,
Unione nazionale della democrazia, Anarchici e altri) ha avuto un numero di partigiani
riconosciuti più o meno della stessa consistenza ma con forti differenziazioni:
circa 1500 il PC e Bandiera rossa, tra 500 e 1000 il Partito d’Azione e i
cattolici comunisti, consistenze minori gli altri. Il PC si giovava di una
ventennale opposizione clandestina rafforzata dagli apporti recenti di
intellettuali e studenti, Bandiera rossa aveva due componenti, una di militari
e una di popolani soprattutto delle borgate più marginali, il Pd’A aveva
ereditato il sovversivismo repubblicano che risaliva alla Repubblica del 1849,
i cattolici comunisti si avvalevano di una capillare organizzazione della
gioventù di azione cattolica nei quartieri popolari della sottofederazione di
Roma Sud (Trastevere, Testaccio, Ostiense, Garbatella, ecc.). Anche in questo
caso, le biografie dei caduti confermano il radicamento sociale al pari di una
presenza medio e piccolo borghese (in queste e in altre formazioni). Esemplare
e di alto valore simbolico, la banda Arco di Travertino, comandata da un prete
belga (Desiderio Nobels), che era composta di alcuni comunisti e socialisti,
ufficiali e sottufficiali della Marina, esponenti dell’Azione cattolica e del
Movimento cristiano sociale, esponenti della borghesia e anche aristocratici.
Infine, voglio ricordare le reti di
solidarietà. Alcune erano indipendenti sia dalle organizzazioni della Resistenza
sia dall’apparato ecclesiastico in quanto tale. Così la rete promossa da mons.
O’ Flaherty, prelato irlandese del Sant’Uffizio, sostenuto da diplomatici
inglesi e funzionari svizzeri presso la Santa Sede e da aristocratiche romane.
Per salvare soprattutto ebrei, ma anche ex prigionieri inglesi e piloti
americani abbattuti.
17.
Cosa si può fare, secondo lei, per avvicinare di più gli Italiani (in particolare le giovani generazioni) alla conoscenza del periodo
resistenziale e soprattutto per togliere dalle loro menti l’idea che
questo fenomeno non è stato, come molti continuano a credere, qualcosa di
marginale e comunque legato a ideologie ben precise, quella socialista e
comunista, per intenderci ?
La cosa più importante – e noi lo stiamo
praticando nel piano terreno del Museo – è far riflettere, come normalmente non
si fa né in Italia né altrove, che la Resistenza è stato un grande movimento
che ha coinvolto donne e uomini di tutti i paesi europei occupati dai nazisti.
Per la prima volta nella storia più recente, la gran parte dei popoli d’Europa
si sono ribellati all’occupazione nazista che voleva imporre il Nuovo Ordine
Europeo, cioè una gerarchia di popoli e di stati al vertice della quale c’era
il Reich tedesco, il partito NSDAP e il Fuhrer. I popoli slavi da “de-civilizzare”
e ridurre in schiavitù, danesi, fiamminghi, norvegesi da assimilare, ebrei e
zingari da sterminare. Era il sovvertimento di ciò che l’Europa era sempre
stata. Le Lettere dei condannati a morte
della Resistenza europea rivelano che greci e danesi, albanesi e norvegesi,
francesi e bulgari, ecc… ebrei, cattolici, ortodossi, protestanti e atei si
ispiravano agli stessi valori, anche se appartenenti a famiglie ideologiche differenti.
L’Unione Europea ha posto la lotta contro i
totalitarismi e, specificamente, la memoria della Shoa e della Resistenza come uno dei suoi fondamenti e prevede una
specifica “azione” su questi temi della sua politica culturale e dei suoi
finanziamenti.
|
A. Parisella durante la cerimonia
di premiazione del concorso dedicato a Ugo Forno. |
18.
Il fatto che il sito del Museo non sia particolarmente ricco di
materiale (e risulti non sempre aggiornato) dipende
dalla mancanza di risorse ? Penso ad esempio alle
magnifiche immagini che sono state scattate durante
la cerimonia di premiazione del concorso “Il coraggio di scegliere” (18-03-13), immagini che
si trovano nel sito www.ugoforno.it , o
a quelle relative alla visita del Capo dello Stato il 25 aprile di quest’anno e che
sono visionabili sul
portale del Quirinale .
Il sito del Museo è solo un sito
istituzionale che serve a comunicare le informazioni necessarie per accedere al
Museo, ai suoi servizi e alle sue attività. Forse in futuro amplieremo un po’
le cose da comunicare, ma restiamo convinti che il rapporto con i documenti
storici deve essere anche diretto (direi quasi “tattile”) e non solo virtuale. Non
siamo un organismo di propaganda di massa, ma un’istituzione scientifica,
didattica e di promozione culturale. La conoscenza storica ha bisogno più di
riflessione che di emozione.
19. Mi perdoni, ma credo che, con maggiori disponibilità finanziarie, si possa fare di meglio. Mi riferisco ad esempio al magnifico portale dello Yad Vashem, che dovrebbe essere preso come modello, per il suo grande rigore scientifico, l'enorme quantità di materiale che mette a disposizione on line (anche in italiano), per il suo continuo aggiornamento, la facilità di consultazione, la sobria eleganza. Ma torniamo alle domande.
Posto
che comunque, chi entra in questo edificio è tenuto ad indossare un abbigliamento adeguato e a mantenere una linea corretta e rispettosa del luogo, è inevitabile che possano capitare persone (e penso soprattutto ai bambini e in generale
ai giovanissimi) che, magari senza
volerlo e in ragione della loro età, si comportino in modo vivace e comunque
non in linea con lo spirito del luogo.
Le è mai capitato di dover riprendere qualche visitatore per un atteggiamento
sconveniente e in ogni caso ‘disinvolto’ ?
Per
visitare il Museo non ci sono norme particolari se non quelle della comune
correttezza e buona educazione. Tra circa 13.000 giovani visitatori c’è sempre
qualche indisciplinato, è normale. Ma quasi sempre si tratta di studenti che
non sono stati preparati con studio e
spiegazioni dai loro insegnanti. Oppure poco seguiti da insegnati che non sanno
tenere la disciplina. E’ accaduto che abbiano scritto una volta Forza Roma e
una volta abbiano graffito una svastica su un supporto, ma trovo più grave che
una volta le due insegnanti che accompagnavano una classe, l’avessero scaricata
a noi e fossero andate al bar, oppure che – altre in altra occasione –
rimanessero sui pianerottoli a chiacchierare tra loro (“tanto l’abbiamo
visitato un’altra volta”) . Molto più fastidio mi hanno dato, in giornate di
grande afflusso, persone che nell’atrio o nella sala dedicata alla strage delle
Fosse Ardeatine si erano messe a concionare ripetendo luoghi comuni, oppure a
fare comizi di propaganda politica. Ho dovuto minacciare di telefonare al Commissariato
di zona o a i Carabinieri, che per fortuna sono poco distanti. Altre volte, ho dovuto
subire vere e proprie aggressioni verbali da una visitatrice che mi accusava di
voler cancellare la memoria di Pio XII e di un visitatore – ex partigiano ! –
che mi accusava di aver tolto di mezzo il manifesto (inesistente !) con il
quale si sarebbero invitati i Gappisti dell’azione di Via Rasella a costituirsi
ai nazisti per salvare gli ostaggi poi uccisi alle Fosse Ardeatine (“ma io l’ho
visto con i miei occhi e stava proprio
qui !”). Ma nel complesso si è trattato al massimo di una decina di episodi in
quattordici anni su migliaia di visitatori annui.
20. Sul manifesto che sarebbe stato affisso dopo l'attentato, in effetti, esiste ancora oggi una vivace polemica, anche se ormai sembra accertato che non esista. Ma torniamo al tema della domanda precedente. Al di là di quanto evidenziato prima, non trova che, quando si parla di luoghi di inenarrabili sofferenze come questo, si debba selezionare il pubblico, permettendo l’accesso solo alle persone veramente interessate e in grado di mantenere un comportamento compatibile con l’ambiente ? E inoltre: non ritiene che sia necessario adottare una speciale cautela nel consentire l’accesso alle zone in cui maggiore è stata la violenza dei carnefici e la sofferenza delle vittime ? Penso ad esempio ai locali dove i prigionieri erano torturati in modo spaventoso e alle celle in cui venivano trascinati dopo essere stati martoriati nel corpo. Io inorridisco all’idea che ci possano essere visitatori i quali, dopo aver fatto ‘una puntata’ da Mc Donald’s, decidano di dare ‘un’ occhiatina’ al museo, perché non hanno nient’altro da fare. E magari si divertano scattando foto e girando filmati, in cui si fanno riprendere (un po’ come quei primi piani che hanno sullo sfondo il relitto della “Concordia Costa”). Sono troppo pessimista, oppure anche lei avverte questo pericolo ? In effetti, mi sembra che lei si sia già preoccupato di selezionare un po’ il pubblico del museo .
Sono
in totale disaccordo con lei. Proprio
perché a me a suo tempo fece molto bene visitare il Museo. L’unico limite che
mettiamo è quello delle scuole elementari: tuttavia, se gli insegnanti garantiscono che hanno fatto un’adeguata
preparazione, facciamo accedere anche classi quinte, che però sono rare, dal momento che – grazie alla Gelmini ministro – la storia
contemporanea non si studia più alle elementari.
A parte alcuni indumenti macchiati di sangue o ridotti in
brandelli, al Museo non ci sono situazioni raccapriccianti (“non siamo il Museo
degli orrori” - ripetiamo a chi vuol vedere attrezzi di tortura - “e
neppure il Museo criminologico” , ma un Museo storico).
Per alcune considerazioni che fa lei, rifiutiamo l’idea
consumistica della “notte dei musei”, anche tenendo conto del fatto che nel
palazzo abitano inquilini ottuagenari ed oltre.
21. Non dubitavo minimamente della
filosofia che anima il Museo; forse c'è stato un equivoco. Tuttavia, perdoni l’insistenza (e la provocazione), ma vorrei rimanere
ancora sul tema della domanda precedente. David
Irving ha molto da farsi perdonare (in
particolare il suo ostentato antisemitismo), ma non crede che la sua invettiva contro l’uso “mercantilistico” dei siti in cui maggiormente si
è espressa la barbarie nazista, contro il
“mercimonio” dell’ Olocausto, nasconda un minimo di verità ? Auschwitz, egli
sostiene, è diventata una specie di Disneyland del macabro, un Luna Park degli orrori, ad uso e consumo di chi ama le emozioni forti. Ripeto: Irwing non ha le carte in
regola per poter dettar legge, però queste osservazioni, sia pure in modo più
sfumato, sono state espresse anche da altri visitatori di quel lager (ben lontani dal pensiero di Irving). Cosa si può fare, secondo lei, per impedire
la deriva ludica (o estetizzante, che
forse è anche peggio) di questi siti, l’utilizzo
distorto (mi verrebbe da dire
blasfemo) dei luoghi in cui il delirio di
onnipotenza dei nazisti si è manifestato in tutta la sua ferocia ? E inoltre, con tutto il rispetto per quanti si sono cimentati in quest’impresa -da Quasimodo a Daniele Santoro (Sulla strada per Leobschuetz)- crede che sia possibile tradurre in lirica la
violenza dei nazisti e le sofferenze bibliche di milioni di vittime ?
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Recinzioni di Auschwitz |
Posso rispondere che noi non ci prestiamo a
operazioni commerciali, dal momento che l’ingresso è gratuito. Siamo stati
avvicinati almeno tre volte da esponenti di società che gestiscono musei che ci
proponevano – in prospettiva - affari lucrosi per il Museo basati su un
marketing di tipo consumistico-spettacolare, ma li abbiamo messi alla porta.
Invece,
sono profondamente convinto dell’importanza di intrecciare le ricostruzioni
documentali con le testimonianze artistiche, poetiche, visive,
cinematografiche, o musicali che siano.
Credo che le poesie di Corrado Govoni (già esaltatore del mito di Mussolini)
sul “Carnaio Ardeatino” (dove du ucciso il figlio Aladino) o le liriche di Lia
Albertelli, o le musiche di don Morosini o di Gino Marinuzzi jr, ma anche
quelle di artisti meno coinvolti direttamente,
abbiano una grande forza evocatrice. Marc Bloch ci ha insegnato che le fonti
storiche sono costituite da ogni genere di traccia dell’attività umana, e
quindi anche quelle artistiche, musicali, cinematografiche, ecc….
22. Per
Etty Hillesum, “Basterebbe un solo tedesco buono, e questo tedesco meriterebbe di essere
difeso, perché grazie a lui non si avrebbe più il diritto di riversare l’odio
su un popolo intero”. Di tedeschi come
quelli auspicati dall'intellettuale ebrea, in realtà, ce ne sono stati, anche
durante la seconda mondiale: basti pensare al console generale
(e per un certo periodo f.f. di ambasciatore) a Roma, Friedrich Eithel Moellhausen * ; o a Gehrard Kurzbach, il militare tedesco che pagò con la vita
l’aiuto prestato agli ebrei e
che Israele ha riconosciuto come “Giusto
tra le nazioni” . La domanda è: anche a Via Tasso c’è stato
almeno un tedesco che si è comportato da essere umano ?
A proposito del diplomatico Friedrich Eithel Moellhausen le cose non sono tutte
così semplici e il giudizio è, quanto meno, controverso.
Tuttavia, il problema è
quello che lei pone. Noi parliamo di occupazione e presenza nazista proprio per
sottolineare il carattere fortemente ideologico della guerra e dell’occupazione
e distinguere il regime dal popolo, che fu la prima vittima del nazismo, che
pure scelse con precisi mandati elettorali. Le prime vittime di sterminio
furono gli oppositori politici tedeschi del nazismo ed è esistita quella che il grande leader socialdemocratico
e cancelliere tedesco Willy Brand chiamava “altra Germania”, cioè gli oppositori
in esilio – come lui – che combatterono per la libertà e la democrazia in
Germania. Qualche traccia di piccoli episodi che rivelano “attenzione” nei
riguardi dei prigionieri vi sono, ma non sono da enfatizzare. Più importante
sarebbe scoprire la vita e il destino dei disertori tedeschi: a Roma si stima
che siano stati qualche centinaio, ma studiarli è abbastanza arduo. Anche
perché a casa – dopo averli passati per le armi – avrebbero comunicato che
erano morti in combattimento.
23. La
visita che il Presidente della Repubblica ha fatto il 25 aprile dello scorso anno va collegata alla mostra su questa importante data, oppure alla volontà -che personalmente ritengo encomiabile, attesa l’ignoranza che moltissimi
ragazzi rivelano su questi temi- di
ribadire la centralità e l’attualità della
Resistenza nella storia dell’Italia contemporanea ?
La visita è una ulteriore manifestazione di
considerazione per il Museo da parte di Giorgio Napolitano, che lo aveva
visitato come ministro dell’interno e prima come privato cittadino, e quindi lo
conosce bene. I riallestimenti nel Museo sono solo l’occasione, ma l’obiettivo
mi pare piuttosto il secondo. La visita si inserisce all’interno di un’attività
a sostegno del Museo da parte della Direzione generale per lo studente,
l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione del MIUR, proprio per
ribadire il legame pedagogico che c’è tra l’insegnamento della storia della
Resistenza e la formazione dell’identità democratica. Mi piace qui ricordare,
perché la sua figura è esemplarmente circondata da discrezione, che la signora
Clio Napolitano fu negli anni '80 del XX secolo protagonista di battaglie per la
democrazia scolastica (che sembrano appartenere ad altra epoca storica) per le
quali l’insegnamento della Resistenza era un cardine.
24. Ha
mai conosciuto di persona Kappler o qualcuno dei suoi familiari ?
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Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo |
25. Da
questa prigione sono state prelevate alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine. Oltre a Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, a Ferdinando Agnini, a
Sabato Martelli Castaldi, a Roberto Lordi, a Giovanni Frignani, a Raffaele Aversa
e a Ugo De Carolis, può citare qualche altro nome ?
L’elenco sarebbe troppo lungo, perché da
Via Tasso furono prelevate un’ottantina di persone e tra esse – oltre a persone prive di
esplicita attività militante – accanto ad esponenti del Fronte militare
clandestino della Resistenza (cui lei ha fatto cenno) vi erano anche esponenti
del Movimento comunista d’Italia-Bandiera Rossa, del Partito comunista, del
Movimento dei cattolici comunisti, del Partito d‘Azione e di tutte le altre
formazioni politiche e partigiane.
26. Parlando
delle Fosse Ardeatine, non si può non affrontare l’argomento di Via Rasella. Posso chiedere quali sono i suoi giudizi -da storico e da
semplice cittadino- su questo episodio ? Come
lei sa, il figlio di una delle vittime restituì la medaglia d’oro
conferita alla
memoria del padre quando vide che l’esecutore materiale dell'attentato di Via Rasella era
stato, anche lui, insignito di onoreficenza. Per quanto mi riguarda, io ho già espresso, nella seconda intervista a Mario Avagliano il mio punto di vista. D'altronde, credo di non essere il solo a pensarla in un certo modo: si veda ad esempio l'intervento di Giovanni Sabbatucci al convegno alla Camera dei Deputati del 2009 per onorare la memoria di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.
Sui sentimenti altrui non mi permetto di
giudicare perché non ho alcun titolo. Essi debbono essere rispettati come
espressione di persone, ma – nel contempo – la valutazione storico-politica va
formulata prescindendo da essi e riferendosi alle condizioni ei soggetti
protagonisti egli eventi. Questo se vogliamo comprendere perché le cose siano
andate in quel modo e non in un altro.
Le questioni sono due. La prima riguarda il
carattere dell’azione, come atto di guerriglia urbana. Non siamo all’epoca
della disfida di Barletta e del confronto corpo a corpo da uomo a uomo, ma a
metà del XX secolo durante una guerra e sotto un’occupazione militare che – in
tutta Europa - hanno visto recrudescenze di barbarie fino ad allora
inimmaginabili. E’ chi opprime che impone a chi viene oppresso il terreno e le
modalità dello scontro ed anche le sue durezze e i suoi prezzi di sangue e di
dolore. Un elemento di chiarificazione, per comprendere queste cose, me lo recò
il film di un grande regista che era stato partigiano a Roma, cioè La battaglia di Algeri, di Gillo
Pontecorvo. Ero studente e avevo conosciuto quegli eventi attraverso la stampa:
rividi più volte il film e su di esso riflettei come se fosse la preparazione
di un esame. Vi è una forte sproporzione fra chi usa tutti i mezzi di una
potente organizzazione statale – anche il carcere, la tortura, la deportazione,
l’eliminazione fisica, la schiavitù e la fame – per imporre l’ordine perfetto
che pretende di realizzare e chi opera – anche clandestinamente – con i mezzi
di cui riesce a disporre per la sopravvivenza nella libertà del proprio popolo.
E’ chiaro che il più debole, se dalla sua azione vuole ottenere il risultato
più alto dal punto di vista militare, deve colpire il nemico oppressore
individuando il suo punto più debole e cercando di recargli il maggior danno
possibile. [Mi rendo conto che sto usando un linguaggio non mio e ciò mi reca
qualche difficoltà, trattandosi comunque di distruzione di vite umane. ] Sotto
questo profilo, dopo numerose altre azioni, a due mesi quasi dallo sbarco di
Nettuno e con il fronte che ristagnava, i GAP (gruppi di azione patriottica)
non potevano evitare di intensificare lo scontro. E l’azione – nella sua
preparazione ed esecuzione (anche nell’evitare, come possibile, il
coinvolgimento di civili italiani) – mostrò anzitutto ai nazisti occupanti
l’alto livello della capacità offensiva raggiunto e la possibilità di colpire
all’interno della zona centrale, che era la più sorvegliata.
27.
Non trova curioso il fatto che, a tutt’oggi, non esista un sito interamente dedicato a Via Rasella e alle Fosse Ardeatine ?
Che
non vi sia un sito ufficiale, forse è meglio. La verità storica non può essere
sancita per decreto. Anche perché sulla vicenda – a partire di processi a
Kappler e Kesserling – i processi hanno stabilito univocamente la verità dei
fatti accertati e invece si continua ad andare dietro a favole e leggende e
periodicamente – da parte di certi organi di stampa – a montare
campagne scandalistiche e diffamatorie fondate sull’errore e sulla menzogna
consapevole.
Altre volte, come nella trasmissione di Pippo Baudo di qualche tempo fa, non si sa bene se ammirare la sfrontatezza
dell’ignoranza - che è stata veramente notevole ! - o compatire il declino di
chi mostra i segni della senilità senza accorgersi dei suoi inconvenienti.
28. Mi perdoni, ma credo che proprio in base a quanto ha appena detto un sito (con i contributi dei maggiori studiosi) potrebbe rappresentare un punto di riferimento per chiunque voglia affrontare il tema in modo serio (i faziosi e i lunatici, è chiaro, lo degnerebbero di una sola visita, giusto per denigrarlo). D'altronde, se le Fosse Ardeatine sono state trasformate in Mausoleo, mi sembrerebbe legittimo che venissero dotate di un portale, allo stesso modo di quanto accade ad esempio per alcuni lager nazisti. Ma senza spostarsi dall'Italia, basti pensare al portale del Museo (che nel 1965 ha ottenuto lo staus di "Monumento nazionale") relativo alla Risiera di San Sabba.
Ma torniamo alle domande. Il
Museo ha rapporti di collaborazione con istituti analoghi, italiani e
di altri paesi ?
Il Museo intrattiene regolari rapporti con
altre istituzioni analoghe sia italiane sia di altri paesi. Inoltre, esso fa
parte di un coordinamento internazionale che si chiama Sites of Coscience.
Qualcosa di più del nostro “luoghi della memoria”, perché lega il ricordo del
passato all’azione nel presente e ai progetti per il futuro, particolarmente
per quanto riguarda i diritti umani, che oggi – insieme alla nonviolenza –
credo siano il fronte avanzato della cultura della Resistenza e
dell’antifascismo.
Per il 70° anniversario della Resistenza il
Comitato della Presidenza del Consiglio dei ministri ha creduto di affidare
proprio a noi la realizzazione di un Museo diffuso della Resistenza e della
Guerra di Liberazione, cioè un portale web che sia di collegamento per gli
oltre 160 Musei e gli altri luoghi della memoria sparsi in ogni regione
d‘Italia.
29. Non
crede che i giorni di apertura del Museo dovrebbero essere aumentati , per consentire anche a coloro i quali lavorano ma sono interessati al periodo, di potervi accedere con serenità ?
Il problema è costituito dall’orario di
lavoro dell’unico custode. Il MIBAC non ci fornisce la seconda unità di
personale e senza di lui non è possibile aprire. Tutte le volte che apriamo nei
giorni non previsti (ad es. di lunedì nel periodo di massima affluenza delle
scuole o i domenica per particolari ricorrenze) lo facciamo grazie al suo
lavoro volontario o alla presenza – volontaria anch’essa – mia o del segretario
generale o di altro membro del comitato direttivo.
30. Il
destino, a volte, è capriccioso, gioca strani scherzi. Come considerare altrimenti
la straordinaria coincidenza tra la sua data di nascita -25 aprile 1945- e il fatto che lei sia diventato
uno dei massimi esperti della Resistenza italiana ?
Trovo la cosa, di per se, irrilevante. Una
pura coincidenza.
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Un momento della cerimonia relativa al conferimento
a Parisella.del Premio per la Pace 2013. |
31. Il
27 gennaio di quest’anno lei ha ricevuto il
Premio internazionale per la Pace e i Diritti Umani ed è stato nominato “Ambasciatore per la Pace e i
Diritti Umani del III
Millennio”, rappresentando ovunque l’associazione “Movimento Ambasciatori per
la Pace del Movimento Internazionale per la Pace e la Salvaguardia del Creato III Millennio” della Provincia di Caserta e Regione Campania. Posso chiederle se per lei la pace è un valore universale e che vale per
ogni tempo e luogo, da difendere ad ogni costo e di fronte al quale non esistono alternative
? Non crede anche lei che questo
luogo (Via Tasso) e tanti altri luoghi in cui i nazisti hanno impresso il
loro marchio di assassini, non esisterebbe se Chamberlain non avesse sventolato
all’aeroporto di Heathtrow, con stolida sicurezza, quel misero pezzo di
carta (nel vero senso della parola, come
emerse in seguito) ottenuto a Monaco, che secondo lui avrebbe dovuto
assicurare la
pace all’Europa ? Non crede, insomma,
che in certi casi l’opzione militare sia non solo legittima, ma addirittura doverosa
?
Credo che le cose e gli eventi vadano valutati nelle
circostanze e nei contesti sociali, economici e politici in cui si sono
prodotti.
Ciò detto, guardando al
presente e al futuro, sono portatore di un’aspirazione e di una convinzione più
generale. Che cioè la pace sia l’obiettivo più rivoluzionario ed eversivo che
possa essere concepito e che il rifiuto delle guerra di cui all’articolo 10
della Costituzione sia precettivo e non programmatico
Quanto alla pace, credo
che andrebbe meglio conosciuto il saggio fondamentale di Luigi Sturzo – uno dei
più acuti e penetranti sociologi e politologi del XX secolo – dal titolo “La
comunità internazionale e il diritto di guerra”. Due i punti base: il primo è
che la guerra è una realtà storica e sociale, che potrebbe pertanto iniziare a
scomparire dalle prospettive dell’umanità, come la schiavitù, la pena di morte
o la poligamia, se se ne dichiarasse l’illegittimità dalla maggior parte delle
nazioni; il secondo – e questo è il vero punctum dolens – la necessità di
un’autorità internazionale autonoma e forte anche da un punto di vista militare
capace di impedire e reprimere i conflitti fra stati. La realtà storica –
particolarmente dopo il 1989 – ha mostrato quanto ciò sia difficile perché
legato alle politiche dei paesi più potenti. Ma questo non significa che non
bisogna impegnarvici. Non po’ essere una giustificazione – su valori
fondamentali – che gli avversari siano troppo forti. E’ anzi una ragione in più
per intensificare l’attività di conoscenza e documentazione.
Negli anni ’60 uscì un famoso libro “Rapporto segreto da Iron Mountain
sulla desiderabilità della pace” del politologo statunitense Hemann Kahn, che
mostrava le implicazioni sistemiche della politica degli armamenti atomici,
dando nel contempo argomenti ai sostenitori del disarmo nucleare. Alcuni anni
fa – in corrispondenza con l’approvazione in Italia di una delle leggi più avanzate
per il controllo legale del commercio delle armi, poi abrogata dalle
maggioranze di centrodestra – il
sociologo Fabrizio Battistelli, forse l’esperto italiano più autorevole in
materia, pubblicò uno studio dal titolo “Armi: un nuovo modello di sviluppo ?” Esiste
un organismo, che credo sia da lui diretto, dal nome “Archivio Disarmo”, che pubblica
ogni anno un rapporto al riguardo, ma al quale i media non danno alcun risalto:
quindi fanno in modo che non esista. Oggi, l’azione di lobbing delle produttrici
di armi e di sistemi per la difesa (elettronica e derivati, trasporti,
strumentazioni “civili”, ecc.) si impone anche alle forze politiche e sindacali
con il ricatto dell’occupazione. In un
contesto di crisi economica e di tagli finanziari, il governo italiano non è
stato capace neppure di dilazionare nel futuro l’acquisto dagli USA dei
costosissimi caccia bombardieri F35 e ciò la dice abbastanza lunga … La
cancelliera Merkel ha tagliato le spese militari per non toccare scuola,
cultura ricerca.
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N.B. L'intervista è stata concessa dal Prof. Parisella qualche tempo fa. Il ritardo nella pubblicazione è attribuibile a motivi tecnici.