«Tutto è perdonato» recita lo splendido titolo del nuovo numero di Charlie Hebdo, con Maometto che piange in copertina con il cartello «Je suis Charlie» tra le mani. Il giornale è uscito oggi nelle edicole francesi con una tiratura eccezionale di cinque milioni di copie, esattamente una settimana dopo l’attentato terroristico che ne ha decimato la redazione parigina. Ma le note liete del «giornale irresponsabile», come si autodefinisce in prima pagina, si fermano al titolo.
L’EDITORIALE. Il nocciolo di tutto il numero si riflette nell’editoriale di Gérard Biard, a pagina due e tre. Dopo aver ringraziato «di cuore» i milioni di persone che «ci sono veramente vicini» e aver mandato a «[...]» tutti gli altri, si legge: «Però c’è una domanda che ci assilla: riusciremo finalmente a far sparire dal lessico politico e intellettuale quel brutto epiteto di “laicista integralista”?».
SERVE LA LAICITÀ. Cioè: «Speriamo che, a partire da questo 7 gennaio 2015, la difesa ferma della laicità sia un dato acquisito per tutti, che si smetterà finalmente di legittimare o anche solo di tollerare – per atteggiamento politico, per calcolo elettoralistico o per vigliaccheria – il comunitarismo e il relativismo culturale che aprono la strada a una cosa sola: il totalitarismo religioso». Perché «è un’ironia» ma solo «questa laicità punto e basta consente ai credenti e agli altri di vivere in pace», solo questa «permette la piena libertà di coscienza, negata – più o meno apertamente, secondo il loro posizionamento di marketing – da tutte le religioni dal momento in cui escono dalla sfera più stretta dell’intimità per scendere sul terreno della politica».
CHI È CHARLIE? «Io sono Charlie», insomma, significa «io sono la laicità». Detta così, non suona neanche troppo male. Ma come si esprime questa laicità invocata dal settimanale? Sfogliando le pagine del giornale, tra un Cristo inchiodato alla croce che chiede di essere girato per non scottarsi al sole e una vignetta in cui i musulmani sono ritratti con falli al posto dei nasi, tra un Papa che permette la comunione ai divorziati e invoca perdono «per queste [...]» e un Maometto in copertina con la faccia che è chiaramente un fallo capovolto, il tutto condito da volgarità morbose e sguaiate sparse qua e là, la cui colpa più grave è di far ridere molto poco; sfogliando le pagine del giornale, ecco, si capisce che la laicità «punto e basta» di Charlie Hebdo non è idilliaca, né positiva, né simpatica. È vuota.
DISTRUGGERE LA VERITÀ. La laicità, che poi coincide con la libertà tanto invocata in questi giorni, non è niente di più se non la libertà di dissacrare e relegare le religioni «nell’intimità». Laicità è accettare che «le campane di Notre-Dame rintocchino in nostro onore» ma solo se sono «le Femen a suonarle», continua l’editoriale. Ma se la massima espressione di libertà che la Francia sa offrire al suo popolo e al mondo intero equivale alla distruzione sistematica di ogni verità, anche solo presunta tale, c’è poco da ridere.
TRIBUNALI, NON KALASHNIKOV. Come ha espresso in modo sintetico ed efficace il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, spazzando il campo da ogni possibile dubbio di connivenza o giustificazione, «devo ammettere che Charlie Hebdo non era la mia tazza da the! Rilevo anche in certe caricature una vera violenza. Ma nel nostro Paese, in caso di contenzioso, le cose si regolano davanti ai tribunali. Non uccidendo la gente». Punto e basta.
NON SIAMO TUTTI CHARLIE. Resta solo un problema con cui la Francia e tutto l’Occidente devono fare i conti. Perché giovani francesi «si fanno sedurre dalle sirene dell’islamismo?». Perché l’Occidente, con la sua «crisi di valori», con l’esaltazione del «consumismo», con il fallimento della trasmissione della fede ha creato «un grande vuoto spirituale». La Francia, specie il governo Hollande, ha cercato di riempire questo vuoto «con l’educazione alla laicità». Ma la laicità, continua l’arcivescovo di Bordeaux, va bene come «principio repubblicano», non «come ragione di vita o di speranza». E poiché «un’attesa spirituale che non trova risposta», perché si vuole «cancellare la risposta dallo spazio pubblico», «rischia sempre di esprimersi in maniera violenta», ecco che il rimedio invocato da Charlie Hebdo al «totalitarismo religioso» non fa che alimentarlo. È anche per il bene di Charlie Hebdo che non siamo tutti Charlie.
Leone Grotti, Leggere Charlie Hebdo e scoprire che anche gli anticlericali hanno una religione: il laicismo scemo, "Tempi", 14.01-15.