L’Italia non è un Paese per ricercatori. E neanche per giovani che, in cerca di un lavoro che non trovano, contratti precari ocurriculum inviati senza ricevere risposta, decidono di partire e cercare speranza all’estero. Senza dimenticare i pensionati, gli oltre 470mila over 60 che hanno scelto di trasferirsi in Paesi dell’Unione europea, ma anche nel Caribe, in Asia e Maghreb. Storie raccontate da ilfattoquotidiano.it nella sezione Cervelli in fuga, che non raccoglie solo le esperienze di accademici e ricercatori, ma anche quelle di manager, fioristi, infermieri, cuochi, insegnanti e imprenditori alla ricerca di un futuro migliore all’estero. Secondo l’Istat nel 2013 sono partiti in 82mila, di cui 13mila laureati. Il 20 per cento in più rispetto all’anno precedente. L’esodo più grande degli ultimi 10 anni.
La meta preferita è il Regno Unito, in particolare Londra. Che il suo sindaco, Boris Johnson, ha rinominato la “sesta città italiana”. I connazionali, ha detto il console italiano della City Massimiliano Mazzanti, “ufficialmente iscritti all’Aire sono in tutto 220mila, mentre le stime sono di oltre mezzo milione a livelloPaese e di 250mila nella capitale“. Numeri significativi che si scontrano con le misure che il governo Cameron si è detto pronto ad adottare per frenare l’emigrazione in Uk, anche quella proveniente da Paesi Ue. Provvedimenti che prevedono anche l’assenza di welfare per i primi quattro anni e il rimpatrio di chi è disoccupato da oltre sei mesi. A registrare però un importante incremento di ingressi è anche l’Australia, dove i numeri parlano di un boom superiore a quello degli anni Cinquanta.
In merito alle abitudini dei cervelli in fuga dall’Italia, su ilfattoquotidiano.it il blogger Matteo Cavezzali ha sostenuto che i nostri migranti tendono a trascorrere il tempo con altri italiani, a lamentarsi del freddo e del cibo, a eludere il senso civico del Paese d’arrivo e a fare lavori che in Patria mai e poi mai avrebbero accettato. Non la pensavano così, però, molti lettori – che hanno partecipato a un sondaggio – e Andrea D’Addio che vive a Berlino da sei anni e che descrive una routine dei connazionali diversa. Anche nel 2015 continueremo a mappare le storie dei nostriexpat, a ospitare le loro storie di speranza e ricerca di una vita che valorizzi capacità e competenze. Quello che troppo spesso in Italia non trovano.
LE STORIE PIU’ CLICCATE DEL 2014
Chirurgo in Uk, a 34 anni trapiantò polmoni su bebé. In Italia sarebbe precario –Simone Speggiorin cura i bambini con malformazioni cardiache, fa tre interventi alla settimana a cuore aperto e la BBC gli ha dedicato uno speciale radiofonico. “Il 28 agosto 2013 mi è arrivata una lettera a casa in cui mi invitano a partecipare al concorso indetto tre anni fa. Io gli ho telefonato e gli ho detto ‘No, grazie’. Questa è l’Italia” (leggi).
Ingegnere (e mamma) alla Nasa. “In Italia mandavo cv. Nessuno rispondeva” – Maria Paola, 31 anni, è la più giovane della missione “Cygnss”, che si occupa di cicloni tropicali. “Al colloquio, quando ho detto che avevo un bimbo piccolo e non potevo trasferirmi negli Usa, non hanno fatto una piega”. Quindi lavora da Southampton, in Inghilterra. Perché “l’importante è il risultato” (leggi).
“Lascio l’Australia, torno in Italia. Mi invento un lavoro e continuo a sognare” – Daniel Mazza è stato dieci mesi a Sidney. Poi è rientrato a Torino e ha fondato Mondo aeroporto, sito web di successo dedicato ai viaggi. “Non c’è cosa più motivante di rimettersi in gioco ogni giorno. Gli italiani? Sono pigri” (leggi).
Neurochirurgo a Miami. “Mi dissero: ‘A Roma non hai futuro’. Avevano ragione” – Italo Linfante, 52 anni, ha lasciato la Capitale 24 anni fa e adesso è un medico e ricercatore di successo in Florida. Negli Stati Uniti, spiega, vince il merito. “E qui, se hai una percentuale di mortalità al di sopra di un certo standard determinato, ti mandano a casa. Una cosa che in Italia non esiste” (leggi).
“In Costa Rica tra shiatsu, karate e il nostro bed & breakfast. E’ ‘pura vida’” – Cinzia era responsabile amministrativa in una multinazionale svizzera, Fiorenzo odontoiatra. Se ne sono andati dall’Italia più di 20 anni fa per approdare in uno Stato senza esercito, considerato tra i più felici del mondo. “Viviamo in ciabatte e maglietta, senza stress. E siamo in un Paese adatto a un buen ritiro low cost” (leggi).
“A Dubai ho un contratto di lavoro serio. In Italia ero troppo qualificato” – Emanuele, 35 anni, ha studiato a Londra poi si è trasferito negli Emirati arabi. “Qui lo stipendio è alto, a Milano stage e offerte sottopagate”. Ma la vita è difficile tra restrizioni su religione, sesso, libertà di espressione e la particolare severità verso gli immigrati (leggi).
“Cameriere in Norvegia per avviare la mia startup. Qui lavoratori trattati con dignità” – Andrea, laureato col massimo dei voti in Economia e stanco di percepire uno stipendio da poco più di mille euro “ogni 30 giorni lavorati”, è partito per Bergen e insieme a 3 australiani ha creato una piattaforma online per la gestione di progetti collettivi (leggi).
Farmacista diventa gelataio a Madeira. “Ora vivo a pieno la mia esistenza” – Mario Di Staso, 43 anni, ha deciso di trasferirsi nell’isola portoghese, a due passi dall’Africa, con tutta la famiglia. “Fare il piccolo imprenditore mi dà adrenalina. Qui c’è uno stile di vita più rilassato e salutare” (leggi).
Filosofa a Berlino. “Fuggire dall’Italia era l’unica possibilità. E tutto accade altrove” – Elvira Di Bona, 31 anni, si è laureata a L’Aquila nel 2009. Poi ha studiato a Parigi, Sidney e a New York ed è stata scelta per il post-doc alla Freie Universität. “Gli italiani che lavorano in ambito accademico qui sono stimati” (leggi).
“In Italia ero ingegnere. Oggi vendo vino in Slovenia e non timbro più il cartellino” – Eliano, 39 anni, viveva a Milano. Nel 2006 va in cassa integrazione, si innamora di una ragazza slovena e si trasferisce. “Ora ho voltato pagina e vendo prodotti made in Italy. Del mio Paese ho nostalgia, ma è sempre più statico” (leggi).
Nel corso del 2014 ilfattoquotidiano.it ha raccolto decine di storie di italiani in fuga, dall’architetto torinese emigrato in Cile fino all’imprenditore che in Cambogia ha rilevato un’azienda che produce carbonella ecologica a Phnom Penh. Storie di speranza, cambiamento e tentativi di migliorare professionalità e qualità di vita fissate anche sulla mappa dei cervelli provenienti da oltre 70 Paesi. Dall’America all’Oceania, passando per le città europee, l’Asia e l’Africa. Storie condivise dagli oltre 18mila iscritti alla pagina Facebook, dove arrivano anche le segnalazioni di chi vuole raccontare la sua vita più o meno lontano dall’Italia. Tante delle esperienze pubblicate sono arrivate da capitali, piccole città e periferie di tutto il mondo direttamente dai protagonisti anche alla casella di posta elettronica fattocervelli@gmail.com.Migranti che sfuggono anche alle registrazioni alle anagrafi all’estero e di cui il lavoro di datajournalism Generation E ha voluto ricostruire la rotta. Testimonianze degli under 40 in fugadell’area mediterranea pubblicate in esclusiva per l’Italiada ilfattoquotidiano.it, e sugli altri media partner El Confidencial(Spagna), P3 Público (Portogallo) e Radio Bubble (Grecia). Tanti italiani sperano un giorno di fare ritorno a casa, ma quasi altrettanti proiettano ormai il loro futuro nel Paese d’adozione.
Eleonora Bianchini, “Così ho cambiato vita e ritrovato la speranza”: un anno di Cervelli in fuga, "Il fatto quotidiano", 4-01-15.