Eppure era partita così bene. La posta elettronica certificata lanciata dall’allora ministro Renato Brunetta nel maggio 2010, pareva destinata ad essere un successone. Presi d’assalto i server di Poste e Telecom, che si erano aggiudicati l’appalto da 50 milioni di euro per il servizio, con punte di 20mila accessi l’ora, la promessa di maggiore efficienza e risparmio sembrava aver sedotto gli italiani. Niente più code agli uffici postali, niente più spese per inviare raccomandate, sostituite ormai da una email avente lo stesso valore legale.
Brunetta definì la Cec-Pac – così chiamata per distinguerla dalla semplice Pec, che consente le comunicazioni certificate fra privati, “la più grande rivoluzione culturale mai prodotta in questo Paese”. Nientemeno. Purtroppo però, anche questa è andata a finire come la maggior parte delle rivoluzioni in questo Paese, ovvero con un ritorno allo stato di cose originale. Sì, perché pochi giorni fa, l’Agenzia per l’Italia Digitale della Presidenza del Consiglio ha reso noto che il servizio verrà, progressivamente, dismesso. I motivi sono presto detti: in pochi, rispetto alle previsioni, si sono registrati al servizio, e ancor meno sono coloro che ne fanno davvero uso.
L’Agid ha dato qualche numero : su 2,1 milioni di pre-attivazioni online, ne sono state perfezionate, con la visita a un ufficio postale dove certificare di persona la propria identità, solo un milione, meno della metà. Non solo: l’82% delle caselle non ha mai fatto registrare un invio. Sono state lasciate lì, come una cosa dimenticata, “un abito a brandelli appeso a un bastone”, volendo citare Yeats e insufflare un po’ di poesia in una vicenda che di poetico ne ha ben poco, ma sembra l’ennesima storia di spreco di denaro pubblico.
“Il governo – informa l’Agid – recupererà 19 milioni di euro da reinvestire in servizi a cittadini e imprese”, citando ad esempio quella che dovrebbe diventare la casa online degli italiani, Italia Login , un luogo unico su Internet da cui gestire tutti i rapporti con la pubblica amministrazione. E tutti i milioni spesi nel frattempo? Si spera siano serviti almeno a trarre qualche lezione da usare in futuro per evitare nuovi insuccessi.
Sui motivi del fiasco, l’agenzia azzarda qualche ipotesi: ci sarebbe stata troppa confusione sulle modalità di utilizzo, dovuta anche alla sovrapposizione con la posta elettronica certificata normale, la Pec che si può usare anche per le comunicazioni fra privati. Può darsi che abbiano giocato un ruolo anche la scomodità del doppio passaggio – prima online e poi in Posta – e l’assenza di sanzioni per non utilizzo per i normali cittadini, a differenza di quanto avviene per imprese e gli iscritti ad albi professionali, che dal 2013 devono dotarsi di Pec per evitare una multa fino a mille euro.
La Cec-Pac è morta dunque: viva la Pec che invece rimarrà e su cui verranno fatte convergere tutte le comunicazioni che prima transitavano sul vecchio sistema. La dismissione avverrà a tappe: dal 18 dicembre 2014 non saranno più rilasciate nuove caselle Cec-Pac; dal 18 Marzo 2015 al 17 luglio le caselle saranno utilizzabili solo per la ricezione di messaggi; dal 18 luglio e fino al 17 settembre si potrà solo consultare e salvare i vecchi messaggi; in seguito, per i tre anni successivi, gli utenti potranno solo richiedere l’accesso al registro dei messaggi.
Oltre alla scomodità della transizione, per i vecchi utenti si profila una nuova spesa: se la Cec-Pac infatti era almeno in teoria gratuita (anche se pagata in realtà, con i 50 milioni dati a Poste e Telecom), alla Pec di solito ci si abbona a pagamento. È previsto un contentino per il disagio: un anno di Pec gratuita richiedibile (a partire dal 18 marzo prossimo) scrivendo arichiestapec@agid.gov.it .
Federico Guerrini, Il fiasco della Cec-Pac: addio posta certificata, per la pubblica amministrazione rimane solo la Pec, "La Stampa", 2-01-15.