La prossima volta che uno studente vi chiede consigli sul futuro della sua carriera, non vergognatevi di non avere risposte: il 65 per cento dei ragazzi che sono oggi a scuola, infatti, farà un mestiere che non è stato ancora inventato. Preoccupatevi piuttosto di offrire suggerimenti su come diventare più «impiegabili» possibile, che poi valgono pure per chi oggi un lavoro ce l’ha, ma fra dieci anni potrebbe vederlo sparire. Tanto la chiave, per tutti, resta quella di cambiare l’istruzione e l’aggiornamento.
Il primo avvertimento di questo tipo lo aveva lanciato Cathy Davidson, oggi direttrice della Futures Initiative alla City University of New York, e codirettrice delle MacArthur Foundation Digital Media and Learning Competitions. Lo aveva fatto con il libro «Now You See It», ma simili concetti poi sono stati ripresi un po’ ovunque, compresi gli studi del Labor Department americano. La tecnologia sta provocando un mutamento storico del mondo del lavoro, e quindi è naturale aspettarsi che i nostri figli sceglieranno mestieri che ancora non esistono. Per fare un esempio banale, dieci anni fa chi avrebbe puntato ad una carriera nei social media tipo Facebook o Twitter? A tutto ciò adesso si aggiungono i robot che portano via i posti agli esseri umani, e la preoccupazione diventa panico.
Cambiare l’istruzione
Per ritrovare la serenità David Tuffley, specialista di Applied ethics and socio-technical Studies alla Griffith University, ha offerto qualche consiglio sul «Washington Post». Come aveva suggerito la stessa Davidson, per i più giovani la chiave è cambiare l’istruzione. L’approccio seguito finora non regge più, non solo perché bisogna introdurre nelle classi la tecnologia e il digitale. E’ necessario cambiare il modo di affrontare i problemi e risolverli, puntare sul lavoro di gruppo, sulla capacità di pensare fuori dagli schemi. L’abilità di ragionare con l’efficacia di un laser, mirando al cuore pratico delle questioni per realizzare risultati concreti, sarà fondamentale. Stesso discorso per la capacità di gestire i nuovi media e l’informazione, sempre più abbondante e quindi sempre più difficile da selezionare e usare, nel mare dei big data a nostra disposizione. Decisiva anche la predisposizione a costruire e lavorare in ambienti virtuali, perché il luogo fisico dove si svolge il lavoro somiglierà sempre meno a quello a cui ci siamo abituati nell’ultimo secolo.
Molti mestieri che facciamo oggi resteranno, dall’ingegnere all’avvocato, dal medico al programmatore, ma il modo di farli cambierà al punto di escludere alcuni lavoratori ed esaltarne altri. Non basterà più la laurea, in sostanza, ma diventerà decisiva la capacità di usare e trasmettere le conoscenze possedute.
Multidisciplinarietà
La realtà però è che se il 65 per cento dei lavori dei prossimi dieci anni non è stato ancora inventato, non sappiamo di cosa stiamo parlando. Possiamo provare ad immaginarli, ma la realtà finirà sempre per battere la nostra limitata fantasia. L’unico rimedio logico quindi è prepararsi ad adeguarsi, essere malleabili e pronti a cogliere le occasioni che ancora non possiamo neppure intravedere. A questo scopo la scuola deve offrire gli strumenti più ampi possibili, e puntare sulla multidisciplinarietà, in modo da stimolare la creatività dei ragazzi, aiutarli a capire in quale direzione vogliono andare, e garantire loro la capacità seguire diversi percorsi. Ci sarà tempo, poi, per specializzarsi nel settore scelto, una volta scoperto che esiste, ci piace, e ci vuole. Sono consigli ancora vaghi, certo, però rendono l’idea. Del resto stiamo parlando di una realtà che ancora non c’è, ma arriverà e ci stupirà.